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26 Gennaio 2008

Con la fusione fredda il Pd fa un autogol

Autore: Gianni Baget Bozzo
Fonte: Il Giornale

Il presidente della Repubblica
non ha in mano la crisi di un governo, ma quella della Repubblica. E lo è
perché la sinistra ha pensato di dover rinunciare alla sua anima per essere
legittimata a governare. Questa è stata la base dell’operazione Parisi, che ha
incartato i postcomunisti, chiamiamoli così come titolo d’onore, nell’Ulivo,
nell’Unione e nel Partito democratico. I diessini si sono fatti imporre una
forma di alleanza in cui essi erano schiacciati tra Diliberto e Di Pietro,
dovevano portarne il peso e fare la sedia gestatoria di Romano Prodi.

Le forme politiche con cui i
diesse sono andati al governo del Paese sono state sempre pensate in funzione
della mimesi: trovare un modo per non dire la parola «comunista». Ciò li ha
condotti ad accettare, per abbattere Berlusconi, di essere inclusi in un
insieme di scatole cinesi che è il Partito democratico, fatto per nascondere
sotto la mimesi di elezioni dirette nelle primarie come metodo permanente del
partito la presenza dei comunisti e dei democristiani. Gli uni e gli altri si
sono condannati a rimuovere la propria memoria come condizione per andare al
governo. E pensare che questo non era nemmeno necessario perché gli elettori li
conoscevano bene e li avrebbero votati lo stesso. Sia il Partito democratico
sia l’Unione e l’Ulivo sono invenzioni di Parisi per ottenere che la volontà
mimetica dei democristiani e dei comunisti desse luogo al loro nascondimento
sotto il volto di Prodi, che diveniva così il legittimatore dei due partiti
rimossi. Ex democristiani e postcomunisti hanno voluto conservare il loro
potere, ma a prezzo di censurare la propria identità. E così sono diventati
«democratici», mere creature politologiche create dal solo politologo che abbia
cambiato la politica, Arturo Parisi. Ora questa operazione è giunta al termine.
E vi è giunta, come la volta precedente, con il primo governo Prodi, grazie a
una defezione interna alla maggioranza. Quella volta era consistente, era la
sinistra antagonista che usciva dal governo per motivi di politica estera. Oggi
Mastella esce dal governo per il suo processo di Santa Maria Capua Vetere e
Dini che lo imita, esprimendo con il suo gesto l’ala rutelliana della
Margherita.

La crisi è dunque interna al
Partito democratico. Ed è nata dal fatto che ex democristiani e postcomunisti
hanno avuto vergogna di dirsi tali e hanno scelto un essere generico
indifferenziato e anonimo che non ha nulla di politico e di reale, è del tutto
politologico. Se pensiamo che esso si ispira all’idea di impiantare in Italia
il partito democratico americano, appare chiare la sua irrealtà. Che strane
bestie sono i politologi! In quanto sociologi, essi considerano solo schemi
astratti e generici, e dimenticano la storia; preferiscono il generale e
aborriscono il particolare quando si rifiuta di essere generalizzato. Ed è
questa identità astratta di «democratici» che è stata imposta alle due forze
del passato che costituiscono il nuovo partito. I postcomunisti hanno sempre
considerato un insulto essere chiamati tali. È stato un grave errore perché la
storia del Pci ha delle vergogne come tutte le storie comuniste, ma ha una
differenza e un’identità che non si possono disconoscere. Averle annullate ha
logorato la sinistra italiana derivata dal Pci e la sua capacità di unire
popolo e istituzioni.

Uscire dalla sacca di Parisi sarà
difficile, liberarsi dalla mimesi di essere altro da sé ancora di più. Ma è la
sinistra che ci precipita verso nuove elezioni in un Paese che è ai limiti
minimi di fiducia nelle istituzioni e non vuole rieleggere la «casta». Fortuna
che c’è il centrodestra, che c’è Berlusconi che ha il coraggio di chiedere le
elezioni quando sa che, se vincesse, riceverebbe un Paese a cui dolgono le
istituzioni, a cui duole uno Stato che non è più Stato. Berlusconi sa bene che
cosa lo aspetta se vince le elezioni. Ma se non avesse voglia di vincerle,
quale speranza rimarrebbe alla democrazia? Governare oggi l’Italia, dopo il
governo Prodi, non conviene a nessuno.

Se esistessero ancora comunisti e
democristiani in questa maggioranza bisognerebbe dire loro di battere un colpo
contro il sistema di Arturo Parisi, che ha trasformato la loro volontà di
nascondersi in un laccio mortale.