LETIZIA Moratti ha voluto, firmato, difeso e fatto approvare dal Parlamento una legge sulla riforma della scuola. Una brutta legge. Una legge che non ci piace e non piace alla maggior parte degli operatori della scuola. E allora? Forse che questo le toglie il diritto di partecipare, a Milano, con altre decine di migliaia di cittadini, alla celebrazione dell´anniversario della nostra Liberazione? Letizia Moratti ha tutto il diritto di sfilare a Milano e di celebrare così la data del 25 aprile, fondamento della nostra Costituzione e della nostra Repubblica. È un diritto che appartiene a tutti gli italiani e le italiane quale sia il partito per il quale hanno votato.
Il gesto, stupido e fazioso degli autonomi milanesi che con le loro proteste e i loro insulti hanno costretto l´ex ministro dell´Istruzione ad uscire dal corteo ci offende tutti. Ed è tanto più deprecabile in quanto la Moratti vi partecipava accompagnando il padre, già deportato a Dachau e insignito di una onorificenza dal nostro presidente della Repubblica.
La cerimonia di Milano è stata turbata da altre gravi intemperanze degli «autonomi» e di esponenti dei centri sociali. Dopo l´aggressione e l´espulsione dal corteo della Moratti, ci sono stati i fischi ed insulti a Epifani e Pezzotta, non si sa bene di cosa colpevoli. E poi fischi ed insulti ai superstiti di quella Brigata Ebraica che ha partecipato anch´essa, nelle gloriose giornate del 1945 alla liberazione del nostro Paese. Quei reduci, ormai pochi, ieri sfilavano per le vie di Milano con le loro bandiere insieme ai reduci delle nostre brigate partigiane, a fianco e assieme agli esponenti della Comunità ebraica di Milano. Avevano, hanno tutto il diritto di farlo. Hanno diritto alla nostra memoria ed alla nostra riconoscenza. Qualcuno non ha sentito questo obbligo di memoria e riconoscenza. Altri autonomi e componenti dei centri sociali li ha presi a mira dei loro insulti e fischi. Poi, non contenti ancora, gli stessi hanno strappato e bruciato una bandiera di Israele.
Romano Prodi ci ha richiamato spesso, e non ha perso occasione di farlo anche ieri nel corso del comizio di Milano, al compito alto della ricostituzione dell´unità del Paese. Un compito non facile non solo per l´asprezza della campagna elettorale appena terminata ma anche e forse sopratutto per l´arroganza e la protervia con la quale Berlusconi si rifiuta ancora oggi di riconoscere la sua certificata sconfitta. Siamo in una situazione del tutto anomala che rende torbido il clima politico, alimenta nuovi sospetti, esaspera le divisioni. Si rischia così di rendere ogni giorno più difficile quella unificazione del Paese che è condizione indispensabile per l´uscita dalla difficile situazione in cui si trova e per l´avvio della sua crescita.
Tutto ciò che turba, inquina e rende più difficile questo processo di unificazione, di pacificazione del Paese va condannato senza esitazioni ed indulgenza. In primo luogo quando venga dalla parte che è uscita sconfitta dalle elezioni e che cerca con sempre nuovi espedienti di rinviare la formazione del governo.
Ma anche quando venga da alcuni settori, per quanto minoritari, dello schieramento che è uscito vincente dalle elezioni. Ne fanno parte uomini e gruppi che nel nuovo clima che si è creato nel Paese con la vittoria dell´Unione, possono proporsi di accentuare le proprie posizioni, di cercare nuovi consensi, di allargare la propria influenza. Sono gli stessi gruppi che poche settimane fa, a Milano, in nome di un pretestuoso antifascismo, ingaggiarono una battaglia di strada sfasciando le vetrine di Corso Buenos Aires e dando fuoco alle macchine in parcheggio.
Sono gli stessi gruppi che hanno contestato a Bologna l´azione del sindaco Cofferati a difesa dell´ordine e della legalità. Sono gli stessi gruppi che ieri a Milano si sono arrogati il diritto di decidere chi potesse partecipare al corteo in memoria della Resistenza, e chi dovesse esserne escluso. Tenere a bada queste spinte e coloro che in nome della «conflittualità sociale» le alimentano sarà compito non solo e non tanto del nuovo governo, ma delle forze politiche che ambiscono dare una guida al Paese e che dal Paese hanno ottenuto fiducia. Non in nome di un aumento della conflittualità sociale, ma in nome, e con la speranza, di una soluzione concordata e pacifica dei più gravi problemi del Paese.