Roma – Resa dei conti nei Ds. Ai ferri
corti nella Margherita. Mancano quindici giorni ai congressi della Quercia e
di Dl che indicheranno le tappe verso il Partito democratico, e i nodi
vengono tutti al pettine. Piero Fassino attacca Fabio Mussi, il leader della
sinistra della Quercia pronto a lasciare il partito. Francesco Rutelli viene
contestato da Arturo Parisi che annuncia: «Voglio fare un atto di chiarezza»
e non sottoscrive la candidatura di Rutelli alla presidenza della
Margherita.
Giornata tesa, scandita da continue fibrillazioni interne ai due
partiti che dovranno convolare a nozze nel Pd. Il segretario dei Ds l’aveva
già detto e lo ripete: «Non porto la croce però sono quello che ci lavora di
più al Partito democratico, a dispetto di chi ogni giorno ne parla e ne
scrive senza muovere un dito». Si definisce “un faticone” (in un’intervista
all’Espresso) e dichiara che quando verrà il momento di decidere chi guiderà
il Pd, certo non pensa di avere «meno titoli degli altri, anzi qualcuno in
più». Ma non è tanto di questo, della propria leadership, che va a parlare
con Prodi in un lungo incontro pomeridiano a Palazzo Chigi. Insieme, Fassino
e il premier, che è il maggiore azionista del Pd, concordano su un paio di
snodi verso il partito nuovo: che va fatto in fretta, «avanti tutta e
coinvolgendo la società civile».
Nelle stesse ore, a Sant’Andrea delle
Fratte, è riunito lo stato maggiore della Margherita per parlare di Pd e,
prima ancora, del nuovo statuto del partito. Alla fine è siglato l’accordo
tra Francesco Rutelli e gli ex Popolari. Il dibattito però è teso. Parisi si
dissocia, Willer Bordon si smarca: «Non ci sto a inutili riti, se è così
vado nel Pd per conto mio». I toni si fanno concitati. Ciriaco De Mita
avverte: «Attento Francesco, i congressi si sa come iniziano, non si sa come
finiscono…».
Nelle file Ds, Fassino non lesina l’affondo a Mussi: «Se
ne va? Spero di no. Del resto dove va, Mussi? Con Bertinotti? Se così fosse
tornerebbe indietro, al 1989 prima della caduta del Muro e dell’Urss». Mussi
ovviamente non ci sta: «È il Partito democratico che torna indietro, che
salta a pie’ pari la questione sociale cioè le forze socialiste che si sono
formate tra 800 e 900, sono loro a collocarsi alla fine del 700» e
infatti nel Manifesto del Pd si invoca una sintesi «tra cristianesimo e
illuminismo». Ce l’ha poi, con Amato che in un’intervista a Repubblica gli
aveva chiesto di evitare la scissione.«Amato mi chiede di stare in un
partito al quale non appartiene e inoltre questo Pd non sta bene neppure
agli ideatori Parisi e Santagata».
Respinto al mittente anche l’invito che
Amato ha rivolto allo Sdi di Boselli. «Ci invita a stare nel Pd perché dice
che non si può andare avanti con un partito del 2%? – ragiona Enrico Boselli
– Giuliano non se n’è accorto ma io punto a far nascere un partito
socialista più grande». Con Mussi, per esempio. Con Rutelli invece non c’è
feeling perché ha fatto della Margherita «un partito cattolico» e perciò il
matrimonio Ds-Dl è «solo un compromesso storico bonsai».
Nella Margherita,
Rutelli convoca l’ufficio di presidenza, si mostra sereno e chiede di
smetterla di guardarsi l’ombelico: «Troppa politica politicante, un
dibattito verso il Pd troppo impostato su vicende interne e procedure,
parliamo di contenuti, a cominciare dalla difesa dell’ambiente…». Lo
prende in parola Beppe Fioroni, il ministro dell’Istruzione che vuole più
attenzione «alla persona e alla famiglia». «Bisogna affrontare il nodo del
rapporto con il mondo cattolico», scandisce il ministro della famiglia, Rosy
Bindi. Avvio di dibattito pacato. Poi, la lite con Bordon. Lo strappo di
Parisi. Dario Franceschini e Antonello Soro sono abbastanza soddisfatti. Non
solo il coordinatore di Dl avrà più poteri ma i poteri del congresso
(inclusa elezione e revoca del leader) sono trasferiti all’assemblea
federale. Dove gli ex Ppi pesano per circa il 70%.