A vederlo cimentarsi su una palestra di roccia com’è accaduto pochi giorni fa, non si direbbe che Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e ministro ombra dell’altrettanto ombreggiato governo Veltroni, veleggi verso i sessanta. Eppure è così, il traguardo è dietro l’angolo: il prossimo 1° settembre. Ma della presunta sfida dei quarantenni del Pd, i «bettiniani» che si struggono nel dubbio su cosa faranno da grandi se Walter molla tutto e va in Africa, il «Chiampa» come giovanilisticamente lo chiamano tutti, fa spallucce. E svicola un po’.
«Non so se c’è un partito dei quarantenni nel Pd che guarda alla successione di Walter – dice – so però che è naturale e salutare che i giovani spingano per emergere. Il problema è che le sfide vanno fatte sulla base di proposte strategiche e qualsiasi generazione deve cercare di fare coincidere il dato anagrafico a una strategia che dia spazio all’idea costitutiva del Pd, a cominciare da Veltroni».
Quindi manca una strategia?
«Vuol dire che non siamo andati molto oltre l’idea costituiva del Pd, è questo il punto politico e questo vale per tutti a cominciare da Veltroni anche se si sta ragionando come se lui fosse già in Africa, cosa che non mi pare e nemmeno ritengo utile che avvenga».
Ma secondo lei questi giovani una proposta strategica ce l’hanno? E il cosiddetto partito dei sindaci che dice?
«Intanto il partito dei sindaci non c’è mai stato, ci sono dei singoli che su alcune cose hanno idee simili e su altre no. Per quanto riguarda i quarantenni le rispondo che uno può essere stato iscritto giovanissimo al pci o alla dc ed essere comunque portatore di idee, freschezza e strategie. Ora siamo alla prova del budino».
Cioè?
«La strategia bisogna costruirla, fare le battaglie politiche per affermarla e poi assaggiarla, nel senso di metterla alla prova dei prossimi appuntamenti elettorali».
E quale sarebbe, secondo lei, la strategia-budino migliore?
«Bisognerebbe intanto partire dall’analisi del voto e della sconfitta senza troppe autoassoluzioni e drammatizzazioni e capire che cosa possiamo fare. Comprendere cosa abbiamo raggiunto di importante con il voto e dove non siamo riusciti a intercettare il paese. Insomma, cominciare da lì e porsi delle domande. La mia sensazione è che alla fine il rimescolamento di carte c’è stato. Il dato non positivo è che, in termini elettorali, si conferma che siamo sempre quel terzo di italiani che la sinistra tradizionale si porta a casa dal dopoguerra. E’ questo il segno culturale e sociale che dovrebbe fare riflettere, non perché mi facciano schifo quei voti ma perché in un momento in cui sta cambiando tutto, un radicamento, una relativa staticità di insediamento sociale e culturale è preoccupante. Dobbiamo cioè capire come riuscire a parlare a strati sociali nuovi».
Oltre ai quarantenni che si preoccupano della successione c’è uno come Parisi che chiede a Veltroni di andarsene: quella che strategia è?
«E’ una scorciatoia e non confonderei la battaglia politica su concetti strategici e il futuro del Pd con il regolamento di conti all’interno del gruppo dirigente ristretto del partito. Anzi, se quest’ultimo è il destino prossimo venturo me ne resto nella mia provincia, faccio, metaforicamente parlando, come Cincinnato. Di questo regolamento di conti non mi interessa nulla, mi interessa capire se c’è un partito o dei gruppi nel partito, di quarantenni o cinquantenni va bene lo stesso, che hanno progetti su come andare avanti».
Ad esempio?
«Smettendo di pensare che la vittoria della destra sia destinata a durare lo spazio di un mattino. Non penso che si possa governare un paese come l’Italia a colpi di tessere annonarie o Robin Tax, provvedimenti che sono solo un prolungamento della campagna elettorale. Dobbiamo fare uno sforzo per cercare di introdurre elementi di cambiamento nell’agenda politica del paese e questo presuppone un’analisi del paese: dov’è e quali sono i suoi punti critici. Uscirei quindi da questa contrapposizione un po’ artificiosa fra dialogo e contrapposizione perché, come scrive Sergio Romano, il problema è un riconoscimento reciproco delle forze che fanno opposizione dopodiché su alcuni temi ci possono essere dialogo e confronto e su altri no perché ci sono punti di vista opposti. In ogni caso, perché si arrivi a fare contrapposizione o dialogo bisogna che esistano dei punti di vista».
E il Pd non ne ha?
«Vedo onestamente un po’ di stanchezza, qualche elemento di disillusione».