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16 Marzo 2004

Dopo il Congresso

Autore: Nino Bertoloni Meli

ROMA – La Margherita? «E’ un triangolo isoscele», argomenta e teorizza e discetta Arturo Parisi, a riflettori del congresso appena spenti, mentre si corre in macchina alla volta di Bologna per il summit a casa di Romano Prodi. Il Parisi-geometrico spiega così la sua teoria triangolare: «Nell’angolo superiore c’è Marini con il suo 50 e passa per cento, alla base ci siamo Rutelli e io che facciamo la linea politica del partito». Del resto, prosegue il professore sassarese, «Marini è ”condannato” a essere maggioranza altrimenti spacca il partito, la tradizione popolare è parte consistente della Margherita anche se non unica né esclusiva né, come dire, vincente». Il Suslov di Prodi è uscito alquanto soddisfatto dal congresso, l’idea tutta sua che la Margherita non debba essere una forza moderata di centro ma ”centrale”, una sorta di ”Ulivo in un solo partito”, è diventata ormai parte costitutiva della linea politica. Sicché avere il 20 o il 25 o il 40 per cento, per Parisi cambia poco: «Da noi – spiega – a differenza dei Ds, si può essere minoranza senza essere opposizione. E se poi si controlla il settore informazione come nel caso di Rutelli…».

Già, i Ds. Parisi ha parole di elogio. Guai a toccargli i cugini quercisti. Scandisce: «Fassino e D’Alema hanno fatto un grande sforzo e stanno affrontando grandi difficoltà per un grande disegno comune, bisogna dargliene atto e non creargli problemi. Bisogna abituarsi a ragionare con la testa nel maggioritario, e se il progetto è comune, allora ad esempio Violante va difeso dagli attacchi, è uno del mio partito». E come si mette con la questione incandescente del gruppo a Strasburgo? Parisi anche qui mostra di avere la soluzione a portata di mano e la espone in forma interrogativa: «Avranno la forza di fare il gruppo con noi federandosi al contempo con il Pse? I socialisti lo accetteranno?». Quindi la Margherita non si scioglie, caso mai sono i Ds che devono cambiare casacca? «Io non voglio sciogliere un bel nulla, mi hanno appioppato questa etichetta di scioglitore incallito, ma il problema esiste, la scommessa di una casa comune dei riformatori è all’ordine del giorno, al punto che lo hanno riconosciuto anche Marini e De Mita, quando hanno detto che se ne può parlare fra due-quattro-sei anni». Con De Mita il professor Parisi condivide il ”filosofare di politica”, i due si rispettano ma non si prendono. Dice Parisi: «De Mita ha ragione quando avverte che la Margherita non è disposta a fare ”cose tre” e ”cose quattro”, l’inglobamento nei Ds non è certo il nostro orizzonte, ma qui si ferma, i suoi ragionamenti sono spesso fermi al passato. Io non sono mai stato dc, vedo però rischi di ”democristianeria”. L’unico vero antidoto è rimanere ancorati al bipolarismo. E su questo devo dire che Rutelli finora non ha deflettuto».

L’Audi grigio metallizzata è adesso alle porte di Bologna e il guidatore arriva a sfiorare i 200 all’ora, per fortuna c’è la gentile consorte del Professore, la signora Anna, che consiglia prudenza. E prudenza ostenta anche Parisi quando il discorso cade immancabilmente su san Romano Prodi, il leader indiscusso salutato come un’icona al congresso. «Prodi è il capo di tutti, lui lavora per unire». Anche Bertinotti? Suslov-Parisi non si scompone: «Fausto è cambiato, in meglio, ora si sente garantito e dà garanzie». Può essere Fausto il rosso allora ad aggregare l’area a sinistra del listone? Qui Parisi ridiventa ”Alì il chimico”, come lo chiama scherzosamente D’Alema: «Non ce n’è bisogno, c’è già Prodi che è il leader di tutti. E poi, non li vedo i Cossutta e gli Occhetto che si fanno dirigere da Bertinotti».