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8 Ottobre 2004

Che cosa agita i due leader del listone?

Autore: Federica Fantozzi
Fonte: l'Unità

Alla vigilia delle Europee di giugno scorso, varo dell’esperimento lista unitaria, Romano Prodi dichiarava all’Espresso: «L’obiettivo è la creazione di un settore, il più ampio possibile, di stabilità politica e di credibilità in chiave di governo. Non c’è nulla nel sistema politico italiano che abbia il potenziale di attrazione della lista unica. Ma parlando di rischio non mi riferivo solo al centrosinistra. Se la lista dovesse andare sotto le attese, insieme a un cattivo risultato di Fi ci troveremmo di fronte una situazione di virtuale pre-crisi di sistema».

Ieri, dopo le Europee con il listone al 31% e gli azzurri in picchiata, Massimo D’Alema dichiarava al Riformista: «C’è una campagna per indebolire Prodi. In questo Paese la leadership politica è sempre sotto scopa, ci sono forze che non amano la politica in sé. Vogliono usare la crisi del berlusconismo per innescare un cambio di stagione e liberarsi del

sistema bipolare». Nel 1993 lo slogan prodiano era: «Un Paese moderno non si governa con la proporzionale». Un decennio dopo D’Alema chiosa: «Il progetto di Prodi è più innovativo, quello di Rutelli viziato da un residuo proporzionalista».

Che cosa agita i due leader del listone? Chi, e perché, rema contro il bipolarismo? A quali «oligarchie» della «vecchia Italia» tutta «salotti e passeggiate» fa riferimento il presidente Ds? Esistono davvero, e che faccia hanno, i poteri forti tessitori in un cono d’ombra di tele neo-centriste? E soprattutto: la vexata quaestio del ricambio generazionale è un’onesta iniezione di energie o il grimaldello per innescare la fatidica crisi di sistema?

I prodiani trovano le risposte sfogliando il Corsera: lamentano l’ostilità al listone (che pure Prodi aveva lanciato sulle loro pagine), il grande spazio agli avversari, la gragnuola di titoli antipatizzanti, l’arma dei sondaggi anonimi, Mieli che paragona le primarie uliviste a quelle dell’Urss o di Cosa Nostra, Aldo Grasso che dà a Prodi del portasfiga. Ragiona

Franco Monaco – uomo della ristretta cerchia prodiana: «La campagna corrosiva, feroce, scientifica del Corsera contro il progetto di Prodi ben rappresenta l’atteggiamento dei poteri istituzionali che invocano il primato dell’economia sulla politica. L’esatto contrario di un bipolarismo compiuto, inclusivo delle ali, inserito in una democrazia stabilizzata. E per smantellarlo sulle pagine del Corsera trovano ampio spazio le posizioni centriste dei due poli. Quelli che vogliono un centrodestra liberale, liberista e tecnocratico: alla Mario Monti. E quelli che bramano il centro-sinistra con tre trattini». 

A spingere per un Casini o un Rutelli, si sfogano i prodiani, è un conglomerato di interessi economici, industriali, finanziari. Confindustria in primis: nonostante l’«illuminato» Luca di Montezemolo, il cui altolà alla politica dei belli guaglioni viene sposato alla linea del Professore. Poi Bankitalia: Prodi in persona, dal pulpito di Assisi, ha sferrato un calcetto a Fazio: «Mi arrabbio quando mi dicono che a volere l’euro erano i banchieri. Da premier, mi ricordo un loro ruolo di resistenza, non d’impulso».

Ancora, parte delle gerarchie ecclesiastiche con in prima linea il potente cardinal Ruini. Il presidente della Cei – è l’accusa – «non ha neppure invitato Prodi alla Settimana Sociale a Bologna, la sua città.

Eppure Romano ha inaugurato quella francese. E sarà ricevuto dal Papa». Tra i nemici finiscono anche la massoneria e i «circoli atlantici»: quei settori di società Usa in Italia che sono in sintonia con l’amministrazione Bush e vedono – specie nell’imminenza delle presidenziali – nel presidente della Commissione il sostenitore del no alla guerra e della linea che fu franco-tedesca.

Si duole il dielle Mario Lettieri: «Spiace vedere il primo quotidiano, quello istituzionale, così calato nella lotta politica». Ma nell’entourage del Professore così spiegano il largo ai giovani proveniente da certi segmenti produttivi: Berlusconi?

Indifendibile, ingestibile, parvenu dei palazzi e perdipiù cocciuto. Prodi? Un «traditore»: cattolico, di quella bolognesità un po? consociativa, manager pubblico di formazione. E invece di rappresentare compiutamente quei mondi ha scelto il «primato del voto», da ultimo con le primarie, si è «condannato» a incarnare l’Ulivo prima e il binomio Federazione-Grande Alleanza Democratica poi. Berlusconi & Prodi, accomunati dall’essere portatori di interessi «indisponibili». E perciò simul stabunt, simul cadent.