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26 Maggio 2006

Arturo va alla pace

Autore: Marco Damilano
Fonte: L'Espresso

Subito il partito democratico. Dialogo tra laici e cattolici. Confronto con il centrodestra. Parla uno degli uomini chiave del governo Prodi.

Tra i militari circolava una battuta preoccupata: “Vuole sciogliere i partiti, non sarà che intanto scioglie le Forze Armate?”. Ma in pochi giorni il nuovo ministro della DifesaArturo Parisi ha dissolto ogni timore. Si è rifiutato di sospendere la parata del 2 giugno. Al tempo stesso, ha aperto la questione delle servitù militari in Sardegna, la sua regione, “E’ un duro”, dicono ora di lui le stellette con una certa sorpresa. Parisi prepara le prime uscite da ministro: il 31 maggio visita al cimitero di Nettuno con l’ambasciatore americano Ronald Spogli. Ed è pronto nei prossimi giorni a volare a Nassiriya: la macchina del ritiro è già partita, dopo il vertice con Massimo D’Alema. In questa intervista parla delle difficoltà iniziali del governo Prodi e del progetto che più lo appassiona: la costruzione del partito democratico, l’Ulivo.


1. Come giudica questi primi giorni di vita del governo poltrone e delle cariche. E’ fisiologico?
Vedo che il Presidente Berlusconi continua a insistere sulla incertezza della nostra vittoria insinuando l’idea di una superiorità del suo seguito. Cominciamo perciò innanzitutto col dire che 130000 voti di differenza a favore dell’Unione sul totale degli elettori, sommando come debbono essere sommati i voti del territorio nazionale, quelli della Val d’Aosta, e quelli tra gli italiani all’estero, danno comunque una misura nitida della nostra vittoria. Conti pure Berlusconi quanto vuole, come ha già fatto il Ministero dell’Interno sotto la responsabilità di Pisanu e vedrà che 130322 voti rimarranno 130322 mila. Se poi vuole che le riconosca che il bicchiere della nostra vittoria elettorale è meno pieno di quel che avremmo sperato non mi è difficile riconoscerlo. Sì è meno pieno. Debbo però aggiungere che, dopo la vittoria, quel bicchiere è andato comunque riempiendosi ogni giorno di più. Si ripassi il calendario degli adempimenti: dalla elezione dei Presidenti del Senato, della Camera, e della Repubblica, ai voti di fiducia nei due rami del parlamento. In ogni voto il divario dei consensi a favore delle proposte dell’Unione è cresciuto di più. Certo non è stata una passeggiata. Ma le scadenze sono state tutte rispettate al minuto. Poche ore dopo il conferimento dell’incarico il governo era formato. Se i giornali sono stati costretti a giocare col totoministri un pò più a lungo del solito non è certo dipeso da noi ma dalla complessità del calendario istituzionale a causa della connessione con la elezione del Presidente della Repubblica. E dire che avevano ipotizzato uno stallo infinito che avrebbe potuto scavalcare le elezioni amministrative e perfino coinvolgere il referendum! Come si vede a sbagliare le previsioni non sono solo i sondaggisti.

2. Nel secondo governo Prodi ci sono molti nomi presenti nel primo: “i ragazzi del ‘96” li ha chiamati “Il Sole 24 Ore”. E poi c’è la questione donne: non si poteva fare di più per dare il segno di un cambiamento?
Per la verità se si guarda bene di ragazzi del 96, ce ne sono pochi. L’unico ragazzo che si trova ad occupare la stessa identica posizione di allora è Romano Prodi. La principale analogia è che sono al suo fianco gli esponenti che hanno guidato in precedenza il governo e la coalizione. Allora Ciampi e Dini. Ora D’Alema, Amato e Rutelli. Continuità quindi, ma anche cambiamento. Quanto alle donne come non riconoscere che è necessario fare di più? Ma, allo stesso tempo, come sottovalutare il cammino fatto?

Quello che tuttavia è importante è individuare nella frammentazione partitica uno dei freni maggiori al proposito. Hai voglia di parlare di quote. Quando un partito presente in un organo sarà rappresentato a causa della sua consistenza da una sola persona, sarà difficile che essa non sia un uomo. Non è un caso che, ad esclusione della Rosa nel Pugno, solo i Ds e Dl sono riusciti a riservare la presenza concordata del trenta per cento di donne.

Anche da questo punto di vista la nuova legge elettorale ha dato un contributo decisamente negativo. L’abbassamento della soglia di rappresentanza e il conseguente moltiplicarsi di formazioni minori con un solo rappresentante è stato un fattore di conservazione.

3. Lei nel Prodi uno era sottosegretario alla presidenza: qual è la differenza principale tra oggi e il ‘96? Dieci anni fa la mission del governo fu l’euro. E oggi? Qual è la mission? E qual è “l’’anima” del secondo governo Prodi?
La principale differenza è nella sua base politica. Questa volta le elezioni sono state vinte da una coalizione di partiti, guidata da un leader scelto per loro iniziativa dai cittadini, e unita da un patto di governo. Allora il governo era certo forte di quello che possiamo chiamare lo spirito dell’Ulivo, ma non disponeva di una maggioranza politica e programmatica e in senso proprio neppure elettorale. Lo stesso limite che fu all’origine della sua crisi è la prova della grandezza dell’impresa che portò a termine. Allora l’obiettivo fu quello di evitare che il nostro treno deragliasse dal binario europeo e occidentale. Son sicuro che con la guida di Prodi la coalizione di governo riuscirà questa volta nella missione che si è data difronte agli elettori. Far ripartire l’Italia.

4. Qual è il rischio più grave che corre il governo Prodi?
I tentativi di dialogo sono già naufragati per l’’opposizione di Berlusconi. TAGLIARE <Ora c’è un referendum alle porte: il centro-sinistra si impegnerà?> Se una qualche forma di dialogo e di confronto non riparte, più che il governo i rischi li corre il Paese. Ci prenderemmo una responsabilità della quale dovremmo rispondere alla Storia. Pur tra contraddizioni e con enormi fatiche, dopo 13 anni il nostro sistema è sulla soglia di un bipolarismo compiuto. Due coalizioni di governo si sono confrontate in una elezione segnata da un’alta partecipazione e, se si escludono alcune asprezze, corrette. Ora esse sono chiamate a guidare il Paese, pur da posizioni nitidamente distinte. La coalizione che ha vinto deve farsi carico delle responsabilità di governo, e quella che non è stata premiata dal voto deve svolgere la sua funzione di opposizione di governo. Ora, anche grazie alla nostra stessa esperienza dopo la sconfitta del 2001, capisco che ci vuole del tempo perchè la ex opposizione si renda conto che è al governo e la ex maggioranza prenda atto che il voto degli elettori la colloca all’opposizione per l’intera legislatura. E perciò non drammatizzo neppure difronte ad alcune tristi gazzarre parlamentari alle quali, non senza lodevoli eccezioni, abbiamo assistito in questi giorni. Ma guai se questo dovesse durare oltre il lecito. L’opposizione non dimentichi che la stabilità di governo della quale il Presidente Berlusconi comprensibilmente porta vanto non è stata certo dovuta alle poche centinaia di migliaia di voti in più raccolti tra i cittadini nel 2001, ma a regole per le quali noi ci siamo battuti, e al fatto che non abbiamo mai dimenticato che il suo governo era comunque il governo della Repubblica così come della Repubblica erano le leggi approvate, comprese quelle contro le quali ci siamo battuti guidati dalla ragione e dalla indignazione.

5. Più volte in campagna elettorale Prodi ha ripetuto che dieci anni fa fu un errore limitarsi a governare senza costruire il soggetto politico dell’Ulivo. “Ora dovremo fare le due cose insieme”, ha detto. In che modo?
Continuando sui binari sul quale avanziamo già da due anni. A livello di Unione e, dentro l’Unione, per lo svolgimento ulteriore dell’Ulivo con la costruzione di un vero e proprio partito dei democratici.

6. Tutti dichiarano di lavorare per il partito Democratico, ma intanto sono tornate le delegazioni dei partiti al governo. E due vice- premier, uno dei Ds e uno della Margherita. Quali sono le prossime tappe?
Spesso nel passato, difronte alla retorica ulivista, mi è capitato di denunciare il ritardo dei fatti rispetto alle parole. La situazione attuale è invece per più versi rovesciata. Ad essere in ritardo sui fatti sembrano le parole e i ragionamenti. Raccogliendo e reagendo alla dinamica delle primarie si è messo in moto un processo con movenze impetuose. Penso allo straordinario evento della nascita dei gruppi dell’Ulivo in tutti e due i rami del Parlamento in una forma superiore ad ogni mia speranza. Penso alla promozione festosa sabato scorso a Bologna del primo tesseramento del Partito Democratico per iniziativa dei due principali partiti. Dall’altra parte non posso tuttavia non vedere anche io il ritorno del passato, e, in qualche caso perfino del trapassato. Strattonate da corse in avanti e controcorse all’indietro le parole e lo stesso pensiero fatica e ci chiede una consapevolezza e una disponibilità della quale non disponiamo ancora.

7. Il segretario Ds chiede le primarie per scegliere il leader dell’Ulivo. E’ una strada utile per costruire il nuovo soggetto politico?
Come ho già detto l’importante è cominciare a delineare un percorso aprendo un dibattito sui suoi possibili esiti. Pur guidato dalla speranza, a differenza di altri, io ho immaginato da sempre il processo che avrebbe messo capo al nuovo partito come un processo lungo. Ricordo ancora il confronto all’ultimo congresso DL del 2004 nel quale mentre io non osavo avanzare una previsione, Marini ipotizzava un biennio e Franceschini un quadriennio. Impaziente nel partire e paziente nell’arrivare mi trovavo contrapposto a chi sembrava invece paziente nel partire e impaziente di arrivare. Nonostante l’enormità dei fatti accaduti non credo che le difficoltà si siano annullate d’improvviso. Se all’insegna dell’Ulivo il Partito Democratico è nato tra la gente da anni lo stesso non si può nè per i quadri nè per i militanti.

I partiti sono realtà complesse e non possono certo essere annullate con un tratto di penna. E’ per questo che nel 2000, alla vigilia del congresso DS di Torino sotto un titolo che mi faceva passare per uno che intimava ai Ds di sciogliersi, quasi fossi un Commissario di Polizia, avanzai con una formula politichese la proposta “di assumere un orizzonte comune” nel quale tutti i democratici potessero ritrovarsi in uno stesso partito democratico. Il momento di sciogliersi forse non è ancora arrivato ma la risposta di Fassino sta a dimostrare che il nostro orizzonte è ormai comune. Io so che le primarie per l’elezione del leader di partito debbono fare i conti con l’obiezione non infondata che le vede più adatte a scegliere il leader della coalizione. So tuttavia anche che esse sono ormai iscritte stabilmente nel nostro Dna comune come strumento che consente ai cittadini di mescolarsi a prescindere dalle provenienze e allo stesso ai partiti di aprirsi oltre i confini sempre più ristretti degli elenchi dei tesserati.

8. Una questione culturale si è aperta sulla questione Pacs con le dichiarazioni del ministro Bindi. Come si media tra laici e cattolici in un governo così composito?
Prima del come viene il perchè. E il perchè deriva dal riconoscimento che nella nostra società convivono sempre di più ispirazioni ideali diverse che debbono essere chiamate al confronto per governare in comune le cose comuni. Questa è la fatica. Questa è la grandezza della politica. Il riconoscimento delle diversità, la costruzione dell’unità. Se i partiti, la coalizione e il governo non riescono a mediare al proprio interno le diverse ispirazioni ideali a cominciare da quella tra credenti e non credenti che segna la storia del nostro paese come possono farsi anticipatori e strumenti per la costruzione dell’unità del Paese? E se non riescono a servire l’unità del Paese a che cosa servono?

15. Lei è considerato il padre dell’Ulivo e il regista di tante svolte, dalla lista unitaria alle primarie. Lascerà la vita di partito, la presidenza della Margherita, per dedicarsi a tempo pieno alla nuova attività di ministro. O farà il doppio lavoro: governante e costruttore del nuovo soggetto politico?
Ma lei pensa che mi sia possibile abbandonare l’impresa e separarmi dai miei compagni proprio ora che la meta sembra a portata di mano?