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4 Gennaio 2006

Dietro l’imbarazzo Ds c’è anche il timore di nuove rivelazioni

Autore: Federico Geremicca
Fonte: La Stampa

Una ventina di righe dattiloscritte e niente più. Una ventina di righe per metà di difesa e per metà d’attacco, intestate a Roberto Cuillo – portavoce di Piero Fassino – ma attribuibili interamente al leader dei Ds.

Lette e rilette, limate nei punti più delicati, concordate via telefono dal lontano Messico (dove si trova Fassino), quelle righe anticipano la strategia difensiva e la linea d’attacco scelte dal segretario della Quercia dopo la pubblicazione su «Il Giornale» di alcune intercettazioni telefoniche di suoi colloqui con Giovanni Consorte.

La difesa: «La semplice lettura dei testi non solo rende evidente l’assoluta irrilevanza giudiziaria di tali intercettazioni, ma conferma il carattere puramente informativo di quei colloqui telefonici, come peraltro ha sempre dichiarato il segretario dei Ds».

L’attacco: l’obiettivo del Giornale «di proprietà della famiglia Berlusconi» è, ovviamente, «quello di colpire i Ds e il suo segretario con polveroni scandalistici».

Segue l’invito alla presidenza della Camera, all’Authority sulla privacy e alla stessa magistratura a intervenire di fronte «alla pubblicazione illegale di intercettazioni di un parlamentare». Punto e basta.

Il tutto può apparire più o meno confortante e più o meno convincente, ma non è questo il punto: il punto, infatti, è che né prima né dopo quelle venti righe dattiloscritte, una voce si sia alzata dal quartier generale della Quercia. Non una. Letteralmente.


Segno evidente di incertezza, prima ancora che di preoccupazione. Segno, anche, di mancanza di informazioni. Cioè: c’è dell’altro? Esistono altre intercettazioni di colloqui tra Piero Fassino e Giovanni Consorte? E se sì, che cosa contengono?

Nessuno può saperlo, ovviamente. Tranne il leader dei Ds, l’ex presidente dell’Unipol e coloro i quali, evidentemente, sono ancora in possesso delle eventuali trascrizioni. Non gli uomini del vertice della Quercia, comunque.

E’ questa assenza di informazioni a rendere nervoso lo stato maggiore diessino e a consigliare grandissima prudenza, in attesa del rientro in Italia (previsto per domani) del segretario.

Prudenza che sposa anche chi, come Cesare Salvi – vicepresidente del Senato ed esponente di punta della minoranza interna alla Quercia – ha contestato fin dall’inizio la linea scelta da Fassino sull’intera vicenda Unipol: «Queste intercettazioni non mi pare contengano novità e anzi rendono perfettamente quella che era la posizione dei Ds all’epoca dei fatti di cui si parla: e cioè la difesa a spada tratta della scalata alla Bnl.

L’errore è lì: nell’aver fatto il tifo in una vicenda nella quale la politica non dovrebbe entrarci per niente. I guai cominciano allora, con quella scelta. Non mi sfugge, naturalmente, che intorno a questo si stia tentando di imbastire un’operazione politica contro i Ds.

Dico però che avremmo potuto e potremmo rispondere meglio se ci fosse una direzione più collegiale del partito. E invece siamo nella situazione in cui tutto è demandato a due leader e agli altri non resta che vedere se la imbroccano o no…».


Ma c’è anche dell’altro dietro i silenzi imbarazzati del Botteghino. Prima di tutto, lo sconcerto e l’incredulità per esser tirati in una vicenda che comunque richiama alla sempre sbandierata (contro gli altri) «questione morale»; e poi, naturalmente, l’uso che di essa potrà essere fatto in una campagna elettorale ormai bella e avviata. «Io credo che nella base ci sia molto sconcerto – abbozza Peppino Caldarola, deputato ed ex direttore de l’Unità -. Io stesso, a dirla tutta, sono turbato e amareggiato.

Credo che a questo punto Fassino, della cui integrità nessuno può dubitare, farebbe bene a chiedere scusa, cioè ad ammettere l’errore.

Questa campagna mediatica forse può esser interrotta solo con un’ammissione del nostro segretario: è vero, ho voluto difendere un diritto dell’Unipol e delle coop che mi sembrava messo in discussione, l’ho fatto, ho sbagliato».

Scelta comunque non facile per Fassino, ammesso che sia convinto che l’errore ci sia stato. Non facile e, naturalmente, forse nemmeno risolutiva: perché nessuno, in verità, può scommettere sul fatto che basterebbe un’ammissione così a interrompere la pubblicazione di verbali con nuove imbarazzanti intercettazioni (ammesso che ve ne siano).

Si resta, quindi, in attesa degli avvenimenti e del rientro in Italia del segretario. E al Botteghino, intanto, chi è rimasto di guardia in questi giorni di vacanza, annota. Annota il comportamento dei giornali.

Annota l’asprezza delle voci che si levano dal centrodestra. Annota l’assoluta assenza di solidarietà da parte degli alleati, dalla Margherita al clan prodiano, a tutto il resto.

E annota con disappunto come il fascio di luce si sia spostato dai ministri e i sottosegretari con accertati conti di favore sulla banca di Fiorani al segretario dei Ds e ai suoi colloqui con Consorte.


Chi di spada ferisce di spada perisce, si sussurra invece in altri quartier generali. Sperando, magari, che l’unico a perire in questa brutta storia non sia davvero solo l’ex presidente dimissionato dell’Unipol…