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31 Luglio 2008

D’Alema e il pranzo che spaventa Walter

Autore: Fabio Martini
Fonte: La Stampa

Al piano nobile di Montecitorio si prolunga fino
a metà pomeriggio il lungo pranzo a due tra il presidente della Camera
Gianfranco Fini e Massimo D’Alema, alla fine le porte dell’appartamento
presidenziale si aprono e l’ex premier dei Ds sintetizza così: «Volevo
discutere col presidente Fini su come preparare un convegno sul
federalismo fiscale che si terrà ad ottobre a Sondrio nel quale saremo
entrambi relatori», anche se – racconta sempre D’Alema – nel corso del
pranzo i due hanno constatato «la comune volontà di passare», nel campo
delle riforme istituzionali «dalle dichiarazioni ai fatti»,
«affrontando i temi uno ad uno e senza pretese di fare Bicamerali».
Parole un po’ generiche, tali da comprendere la sostanza di un incontro
che è stato anzitutto l’occasione per una ripresa di rapporto personale
tra due personaggi che nella loro vita politica non hanno mai
«inciuciato» più di tanto.

Ma alla fine l’incontro è andato molto
bene. Hanno parlato di tutto, della riforma elettorale per le Europee e
dunque della scivolosa soglia di sbarramento. I due sarebbero d’accordo
su una soglia da fissare al 4 per cento: la convergenza più
interessante è quella sulle preferenze, destinate a diventare nei
prossimi mesi materia incandescente: Berlusconi vorrebbe eliminarle e
una parte di An invece vorrebbe tenerle, perché questo consentirebbe al
partito della destra di riequilibrare in parte quel rapporto 70-30 che
Forza Italia imporrebbe ad Alleanza nazionale in caso di liste
bloccate. I due hanno convenuto che le preferenze andrebbero mantenute,
ma riducendole ad una in tutti i collegi. E in vista del convegno
autunnale promosso dalla dalemiana ItalianiEuropei e dalla finiana
Farefuturo, Fini e D’Alema si sono trovati d’accordo anche sulla
formula del «federalismo solidale», in altre parole cassando la
soluzione più radicale, quella che in gergo si definisce alla
«lombarda». Ma una certa intesa si sarebbe trovata anche sui temi della
giustizia. D’Alema lo ha fatto capire più volte: in questo campo la
sinistra dovrebbe essere più coraggiosa. Nel discorso del 10 luglio
alla Camera, quello nel quale ha invitato Silvio Berlusconi a
rinunciare al Lodo Alfano e ad «affrontare i giudici», ad un certo
punto D’Alema ha detto: «I mali della giustizia certamente esistono e
il Parlamento dovrebbe affrontarli in modo più meditato e, forse, più
condiviso». Parole che sono state colte da Fini, che due giorni fa, con
la misura imposta dal suo ruolo, ha riproposto una giustizia per tutti
i cittadini e attenta non soltanto «alle prerogative di alcuni».

Certo,
nel 2008 un incontro tra Massimo D’Alema e Gianfranco Fini non è
paragonabile a quelli – segretissimi e rivelati soltanto anni dopo –
tra il leader del Pci Enrico Berlinguer e quello dell’Msi Giorgio
Almirante, che si incontravano in ore improbabili in uffici nascosti di
Montecitorio. Oramai tutti incontrano tutti, eppure per molti anni tra
D’Alema e Fini è restata una certa ruggine. A lungo ha pesato il
tentativo – promosso nel gennaio 1996 dall’allora leader Pds – di
varare un governo Maccanico di larghe intese per le riforme
istituzionali, tentativo che fallì per la convergente opposizione di
Romano Prodi e del leader di An. Ora Fini e D’Alema si trovano in una
situazione politica e psicologica diversa da quella di 12 anni fa.
Fini, dopo un rodaggio segnato da qualche smagliatura nell’approccio
con l’aula, ha scelto per sé un profilo istituzionale super partes e
nelle prime settimane da presidente della Camera ha cercato e trovato
una solida intesa con Giorgio Napolitano. Trovate le misure, ora Fini
sta cercando un ruolo, un profilo. Una situazione con qualche punto di
contatto con quella di D’Alema, anche se il punto di partenza è
opposto. L’ex premier per la prima volta nella sua vita si ritrova
senza incarichi di partito o istituzionali e si sta ritagliando un
ruolo di forte autonomia con la Fondazione ItalianiEuropei e
l’associazione Red. A tal punto che Walter Veltroni ha appreso la
notizia dell’incontro tra D’Alema e Fini da un flash delle agenzie.Nel
Partito del popolo della libertà sembra essere tornato il sereno dopo
la rivolta dei deputati contro le parole di Silvio Berlusconi sulla
presunta «superiorità» dei loro colleghi del Senato.

Tutto è iniziato
martedì, con la maggioranza battuta alla Camera su un emendamento del
decreto Milleproroghe, a causa delle numerose assenze dei deputati del
Pdl. Fatto che ha irritato il presidente del Consiglio che, durante una
cena con i senatori del partito, ha definito «indiscussa e
indiscutibile» la loro superiorità rispetto ai deputati. Parole che non
sono andate giù al vicecapogruppo del Pdl alla Camera Italo Bocchino
che ha definito le affermazioni del premier «infelici, irrispettose e
irricevibili». «Le parole di Berlusconi – ha precisato Bocchino –
provocano un ulteriore disagio ai deputati, già costretti a convertire
decreti blindati del governo». Nel pomeriggio, l’intervento del
ministro Ignazio La Russa che ha ridimensionato le affermazioni
incriminate, negando ci fosse alcun «biasimo per il gruppo alla Camera
del Pdl», ha chiuso l’incidente diplomatico all’interno del Pdl,
archiviato da Bocchino come «un equivoco creato dai giornali».