L’elezione di Berlusconi «minaccerebbe» la democrazia italiana? No, il quesito è se Berlusconi premier costituisca una grossa anomalia nelle esperienze delle democrazie occidentali. A questo quesito la risposta è sicuramente sì. Negli Stati Uniti gli americani finiscono ormai per scegliere il loro presidente in chiave di character , di credibilità personale, di fiducia. Le elezioni italiane non eleggono un presidente; ma Berlusconi le ha trasformate in un plebiscito sulla sua persona, e quindi il 13 maggio si voterà per dargli o no «fiducia». Ma fiducia su quali basi? Perché il fatto è che il Cavaliere non è al di sopra di qualsiasi sospetto.
È vero che la presunzione di innocenza vale anche per lui. Ma Berlusconi non è un indiziato qualsiasi: lui si propone come capo del governo. E, poi, qualsiasi innocente che si ritiene ingiustamente sospettato cerca subito di rispondere alle accuse. Berlusconi no: lui non risponde. Si dichiara vittima di persecuzioni e respinge ogni accusa come falsa e basta. Ma così non basta. Se io venissi accusato d’una diecina di reati, non me la potrei cavare accusando i giudici di essere malvagi. Io no, ma Berlusconi fino a oggi sì. Lui smentisce, dopodiché i suoi fanno quadrato.
Il quadrato ha retto bene fino all’entrata in campo, venerdì scorso, dell’ Economist (sostenuto ieri da Le Monde e da El Mundo ). Il colpo era inaspettato, perché il settimanale inglese non è di sinistra (di quella sinistra che viene accusata dal Cavaliere di cospirare contro di lui). E se il Nostro largamente controlla il messaggio dei media italiani, il messaggio internazionale è invece largamente controllato dall’ Economist .
Beninteso, il solito quadrato ha funzionato a dovere, con un Buttiglione che batte persino Bossi dichiarando che l’ Economist è un settimanale «ridicolo». Ha interloquito anche il solitamente sensato Andreotti, accusando il giornalismo inglese di «ingerenza» (che non sarebbe tale, immagino, in caso di elogio). E persino da sinistra, dal più alto scanno di Montecitorio, ci viene fatto solennemente sapere che il «premier non lo sceglie l’ Economist ». Perbacco, questo mi era proprio sfuggito.
Comunque sia, tutte queste sono «vocine» che si fanno grosse tra le Alpi e il Lilibeo: ma lì si spengono. Mentre l’ Economist è letto da tutte le élites di tutti i Paesi. Non è la Bibbia; ma nell’informazione economico-politica non ha rivali.
Anche l’ Economist ogni tanto sbaglia e si sbaglia. Ma raramente nelle inchieste; nelle inchieste è di una serietà e accuratezza esemplari. Quindi Berlusconi sbaglia di grosso se ritiene che l’ Economist sia liquidabile come «spazzatura». Perché nel mondo è l’ Economist che fa testo. E se questa volta il Cavaliere non saprà rispondere a tono con precise controdeduzioni, allora un’Italia guidata da Berlusconi non nascerà bene.
Rinaldo Petrignani, che fu già nostro ottimo ambasciatore a Washington, dichiara di essere indignato per una «offesa» fatta a «tutti gli italiani, alla nostra democrazia… Siamo stati accusati di corruzione e indifferenza». A parte il fatto che l’ Economist non oltraggia né accusa tutti gli italiani (dove sta scritto, signor ambasciatore?), secondo me l’ Economist ci rende un servizio cercando di costringere Berlusconi a rispondere. Se ci riuscirà, grazie. Se non ci riuscirà, l’ombra dei sospetti si può soltanto addensare. E non sarà certo fugata dalla retorica dell’indignazione, dell’offesa alla Patria. È un diversivo che funziona sempre; ma che è quasi sempre l’argomento di chi non ha argomenti. E che lascia, nel mondo, il tempo che trova.