ANKARA – «Le opinioni pubbliche europee sono scettiche verso i turchi? Parleremo con la gente, ci spiegheremo, gli scettici si ricrederanno. E nonostante i referendum che stanno nascendo ovunque per calmare o soddisfare quelli che si oppongono al nostro ingresso, la Turchia ce la farà. Continueremo le riforme avviate: la nostra è una rivoluzione silenziosa».
Recep Tayyip Erdogan sposta più avanti la sfida accettata dall´Europa. Soddisfatto per il sì all´avvio dei negoziati di accesso all´Unione, cauto sulle dure condizioni poste dalla Commissione, non si scompone e guarda al futuro con un certo ottimismo. Una volta rientrato ad Ankara dopo il successo ottenuto a Bruxelles e Strasburgo, espone i suoi progetti in questa intervista esclusiva rilasciata a Repubblica, la prima concessa dopo aver incassato un risultato che l´intero paese ieri definiva storico.
Nell´ufficio piazzato dentro il cuore del palazzo riservato alla presidenza del Consiglio, il leader turco, 49 anni, è circondato dai consiglieri, primo fra tutti il giovane e fidatissimo Egemen Bagis che lo assiste senza abbandonarlo un attimo. Lo stemma con la bandiera rossa e la mezzaluna appuntato al bavero, una cravatta regimental indossata su un abito scuro, Tayyip bey, il signor Tayyip come solo gli intimi lo chiamano, è tranquillo. Tribuno appassionato dal palco, oratore efficace in pubblico anche se talvolta un po´ troppo declamatorio e impetuoso, nei colloqui personali la qualità che colpisce invece in Erdogan è la pacatezza. Una forza che sembra giungergli da dentro e gli ha permesso di superare difficoltà e traversie, mesi di carcere compresi (dietro la passata accusa di aver incitato all´odio religioso), spronandolo ad abbattere ostacoli e diffidenze.
Venditore da bambino di simit (il pane di sesamo) agli angoli delle strade, calciatore professionista bloccato dal padre, Tayyip ha trasformato la forza e la calma in doti politiche. Pupillo del tradizionalista Erbakan allontanato nel 1997 dai militari, Erdogan ha poi lasciato il suo mentore costruendo dal niente una formazione sempre di ispirazione islamica, ma moderata e di orientamento conservatore.
L´opposizione repubblicana del partito fondato da Ataturk, dopo il plauso riscosso mercoledì in Europa dal governo turco, si trova ora con le armi spuntate. Il signor Tayyip si gode il momento di notorietà, con la scrivania sovrastata di giornali e la sua foto ritratta sulle prime pagine di tutto il mondo.
Primo ministro, un risultato storico, d´accordo. Ma la strada della Turchia appare lunga, con un possibile ingresso non prima del 2015. Un percorso a tappe: la prossima?
«A dicembre, con la decisione presa dai governi dei paesi membri, e cioè il Consiglio europeo. In quella sede sapremo quando potremo cominciare i negoziati di ingresso».
La data agognata, dunque. Pensate di ottenerla?
«Sono fiducioso. A Bruxelles la Commissione ha raccomandato il Consiglio per l´avvio delle trattative. Se il 17 dicembre la decisione sarà positiva, allora i negoziati cominceranno senza ritardi».
Quando?
«Ci aspettiamo i primi mesi del 2005».
L´Europa ha deciso sulla Turchia con un “sì, ma…”. Cioè con molte condizioni: monitoraggio, clausola di sospensione, ed altre. Quanto possono incidere queste modalità nel vostro percorso?
«A Bruxelles abbiamo ricevuto la prima luce verde. Ho trovato le valutazioni e le analisi della Commissione equilibrate. E voglio ringraziare soprattutto il presidente Romano Prodi per il suo contributo costruttivo. Non penso che ci saranno condizioni nuove o aggiuntive per la Turchia, nemmeno a dicembre. La decisione dovrà essere definitiva, non equivoca, cristallina insomma. Credo che l´Unione europea non farà alcuna discriminazione e continuerà a trattarci nello stesso modo degli altri paesi di nuovo accesso, così come ci è stato confermato in diverse occasioni».
Però alcuni membri europei, prima fra tutti la Francia, stanno pensando di organizzare dei referendum per sottoporre l´ingresso della Turchia a giudizio popolare. Lei accetta l´idea del referendum?
«Come ho detto ci aspettiamo di essere trattati allo stesso modo degli altri. Non vogliamo essere soggetti ad alcun nuovo maneggio che diverrebbe così una discriminazione. Il referendum non è in questione. È un provvedimento ingiusto. Non credo che tenere un referendum su un argomento come questo, solo per accontentare o soddisfare quelli che si oppongono all´eventuale ingresso della Turchia nella Ue, sia una buona idea. Ma non ne abbiamo comunque paura».
E come farete ad opporvi ai turco-scettici che già montano in Europa, e progettano di piazzare nuovi ostacoli sul vostro cammino – ad esempio la questione di Cipro o quella del cosiddetto genocidio armeno – per ritardare l´ingresso di Ankara?
«Tutti sanno come si svolge il processo dei negoziati. Noi ci metteremo anni per adempiere ai criteri richiesti. Coopereremo con la controparte europea per portare questo lavoro, lungo e difficile, a una conclusione vincente. Le trattative non saranno brevi, ma speriamo che vengano completate in un periodo di tempo ragionevole. Cercheremo anche di parlare con più efficacia alle opinioni pubbliche dei paesi membri e spiegare loro i benefici del nostro ingresso. Sono convinto che durante i negoziati agli scettici cadranno le loro obiezioni».
L´Europa dunque si chiede se davvero continuerete le riforme che vi sono state chieste?
«La nostra è stata una rivoluzione silenziosa. Il mondo intero ha potuto vedere i nostri sforzi e i risultati ottenuti. Voglio ripetere il nostro impegno a rispettare valori come le libertà individuali, i diritti umani e le regole della legge. Ma i cittadini turchi sanno che non potremo essere membri dell´Unione europea finché non avremo ultimato le nostre riforme. Ci attendono giorni difficili. Dovremo operare tutti insieme per una trasformazione di mentalità e farla accettare a 70 milioni di abitanti. Continueremo i nostri sforzi per unirci a voi».