2222
19 Aprile 2005

Domande a Follini

Autore: Michele Salvati
Fonte: Il Corriere della Sera

La necessità dell’alternanza, il rifiuto del «teorema Giovanardi», nel mio editoriale sul Corriere del 15 aprile non erano richiami generici. Ci sono dei momenti in cui aver ben chiaro in testa che non si intende uscire da un sistema politico bipolare – sia pure riformato e incivilito – può servire da guida all’azione politica e questo è uno di quelli. A che cosa mira Follini A un ruolo più importante all’interno del centrodestra o a riacquistare libertà di gioco a tutto campo per il suo partito Una libertà che, in un prossimo futuro, potrebbe condurlo sulle sponde del centrosinistra Follini ha sempre negato questa possibilità, da ultimo con una lettera al Corriere (6 aprile) in risposta a un «retroscena» di Maria Teresa Meli: «Il confine non verrà attraversato». La possibilità sta però nelle cose stesse. Anzitutto negli interessi dell’Udc come organizzazione autonoma, che sono primariamente quelli di consolidarsi ed espandersi: o almeno così ci dicono gli studiosi dei partiti, da Michels in poi. E chi può escludere che questi interessi possano spingere verso l’altra sponda Secondariamente nella debolezza del diaframma ideologico-culturale, se pure esiste, che separa l’Udc dai partiti centristi di origine democristiana appartenenti al centrosinistra.
Al di là delle posizioni che Follini ha dovuto assumere per lealtà con il suo schieramento, quali sono le differenze ideologiche e culturali significative che separano il suo partito dalle componenti maggioritarie di Margherita Sfido chiunque a distinguere – in materie importanti come la politica estera o la bioetica, le questioni economico-sociali o l’Europa – le posizioni di Follini da quelle di Rutelli, quando parlano in libertà e non sono vincolati da accordi di coalizione. Ed è evidente a tutti che è assai minore la lontananza di questi due leader tra loro rispetto a quella che li separa da Bossi, da un lato, e da Bertinotti, dall’altro.
Si potrebbe osservare che in gran parte dei sistemi bipartitici o bipolari i «centristi» e i moderati sono spesso più vicini ideologicamente tra loro che non con le ali estreme dei due schieramenti a cui appartengono e che si tratta di una conseguenza ovvia del bipolarismo: le posizioni politiche sono numerose e, anche quando si possono disporre su un asse destra-sinistra, l’appartenenza delle posizioni moderate all’uno o all’altro polo è frutto di processi politici e vicende organizzative storicamente contingenti. E si potrebbe aggiungere che questo non impedisce affatto un buon funzionamento del bipartitismo o bipolarismo. E’ vero. Ma in sistemi bipartitici consolidati, tradizioni ideologiche e culturali comuni legano con forza i moderati e i radicali appartenenti allo stesso partito e rendono molto difficile un «attraversamento del confine», per usare l’espressione del segretario dell’Udc: il più moderato dei laburisti difficilmente passerà nel campo dei tories, anche se è in forte dissenso con la politica del suo partito (il che non è ovviamente il caso oggi, anche se lo è stato in passato).
In Italia le cose stanno diversamente: il bipolarismo è stato la conseguenza di una crisi drammatica e di una legge elettorale brillantemente sfruttata da un imprenditore politico spregiudicato, non il frutto di una evoluzione lenta e spontanea. Centro-sinistra e centro-destra sono raggruppamenti fatti da spezzoni di vecchi partiti o da movimenti nati nel corso della crisi: non esiste un cemento ideologico-culturale e una storia comune che li saldino insieme e facciano sì che un moderato o un radicale si sentano parte della stessa storia e della stessa cultura. Anzi.
Leader e militanti con la stessa storia, a seguito di valutazioni politiche spesso dettate dall’emergenza, si ritrovano ora in campi diversi, a difendere la propria identità con alleati che sentono estranei. E’ soprattutto il caso degli ex democristiani, in entrambi gli schieramenti. Insomma. Il nostro bipolarismo è fragile e resterà tale fino a quando sarà forte la nostalgia delle vecchie identità. Fino a quando non si formerà un patriottismo di schieramento che superi quello di partito. Fino a quando, almeno per una parte ampia dei due schieramenti, non si formerà una cultura politica comune e forse un partito nuovo.
Ieri erano l’eterogeneità e la frammentazione del centro-sinistra a fare notizia, e i tentativi faticosi di creare un nucleo di cultura comune in quello schieramento, la Federazione. Ad un osservatore superficiale, impressionato dallo straordinario potere di Berlusconi, l’eterogeneità del centro-destra poteva sembrare meno pericolosa per la permanenza nel nostro Paese di un sistema di alternanza.
Oggi si vede che non è così e che sono proprio la straordinarietà di quel potere e la necessità di un rapido passaggio dal carisma all’istituzione – avrebbe detto Max Weber – a fare problema. Marco Follini, Bruno Tabacci, Pier Ferdinando Casini e il loro partito possono aggravare il problema o essere una parte importante della sua soluzione. E’ per questo che sapere quali sono le mosse che hanno in mente dopo aver fatto precipitare la crisi e richiesto un necessario chiarimento riveste una grande importanza per il futuro del nostro sistema politico.