Scende il sipario sui
congressi locali di Ds e Margherita e i due partiti si preparano al
passaggio cruciale delle assise nazionali in programma fra tre settimane che
dovranno aprire la fase costituente del Partito democratico. Ma se dentro il
partito di Rutelli tiene banco l’armistizio siglato tra l’area che fa capo
al leader e i popolari, in casa diessina diventa un coro l’appello alla
minoranza interna di Fabio Mussi perché venga scongiurata la «scissione
preventiva».
È proprio «un ultimo appello» quello che lancia il
presidente del partito Massimo D’Alema, in un’intervista a l’Unità. Dice:
«Proviamo ancora una volta a lavorare insieme, a discutere, a confrontarci»,
perché «il Pd ha bisogno delle idee e della passione di tutti». Una
scissione sarebbe «fredda, senza pathos». Ma è tutta la maggioranza del
partito che ormai da giorni esercita un pressing costante, quanto privo di
risultati (al momento), nei confronti della sinistra interna. Ieri il
ministro per lo Sviluppo Pierluigi Bersani ha chiesto a Mussi di non
abbandonare il partito per definire insieme «i tratti del volto» del nuovo
soggetto in cui «la parola sinistra deve avere piena cittadinanza».
Per il partito che verrà c’è già un asse che si consolida e che
raccoglie consensi crescenti: quello «ulivista» riconducibile sempre più
all’asse Veltroni-Parisi. Tanto il sindaco diessino di Roma quanto il
ministro della Difesa (Margherita) nel fine settimana avevano espresso tutte
le loro perplessità sul cammino di costruzione del Pd, che «non potrà essere
una sommatoria» di due gruppi dirigenti e dovrà lasciarsi alle spalle i
vecchi equilibri di potere dei due partiti. Si dicono d’accordo in tanti, da
Franco Monaco («Il Pd deve essere il partito dei cittadini e non degli
apparati») al dipietrista Formisano («Hanno ragione Veltroni e Parisi,
finalmente»). Il ministro guarda al futuro ma denuncia soprattutto le «risse
di potere e diffusa illegalità» nei congressi del suo partito. Avverte:
«Manca la tensione emotiva, il pathos, il senso della missione che dovrebbe
accompagnare la nascita di un partito nuovo. Se non riusciamo a coinvolgere
i cittadini, come quelli che hanno partecipato spontaneamente alle primarie,
rischiamo di fare l’ennesimo partito».
Se il ministro ulivista sarà al
Congresso della Margherita del 20-22 aprile a Cinecittà resta un’incognita,
che l’ultima battuta che i suoi gli sentono ripetere in questi giorni («Di
certo in quei giorni parlerò, non ho deciso ancora dove») non contribuisce a
svelare. Più certa appare la «costituente» che un gruppo di
ulivisti doc sta tentando di organizzare in contemporanea. Willer Bordon,
presidente dell’Assemblea federale della Margherita e promotore
dell’associazione «Libera l’Italia» col verde Boato, col dipietrista
Formisano e con i colleghi Manzione e D’Amico, spiega: «Quel che ha detto
Parisi è tragicamente vero. Allora occorre pensare se nei giorni del
congresso non si debba organizzare una costituente, promossa da coloro che
pensano che il Pd non possa risolversi nella sommatoria di due partiti».
Se
quell’appuntamento ci sarà, vedrà l’adesione di Mario Adinolfi (direttore di
“Nessuna Tv” e editorialista di “Europa”) e della sua «Generazione U»,
blogger dimargheritini. Il giornalista ricorda che i ricorsi pendenti nel
partito riguardano «15 regioni», che c’è un «vulnus di legalità» e che «se
Rutelli non farà chiarezza, noi non parteciperemo al congresso, andremo
altrove». Un malessere che trova riscontro nello stato d’animo di
intellettuali e saggi che lavorano al cantiere del Pd. Salvatore Vassallo,
tra gli autori del «manifesto», condivide le critiche mosse da Parisi e
Veltroni: «La mia impressione è che non ci sia una sufficiente chiarezza
sulle modalità con le quali la dirigenza Ds e della Margherita intendano
avviare la fase costituente del Pd: se lo facessero per quote sarebbe un
travisamento della filosofia originaria». Il costituzionalista Stefano
Ceccanti vedrebbe bene «la nascita di una componente ulivista», magari
proprio sull’asse Veltroni-Parisi, che si affianchi a quelle dei due
partiti, per aprire ad altri soggetti. Gregorio Gitti dell’Associazione per
il Pd non la vuole chiamare corrente, ma confida in una «una componente
liberal che vada oltre la retorica ulivista per condurre battaglie concrete
su legalità, liberalizzazioni e pubblica amministrazione efficiente».