Arturo Parisi è convinto che
un giorno il Polo lo ringrazierà. Perché se le primarie sono oggi
considerate come una mossa volta solo a consolidare il primato di
Romano Prodi nel centrosinistra, «in futuro il centrodestra si renderà
conto del regalo che gli abbiamo fatto». Spesso ama tornare al vecchio
mestiere di politologo, e in questa veste affronta l’ argomento,
allungando lo sguardo nel campo avverso, oltre l’ attuale orizzonte, in
là nel tempo, quando cioè «il Polo dovrà scegliere il successore di
Silvio Berlusconi». Senza più il Cavaliere, il centrodestra potrebbe
trovarsi nelle stesse condizioni in cui si sono trovati gli avversari,
forti di tanti leader e perciò deboli nella leadership, paralizzati
dalle ambizioni dei singoli e dai veti incrociati dei partiti, «e
proprio grazie alle primarie il Polo potrebbe dirimere la controversia
sul candidato premier senza entrare in crisi». Parla del Polo il
braccio destro di Romano Prodi, ma è chiaro che pensa all’ Ulivo, alle
resistenze che avverte tra gli alleati e che si celano dietro la
richiesta di regole. Raccontano che Fausto Bertinotti segua un po’
sbigottito il dibattito provocato dalla sua decisione di sfidare il
Professore alle primarie, ed è infatti strano che nell’ Ulivo si
arrovellino per trovare regole utili solo a impedire la sua
candidatura. E perché mai il leader di Rifondazione dovrebbe desistere?
Forse, senza saperlo, nelle sue conversazioni riservate Bertinotti usa
gli stessi argomenti adoperati da Parisi nei riguardi del
Polo: «Piero Fassino non dovrebbe temere la mia candidatura. A parte il
fatto che non sono stato io a chiedere le primarie, i Ds potranno
comunque sfruttare questo strumento quando sarà finito il tempo di
Prodi e si dovrà scegliere il candidato successivo. Visto che non si è
voluto adottare il modello anglosassone, in base al quale il leader del
partito di maggioranza è automaticamente il leader della coalizione,
allora non rimane che il modello americano delle primarie per decidere
la leadership. Insomma, in futuro anche alla Quercia converrà: il dopo
Prodi potrà dar vita a una competizione serrata». C’ è una forte
assonanza tra le parole di Parisi e quelle di Bertinotti, e
dunque il Polo e l’ Ulivo dovrebbero essere grati del «regalo». Che
però a tutt’ oggi i diessini considerano ancora un atto di generosità
verso Prodi, politicamente molto, forse troppo dispendioso. Ecco perché
vorrebbero derubricare le primarie, organizzando un’ assemblea dove
alcune migliaia di grandi elettori offrano al Professore il ruolo di
candidato premier. Ma così si tornerebbe a un’ investitura dei partiti,
e non è questo ciò che chiede il fondatore dell’ Ulivo. Lui vuole una
indicazione popolare, «un milione di cittadini» pronti a scegliere da
chi farsi rappresentare nello scontro con il Cavaliere. Per anni Parisi
è stato accusato di essere un destrutturatore, un politologo capace
solo di chiedere ai partiti di chiudere bottega per aprirne un’ altra
più grande: «Scioglietevi», disse ai Ds alla vigilia del congresso di
Torino, scatenando le ire dei dirigenti della Quercia. E quando corse
voce che stava lavorando a scomporre anche la Margherita, gli abitanti
del Palazzo gli affibbiarono un soprannome noto anche al presidente
della Camera. Che affettuosamente lo riferì a un esponente dell’ Ulivo:
«Come, non lo sai? Lo chiamano “Alì il chimico”». In realtà, la sua
ambizione è fare in modo che «il bipolarismo si compia
definitivamente», e le primarie «sono uno strumento che ne garantirà il
percorso». E’ un «regalo», lui dice. Anche se costa, e non solo
politicamente. I tesorieri dell’ Ulivo non hanno ancora fatto i conti,
ma da una prima, sommaria ricostruzione servirebbero almeno 3 milioni
di euro per informare gli elettori di centro-sinistra e per consentire
a un milione di loro di votare. Spiccioli, se si pensa alle
presidenziali americane, un’ enormità se valutati con i bilanci dei
partiti. Ma è il costo del «regalo» per il bipolarismo.