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3 Maggio 2005

Bancarotta con pene ridotte: il governo forza i tempi

Autore: Liana Milella
Fonte: la Repubblica

ROMA – Stavolta tocca alla bancarotta fraudolenta. Patrimoniale, documentale o preferenziale che sia. E con la stessa spregiudicatezza legislativa che è stata utilizzata per accorciare le pene per il falso in bilancio. O usata per le rogatorie, per il legittimo sospetto (la Cirami), per fornire uno scudo alle alte cariche dello Stato contro i processi (il lodo Schifani).

Giusto oggi, mentre sulla compatibilità delle norme italiane sul falso in bilancio rispetto alle regole ben più severe imposte dalla Ue si pronuncia definitivamente la Corte di Strasburgo, il governo mette a segno un nuovo colpo di mano tagliando praticamente a metà le pene previste per i vari tipi di bancarotta e mirando ovviamente alla corrispondente e inevitabile riduzione dei tempi di prescrizione.

Con un metodo che scandalizza le toghe («colpo di spugna, colpo di mano, caos normativo» denuncia Claudio Castelli di Magistratura democratica), oggi l´Esecutivo sfrutterà al Senato il maxi emendamento al decreto sulla competitività per cambiare le regole nei processi di bancarotta con la prospettiva di azzerare, come denuncia un appello firmato da giudici, professori di diritto, avvocati, «la quasi totalità dei processi penali attualmente pendenti anche per fatti di bancarotta di estrema gravità».

In calce all´appello figurano nomi sorprendenti, perché contro il governo firmano anche magistrati che per il governo lavorano. È il caso di Carlo Nordio, il pubblico ministero di Venezia che agli ordini del Guardasigilli Roberto Castelli sta riscrivendo le regole del processo penale. È il caso di Giovanni Schiavon, che per lo stesso Castelli dirige dal 2001 l´ufficio degli ispettori.

I fatti. Da tempo, da quando è in discussione la riforma del diritto fallimentare, il centrodestra chiede una mano più morbida sul reato di bancarotta. Un freno arriva dagli scandali internazionali, il crack Enron negli Usa cui corrisponde lì, a spron battuto, un severo inasprimento delle pene.

In Italia scoppiano i casi Parmalat e Cirio, cadono dal piedistallo Callisto Tanzi e Sergio Cragnotti, un ripensamento è d´obbligo. Poi ecco l´occasione ghiotta del decreto sulla competitività, ecco la legge di conversione in cui confluiscono dall´inattuato programma della giustizia pezzi della riforma sul diritto civile e sul fallimentare.

Entra anche la contestata riforma delle professioni che però si ferma per via della crisi di governo. Nel fallimentare c´è il capitolo della bancarotta, c´è la cospicua riduzione delle pene: quelle attuali – da tre a dieci anni per la bancarotta patrimoniale e documentale – si riducono a un minimo di due anni e un massimo di sei.

Se la prescrizione raggiungeva i 22 anni e mezzo, essa cala a 15 anni (fatto salvo il gioco delle attenuanti). E potrebbe calare ulteriormente, fino a 7 anni e mezzo, se la Casa delle libertà riuscisse a condurre in porto anche la riforma della prescrizione inserita nella legge Cirielli. Colpetto di spugna anche per la bancarotta preferenziale oggi punita da uno a cinque anni e domani da uno a quattro. Con una prescrizione che dai 15 anni cala a 7 e mezzo.

Dai fatti alle reazioni. Sabato protesta la nuova giunta dell´Anm e nelle ultime ore, sui siti Internet, si allunga l´elenco delle firme in coda a un appello lanciato dal giudice di Monza Roberto Fontana che denuncia «gli effetti gravissimi sui processi penali in corso e sull´efficacia preventiva del sistema penale in questo delicato settore».

La riduzione delle pene viene definita «totalmente ingiustificata» perché «non esprime l´effettivo disvalore dei fatti incriminati». Ma l´aspetto più grave è quello dei tempi di prescrizione, quello che fa gridare Md al «colpo di spugna» e che spinge Fontana ad ipotizzare una «depenalizzazione di fatto» nonostante «i dissesti societari che hanno coinvolto decine di migliaia di azionisti e di risparmiatori».

Seguono firme “pesanti” come quella di Giorgio Marinucci, docente di diritto penale alla Statale di Milano, del giudice Paolo Carfì che ha presieduto il processo Imi-Sir e ha inflitto la prima condanna a Cesare Previti, dei pm Riccardo Targetti e Maurizio Romanelli, di notissimi avvocati come Corso Bovio, Marco De Luca, Raffaele Della Valle, Massimo Di Noia, Nerio Diodà, Carlo Gilli tutti impegnati con imputati di spicco nelle inchieste di Tangentopoli a Milano. La richiesta è pressante: oggi il governo si fermi e rifletta.