L’economia si è fermata. E la priorità non è più contrastare il rallentamento della crescita ma addirittura uscire dal ristagno. È un quadro tutto in ombra, senza luci, quello abbozzato dalla Banca d’Italia nel consueto bollettino di primavera. Un quadro che fa giustizia anche dell’ultimo, il più resistente elemento positivo della situazione, motivo d’orgoglio del governo Berlusconi, e cioè l’aumento dei posti di lavoro. L’occupazione a tempo pieno, per la prima volta dopo dieci anni, diminuisce. In realtà il numero dei lavoratori sale lievemente ma solo grazie all’espansione del part time . Tanto che l’indice misurato sulle unità standard (quelle a tempo pieno) di lavoro è diminuito dello 0,4%. E poi ci sono i giovani: per i nuovi assunti la metà dei lavori disponibili sono a termine e comunque tra i 15 e i 29 anni uno su quattro è precario. Sulla finanza pubblica le cifre sono ancora più amare: il debito pubblico nel 2005 è salito di 2,6 punti rispetto al Pil, più di quanto aveva previsto il ministero dell’Economia, al 106,4%. Un incremento del rapporto non si vedeva dal 1994. L’economia «è in affanno», aveva detto due settimane fa al congresso del Forex il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Ieri l’analisi congiunturale dell’Ufficio studi di Palazzo Koch ha fornito i dati e le spiegazioni di tale difficoltà. Che parte da lontano ma che è peggiorata negli ultimi anni. Il bollettino non fa riferimenti specifici all’azione di governo. Anzi cerca di evitarli e utilizza quasi sempre, con poche eccezioni, come parametro temporale della sua analisi il decennio. Ma certo i grafici e le cifre indicano come negli ultimi anni si sia riusciti a fare ben poco per contrastare o frenare la tendenza negativa. Pur in un quadro congiunturale favorevole. Tanto per fare un esempio il male strutturale principale dell’economia italiana, la progressiva caduta della competitività, causata dal ristagno della produttività, ha subito un crollo verticale del 30% dal 2001 al 2004 contro deterioramenti più ridotti di Germania (6%) e Francia (13%). Ma non basta: il rallentamento dell’interscambio si è riversato sulla bilancia dei pagamenti annullando praticamente l’avanzo commerciale.
I conti pubblici preoccupano non poco gli economisti della Banca d’Italia che temono il rischio di un insuccesso delle misure di contenimento della spesa, necessarie per rispettare gli impegni presi il 14 marzo scorso con l’Unione europea. Il fatto è che per realizzare l’obiettivo bisognerebbe porre un tetto dell’1% all’aumento della spesa primaria corrente (nel 2005 è salita del 4%). E ciò vuol dire che in termini reali «essa dovrebbe segnare una flessione intorno ad un punto percentuale». Impresa quasi impossibile se si guarda all’esperienza del passato nonché ai dati storici custoditi nell’Ufficio studi di via Nazionale. Non è mai successo infatti che il governo riuscisse a tagliare così tanto la spesa complessiva: il massimo sforzo fu fatto negli anni dal ’93 al ’97 quando la spesa nella media salì dello 0,5% l’anno. Senza contare la necessità di «incidere in maniera permanente sui comportamenti degli enti pubblici». In particolare «occorrono regole di bilancio e meccanismi di finanziamento che rendano le amministrazioni decentrate pienamente partecipi dell’azione di riequilibrio dei conti pubblici».
È essenziale «ricondurre rapidamente i conti pubblici su un sentiero coerente con la stabile riduzione del rapporto tra debito e Pil anche in vista del fine più generale di trarre l’economia italiana dal ristagno». Lo sviluppo economico del paese nel corso dell’ultimo decennio «ha rallentato sino ad arrestarsi indipendentemente dallo svolgersi del ciclo mondiale». A fermarlo ripete la Banca d’Italia «sono stati i nodi strutturali che bloccano il sistema produttivo».
E la ripresa? Per il 2006 le previsioni indicano, conferma il bollettino, un incremento di poco superiore all’1%. Un risultato che presuppone un ritorno, già nel trimestre in corso, a ritmi di sviluppo vicini all’1,5% in ragione d’anno. In ogni caso tali segnali, dicono gli economisti di Palazzo Koch, «non delineano ancora un superamento del divario di crescita» di cui l’economia italiana soffre non solo rispetto agli Usa o alle economie emergenti dell’Asia, ma anche rispetto agli stessi paesi dell’area dell’euro pure attardati nel confronto internazionale.
Per questo, insiste la Banca d’Italia, «occorrono azioni di lunga lena» volte a modificare incisivamente la struttura produttiva e l’ambiente regolamentare e di mercato in cui essa opera.