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1 Luglio 2008

Come fare l’opposizione

Autore: Gianfranco Pasquino
Fonte: L'Unità

Imbarcatasi in una offerta prematura di dialogo
generale/generico, senza paletti, senza priorità, senza proposte, con
il governo di Berlusconi, l’opposizione del Partito Democratico si è
immediatamente trovata stretta in una quasi paralizzante tenaglia. Da
un lato, collocata sulla trincea più favorevole poiché
antiberlusconiana di lungo e sperimentato corso, si trova l’Italia dei
Valori di Di Pietro che non è esclusivamente espressione e referente di
nient’affatto disprezzabili girotondini i quali, a prescindere dalle
opinioni di Follini, non possono essere considerati un «incubo».

Dall’altro,
si crogiolano gli ineffabili sostenitori “senza se e senza ma” del
governo (nella stampa e nell’opinione pubblica) che denunciano del
tutto strumentalmente le apparenti contraddizioni del Pd che loro
gradirebbero fosse non soltanto dialogante, ma subalterno e connivente.
Tuttavia, chiarite le differenze con Di Pietro e respinte con fastidio
le critiche pelose dei berlusconeggianti, il problema di come fare
opposizione, anzitutto,in Parlamento, ma anche, democraticamente, nelle
piazze, esiste e deve essere affrontato.

Non serve farsi
confortare da numeri e da percentuali fantasiosamente interpretate che
metterebbero il Partito democratico sullo stesso livello di consenso di
altri partiti socialisti e socialdemocratici europei, molti dei quali
sono attualmente al governo, la maggior parte lo sono stati anche a
lungo e per lo più hanno prospettive piuttosto realistiche di tornarvi
presto. Semmai, bisognerebbe, prestando grande attenzione ai contesti
politici e istituzionali, analizzare come fanno opposizione i partiti
di sinistra in Europa. Servono, invece, interventi incisivi e efficaci
che caratterizzino l’opposizione del Partito Democratico non per la sua
propensione al dialogo, ma per la sua capacità di contrasto e di
costruzione di un’agenda diversa da quella del governo.

Naturalmente,
questa duplice meritevole operazione richiede che il partito eviti sia
qualsiasi unanimità dietro al leader, che non potrebbe che essere
fittizia e di facciata, ma non produttiva e che, in particolare,
riscontrerebbe notevoli difficoltà a produrre e valorizzare idee ed
iniziative originali, sia qualsiasi frammentazione in Fondazioni e
altri strumenti che intendano caratterizzarsi come luoghi alternativi
per il confronto di idee e di proposte, ma anche di critiche che,
invece, debbono nell’istanza decisiva esprimersi negli organismi
propriamente di partito.

Respingere nettamente tutti i decreti
e i disegni di legge che riguardano i problemi personali del Presidente
del Consiglio è un’attività democratica essenziale che va motivata con
riferimento al merito di ciascun provvedimento, ma anche perché quei
provvedimenti stravolgono il funzionamento del Parlamento e sono molto
probabilmente forieri di scontri istituzionali, non meno gravi perché
prevedibili, messi in conto, se non addirittura voluti. Si farebbe
torto alle menti avvocatesche dei consiglieri di Berlusconi pensandola
diversamente, ovvero come se fossero inattesi incidenti di percorso.
Nessun dialogo è possibile su leggi e decreti ad personam che si
configurano come fattispecie del l’irrisolto e, occasionalmente,
drammatico conflitto d’interessi, gigantesco macigno sul percorso che
condurrebbe al l’affermarsi di una democrazia davvero “liberale”,
intessuta di diritti e di doveri.

Qualsiasi limitato e
circoscritto dialogo non può che iniziare e svilupparsi su tematiche di
interesse nazionale, ovvero relative al sistema socio-economico
italiano, sulle quali forse dovrebbero riflettere anche le associazioni
industriali, alcune delle quali, a partire dal vertice, appaiono già
troppo appiattite sulle preferenze del governo. Non è affatto detto che
l’iniziativa sulle tematiche della crescita economica, dei contratti,
dei salari, della Pubblica Amministrazione debba rimanere nelle mani
del governo, anche se, ovviamente, e, in una certa misura, giustamente,
il governo parte avvantaggiato. Tuttavia, un’opposizione compatta,
numericamente forte, competente per quel che riguarda i lavori e i
regolamenti parlamentari e gli argomenti sui quali vuole sviluppare la
sua azione, anche sfidando i sindacati del pubblico impiego, avrebbe
molte probabilità di essere incisiva.

Scrivere un’agenda
alternativa delle priorità del Paese, di quello che, come spesso si
dice, interessa davvero gli italiani, è non soltanto possibile, ma
indispensabile. Sarebbe leggermente meno complicato se il Partito
Democratico definisse con chiarezza a chi, evidentemente non a tutti
gli italiani, intende rivolgersi. Mi piacerebbe sottolineare
l’opportunità di individuare i ceti sociali ai quali, seppur senza
preconcette chiusure, il Pd dovrebbe fare riferimento, per esempio,
nell’affrontare con determinazione la “questione salariale”.

La
decisione di Veltroni, annunciata ieri dalla lettera all’Unità, di
riportare selettivamente la proposta, il confronto e l’ascolto in un
rinnovato viaggio fra gli elettori, anche come modo di radicare idee
strutture del Partito Democratico, contiene le potenzialità di un
miglioramento dell’attività di opposizione. Ovunque, nei sistemi
politici occidentali, questo prezioso compito democratico di contrasto
e di controproposta, di riscrittura dell’agenda politica, tocca,
anzitutto alla leadership, del Partito e dei gruppi parlamentari, ma,
nel contesto italiano attuale, vi si potrebbero concretamente
esercitare tutte le Fondazioni sorte nei dintorni del Partito
Democratico, per sollecitarlo e per coadiuvarlo, in special modo quelle
fondazioni che si definiscono rosse e riformiste.
Da subito.