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24 Luglio 2007

Dieci riforme per sbloccare l’Italia di Walter Veltroni

Fonte: Corriere della Sera

Se abbiamo voluto chiamare «democratico» il partito nuovo che stiamo
costruendo, è anche e soprattutto perché è la democrazia la questione
cruciale del nostro tempo. Siamo entrati nel ventunesimo secolo
sull’onda delle speranze suscitate dalla vittoria della democrazia sui
totalitarismi che avevano insanguinato il Novecento. Ma oggi quella
corrente calda ha perso buona parte della sua forza, frenata
dall’attrito con questioni dure, come il divario tra il carattere
globale dei nuovi problemi (e dei nuovi poteri) e la dimensione ancora
prevalentemente nazionale delle istituzioni politiche, la persistente
debolezza delle istituzioni internazionali, la fatica con la quale
avanzano i processi di integrazione sopranazionale e post-statuale, a
cominciare dall’Unione Europea.E se perfino le grandi democrazie
appaiono troppo piccole, è inevitabile che sia messo in dubbio il
fondamento più profondo della democrazia stessa: quella visione
umanistica della storia che ritiene possibile, per la coscienza e
l’intelligenza delle donne e degli uomini, orientare il corso degli
eventi. Perché ritiene che la storia non sia determinata
meccanicisticamente dalla sola legge della necessità, ma possa essere
influenzata dal responsabile esercizio della libertà.

Dirsi
«democratici», oggi significa dunque anzitutto lavorare per aprire alla
democrazia orizzonti più ampi: a cominciare dal multilateralismo
efficace nelle relazioni internazionali e da una visione politica e non
solo mercantilistica dell’integrazione europea. E tuttavia, anche per
contribuire ad aprire un nuovo ciclo, un ciclo sopranazionale, nella
storia della democrazia, dopo quelli delle città antiche e degli stati
moderni, è necessario disporre di istituzioni nazionali forti, perché
efficaci e legittimate, di un sistema politico capace di pensare in
grande e di agire con rapidità e di un efficace e trasparente governo
di prossimità. Il nostro Paese non dispone oggi di istituzioni
nazionali e di un sistema politico adeguati a questi fini.

La
democrazia italiana è malata, per così dire, su entrambi i lati del suo
nome composto: quello della «crazia», ovvero dell’autorevolezza e della
forza delle istituzioni; e quello del «demos», ovvero della
legittimazione popolare della politica. Non è necessario dilungarsi
nella descrizione: è sotto gli occhi di tutti la crisi di autorità di
un sistema istituzionale e politico, qualunque sia il colore del
governo del momento, allo stesso tempo costoso e improduttivo, tanto
invadente nell’occupazione del potere e nell’ostentazione dei suoi
segni esteriori, quanto impotente nell’esercitare il potere vero,
quello che serve ad affrontare i problemi del paese; tanto capace di
frammentarsi inseguendo e cavalcando la degenerazione corporativa della
società, quanto inadeguato al bisogno, che pure il paese esprime, di
unità, solidarietà, coesione attorno a obiettivi di bene comune. La
democrazia italiana sta andando in crisi per assenza di capacità di
decisione, per la prevalenza della logica dei veti delle minoranze
sulle decisioni delle maggioranze.

La democrazia non può essere
un’assemblea permanente che si conclude con la convocazione di un’altra
assemblea. La democrazia è ascolto, partecipazione, condivisione. Ma,
alla fine, è decisione. Lo disse Calamandrei durante i lavori della
Costituente: «La democrazia per funzionare deve avere un governo
stabile: questo è il problema fondamentale della democrazia. Se un
regime democratico non riesce a darsi un governo che governi, esso è
condannato? Le dittature sorgono non dai governi che governano e che
durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici».
Il Partito democratico nasce per porre un argine a questa deriva, nella
quale la politica stessa finisce per alimentare l’antipolitica, e per
avviare, con la sua stessa costituzione, un’inversione di tendenza:
dalla divisione all’unità, dall’invadenza alla sobrietà, dall’arroganza
inconcludente alla forza dell’efficienza e della produttività. Per dare
concretezza a questa linea di lavoro, il Partito democratico al quale
penso si impegnerà seriamente
a fare dieci cose concrete.

Primo: superare l’attuale bicameralismo
perfetto, assegnando alla Camera la titolarità dell’indirizzo politico,
della fiducia al governo e della funzione legislativa e facendo del
Senato la sede della collaborazione tra lo Stato e le autonomie
regionali e locali. Senato e Camera manterrebbero potestà legislativa
paritaria nei procedimenti di revisione costituzionale.

Secondo:
operare una drastica riduzione del numero dei parlamentari, coerente
con la specializzazione delle due camere: 470 deputati e 100 senatori
porterebbero l’Italia al livello delle altre grandi democrazie europee
come quella francese alla quale sempre di più dobbiamo saper guardare.

Terzo: riformare la legge elettorale, in modo da ridurre la assurda
frammentazione e favorire un bipolarismo basato su competitori coesi
programmaticamente e politicamente. Il governo sarebbe così capace di
assicurare l’attuazione del programma per il quale è stato scelto dagli
elettori, come in tutte le grandi democrazie europee. E, infine, la
ricostruzione di un rapporto fiduciario tra elettori ed eletti,
mediante la previsione per legge di elezioni primarie per la selezione
dei candidati. Tutto questo è ora reso ancora più necessario dalla
positiva sfida del referendum.

Quarto: rafforzare decisamente la figura
del Presidente del Consiglio, sul modello tipicamente europeo del
governo del primo mini-stro, in modo da garantire unitarietà e coerenza
all’azione di governo e coesione alla maggioranza parlamentare,
attribuendogli, ad esempio, il potere di proporre nomina e revoca dei
ministri al Presidente della Repubblica.

Quinto: rafforzare il sistema
di garanzie nel sistema maggioritario e bipolare, in modo da
scongiurare qualunque rischio di dittatura della maggioranza o di
deriva plebiscitaria, prevedendo quorum rafforzati per la modifica
della prima parte della Costituzione e per l’elezione delle cariche
indipendenti, uno Statuto dell’opposizione, l’attribuzione alla Corte
costituzionale delle controversie in materia elettorale, norme rigorose
contro il conflitto d’interessi.

Sesto: previsione di una corsia
preferenziale, con tempi certi, per l’approvazione dei disegni di legge
governativi e voto unico della Camera sulla legge finanziaria nel testo
predisposto dalla Commissione Bilancio, sulla falsariga dell’esperienza
inglese.

Settimo: escludere nei regolamenti parlamentari la
costituzione di gruppi che non corrispondano alle liste presentate alle
elezioni e rivedere le norme finanziarie che oggi premiano la
frammentazione, comprese quelle sul finanziamento pubblico dei partiti
e della stampa di partito.

Ottavo: completare la riforma federale dello
Stato, attuandone gli aspetti più innovativi, a cominciare dal
federalismo fiscale e dalle forme particolari di autonomia che possono
avvicinare le regioni a statuto ordinario alle autonomie speciali, con
uno sguardo particolare alle grandi aree metropolitane.

Nono: attuare
l’articolo 51 della Costituzione, prevedendo almeno il 40 per cento di
candidati donne e di capilista donne a pena di inammissibilità delle
liste. Il Partito democratico applicherà alle proprie liste la quota
del 50 per cento.

Decimo: riconoscere il voto ai sedicenni per le
elezioni amministrative, valorizzandone l’apporto di freschezza e di
entusiasmo essenziale per la rivitalizzazione della democrazia e al
tempo stesso la funzione di responsabilizzazione, di socializzazione e
di apertura, essenziale nel delicato percorso dall’adolescenza alla
maturità. Si tratta, come è ovvio, di proposte aperte, che implicano un
iter non semplice di revisione costituzionale e legislativa, che a sua
volta presuppone la convergenza di un ampio schieramento di forze.
Molte legislature sono trascorse invano, da quando il tema della
riforma della politica, delle sue regole, delle sue istituzioni, è
entrata nell’agenda del paese. Ora la crisi di autorità della politica
sta diventando un’emergenza democratica. Il Partito democratico al
quale penso nasce per riportare l’Italia tra le grandi democrazie
d’Europa. È una urgenza assoluta. Se non vogliamo che si avveri la
lucida profezia di Calamandrei.