ROMA – «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché, senza nulla togliere alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta; sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Termina, così, la preghiera che il 14 ottobre 1980 Giovanni Bachelet, allora 24enne, legge ai funerali del papà Vittorio assassinato due giorni prima dalle Br nella facoltà di Scienze politiche, a Roma. Un finale a sorpresa per un radicale perdono cristiano applicato alla lettera, che – ieri, come oggi – molti fanno fatica a decifrare. Ma non la famiglia Bachelet e tantomeno Giovanni, il ragazzo del perdono.
Oggi, Giovanni Bachelet, 50 anni, 4 figli, docente alla facoltà di Fisica dell´università La Sapienza di Roma, quando evoca quel gesto parla di «coerenza cristiana, normale per chi crede nel Vangelo, nella solidarietà e nel rispetto dello Stato».
Perché, professor Bachelet, quel perdono fa ancora riflettere?
«Non lo so e mi meraviglio, specialmente quando in tanti si strappano le vesti per il mancato riferimento alle radici cristiane nella Carta Ue. Se non si capisce il senso del perdono, vuol dire che l´Italia non è un paese cristiano. Ci si dimentica che è stato Cristo il primo a parlare di perdono dalla Croce. Anche per questo è giusto parlare di rievangelizzazione, come fa la Chiesa».
Quindi, fu una sua scelta istintiva perdonare gli assassini di papà?
«Fu una scelta di famiglia. Prima dei funerali, celebrati nella chiesa di San Bellarmino, a Roma, fummo invitati a scrivere un pensiero per la preghiera dei fedeli durante la Messa. Lo scrivemmo io, mia sorella Maria Grazia e mia madre. Per noi fu un fatto del tutto normale».
Come seppe dell´assassinio di suo padre?
«Nell´80 ero negli Usa, dove lavoravo in un laboratorio di ricerca di una azienda telefonica. Fui svegliato all´alba da 2 amici, Federico Capasso e Vanda Andreani che avevano ricevuto la notizia da una telefonata dall´Italia. Dalle facce e, vista l´ora, capii subito che qualche cosa di grave era successo. Ed in effetti… ».
Quale fu la sua prima reazione?
«Per tirarmi sù bevvi un liquore, come fece mio padre quando seppe della morte di suo padre, mio nonno: papà, di mattina, bevve tutto d´un fiato un bicchierino di liquore, un Punt&Mes, un fatto insolito per lui. E io feci altrettanto. Il resto lo si può immaginare».
Perché proprio Vittorio Bachelet Se le è mai chiesto?
«In quel tempo, mio padre, per il suo impegno pubblico, era un potenziale obiettivo dei terroristi rossi e neri. Sei mesi prima si era già salvato da un primo attentato. I Nar avevano messo dell´esplosivo sotto la sua auto vicino al Csm, a Roma».
Suo padre, vittima predestinata dei br?
«Erano anni difficili. Prima di mio padre, molti altri “servi dello Stato” – magistrati e poliziotti, ma anche giornalisti, politici, dirigenti d´azienda – erano stati uccisi. Il culmine di questo terrore era stato raggiunto 2 anni prima, con la strage della scorta di Aldo Moro – grande amico di papà – , il suo rapimento e la sua barbara esecuzione a freddo, dopo ben 55 giorni di vane ricerche».
La sconfitta del terrorismo iniziò anche da quel perdono?
«Non lo so. Ma con quella preghiera volevamo dire che mio padre aveva accettato responsabilità e rischi perché credeva nello Stato e amava il suo Paese, amava testimoniare la sua fede nelle garanzie democratiche e nella giustizia. Lanciammo ad amici e nemici la sfida cristiana dell´amore imparata da lui e dalla Chiesa, mentre c´era chi invocava leggi eccezionali e pena di morte, ed altri urlavano lo slogan disfattista e velleitario, “né con lo Stato, né con le Br”».
Che resta di Vittorio Bachelet dopo 25 anni?
«Venticinque anni sono tanti. Resta il ricordo, il suo insegnamento di padre, di magistrato, di cattolico prestato alla politica su invito di Moro e Zaccagnini. Però dopo 25 anni si è tentati di chiedersi se ne valeva la pena se dovevamo finire con Berlusconi e Castelli. Ma c´è Prodi, per il quale ho corso nel ´96 nel collegio romano di Fini. Ci sono la società civile, i movimenti e i girotondi. A quello del 2002 fatto in difesa della Rai prese parte anche mia madre, insieme a mia zia, incurante dei suoi 82 anni. Un bell´esempio».