Un partito si impianta, si costruisce, si rafforza e, persino, si
espande quando le sue procedure di reclutamento degli iscritti sono
inclusive, vale a dire aperte ad un seguito potenziale molto ampio, e
le sue procedure di selezione dei dirigenti e dei candidati sono
altrettanto aperte, ma anche trasparenti e competitive. Nel suo Statuto
nazionale (e, per quello che è possible saperne, anche negli Statuti
regionali), il Partito Democratico afferma solennemente principi. Il
primo, che tutte le cariche monocratiche debbono essere contendibili.
Il secondo, che le primarie debbono costituire lo strumento principale
per scegliere le candidature a quelle cariche, ovvero per consentire
agli iscritti e, forse anche agli elettori potenziali di partecicpare
ai processi di selezione. Naturalmente, almeno in una certa misura, è
comprensibile che il passaggio dalla lettera (e dallo spirito) degli
statuti alla pratica risulti in non poche realtà locali alquanto
complicato e conflittuale. Tuttavia, almeno su un punto, dovrebbe
essere reso chiaro e ribadito che non si può tornare indietro.
Qualora
ci sia più di una candidatura ad una carica elettiva si debbono indire
elezioni primarie e non come qualcuno ha sostenuto convocare «robuste e
sane (a parere di chi?) assemblee cittadine» che non sono menzionate da
nessuna parte nello Statuto e che certamente sarebbero tutto meno che
mobilitanti per gli iscritti e gli elettori. A Firenze, grazie al fatto
che il sindaco non è rieleggibile, la situazione sembra chiarissima. Si
sono variamente manifestate diverse candidature e, dunque si dovranno
tenere elezioni primarie per sceglire fra di loro il prossimo candidato
sindaco. Rimane, però, da specificare un punto chiave: saranno primarie
ristrette ai soli iscritti al Partito Democratico oppure saranno
primarie di coalizione aperte sia a candidature non del Pd, ma espresse
da partiti disposti a governare con il Pd, sia agli elettori dei
partiti coalizzabili? Comunque si decida, ed esistono buone ragioni per
entrambe le opzioni, un altro punto dovrebbe essere chiaro o chiarito.
Idirigenti dei partiti, a cominciare dal Pd, hanno il diritto di
esprimersi a favore di una candidatura piuttosto che di un’altra, ma
nessuno di loro può impegnare il partito in quanto tale. A Bologna e in
tutte le situazioni nelle quali vi sia un sindaco in carica che aspira
al secondo mandato, la situazione è più complessa. E, infatti, non
mancano le tensioni. Il principio generale dello Statuto nazionale deve
essere fatto valere senza tentennamenti e senza eccezioni. La carica è
contendibile. Dunque, se qualcuno vuole candidarsi, bisogna, anzitutto,
che si faccia avanti e alzi la mano, come ha detto Arturo Parisi, ma
subito dopo quell qualcuno deve darsi da fare per raccogliere il numero
di firme stabilite dal regolamento del Partito Democratico. Per il
sindaco in carica, la raccolta di firme non dovrebbe essere necessaria,
ma questo non significa affatto che il sindaco possa firmare, come ha
provocatoriamente dichiarato un paio di volte Cofferati, per il suo
eventuale oppositore, che sia uno o più di uno.
Leggo
che, un po’ dappertutto serpeggia il timore di primarie laceranti che
conducano poi alla sconfitta nelle elezioni amministrative. Sembra che
sia già anche successo così, ma mi riserverei di approfondire se la
causa della sconfitta non fosse un partito già diviso piuttosto che il
prodotto di primarie male congegnate e peggio praticate. Mi parrebbe
ovvio che chi si candiderà alle primarie debba assumere il nobile e
solenne impegno ad appoggiare chiunque conquisterà la candidatura.
Continuo anche a pensare che un partito che si chiama “democratico”
debba essere costituito da persone, gentildonne e gentiluomini, che si
comportano in maniera democratica, accettando il verdetto espresso
dagli elettori e che sappiano che un Partito cresce quando vince le
elezioni e che, dunque, la vittoria del prescelto dalle primarie
servirà a tutto il partito e quindi anche a candidate sconfitti nelle
primarie.
Non voglio, in conclusione, in nessun modo negare che le
primarie sono uno strumento che produce anche tensione e delusione.
Penso, poiché molti richiamano le primarie presidenziali Usa (ma quelle
italiane dovrebbero essere piuttosto paragonate alla scelta dei
candidati governatori Usa), al sofferto discorso di “concessione”
splendidamente pronunciato da Hillary Clinton. Ma, le primarie
producono anche informazioni sulla biografia politica dei candidati,
sui programmi e sulle priorità. Non sono mai “concorsi di bellezza” e,
infine, lanciano, sulla coda della mobilitazione conseguita, una
campagna elettorale che parte con l’abbrivio. I cittadini coinvolti non
soltanto saranno più soddisfatti, ma probabilmente saranno anche
disponibili a partecipare attivamente per fare vincere il candidato
prescelto.