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10 Settembre 2004

Ancora nessun contatto, ansia per le due italiane

Autore: Fiorenza Sarzanini
Fonte: Corriere della Sera

ROMA — Tacciono i sequestratori di Simona Torretta e Simona Pari. Nessuno fra i canali aperti in Iraq è ancora riuscito a fornire informazioni utili sulla sorte delle due ragazze e dei volontari iracheni rapiti con loro tre giorni fa. Il commando che ha fatto irruzione nella sede di «Un ponte per…» sembra essersi dissolto nel nulla. E’ un silenzio che inquieta. In questa situazione ogni tentativo di mediazione diventa impossibile: c’è il rischio di scegliere il contatto sbagliato, di complicare una situazione già di per sé drammatica. IL GRUPPO Nell’attesa di trovare una strada, si continuano ad analizzare gli elementi raccolti grazie alle testimonianze di chi ha assistito all’agguato. L’unica certezza è che si tratti di un gruppo addestrato militarmente, che ha pianificato la sua azione in ogni dettaglio. E che aveva scelto per tempo i suoi obiettivi. Sin dall’inizio è stato chiaro che non si è trattato di un sequestro casuale, ma di un attacco diretto all’Italia e in particolare a quel mondo pacifista che si è sempre impegnato per chiedere il ritiro delle truppe dall’Iraq e per aiutare la popolazione. Un messaggio chiaro che, assicurano gli analisti, può essere stato lanciato soltanto da un’organizzazione terroristica. L’ipotesi ritenuta in queste ore più probabile è che i sequestratori siano agenti segreti del vecchio regime di Saddam Hussein. Uomini spietati, disposti a tutto. La possibilità che agiscano al servizio di Abu Musab Al Zarqawi e dunque di Al Qaeda non viene scartata. Così come non si esclude che possano essere collegati a quell’Esercito Islamico che ancora tiene segregati i due giornalisti francesi. Il fatto che sul sito (che l’altro ieri ha diffuso via internet la foto del cadavere di Enzo Baldoni) non compaia alcun riferimento alle due volontarie e ai loro colleghi iracheni Raad Ali Abdul Aziz e Manhaz Assam non viene ritenuto al momento un indizio per escludere che possa trattarsi proprio di quella fazione. La scelta potrebbe infatti rientrare in quella strategia del silenzio che serve ad alzare la tensione e rendere l’Italia più vulnerabile e disponibile alla trattativa. LE CONDIZIONI Questa mattina arriverà in Italia il presidente iracheno Ghazi Al Yawar. Il timore che la sua visita possa avere ripercussioni sulla sorte delle due ragazze è naturalmente molto forte, perché nel mirino dei terroristi c’è proprio il nuovo governo dell’Iraq. E’ possibile che i sequestratori scelgano proprio questo momento per lanciare il loro ultimatum e rendere ufficiale il ricatto all’Italia. L’ipotesi che si tratti di un sequestro solo a scopo di estorsione avanzata da Al Yawar non convince gli esperti italiani. La possibilità che arrivi una richiesta economica è stata subito presa in considerazione, ma il timore è che la condizione possa essere posta dai sequestratori per mettere l’Italia in difficoltà rispetto agli Stati Uniti. L’amministrazione Bush ritiene infatti che assecondare questo tipo di istanza serva a finanziare i terroristi. Il nostro Paese si troverebbe quindi di fronte al dilemma di cedere oppure scegliere la linea della fermezza mettendo così in pericolo la vita degli ostaggi. Gli analisti ritengono che anche la mobilitazione compatta del mondo arabo possa aver avuto un effetto negativo sull’intenzione dell’Esercito Islamico di rilasciare Christian Chesnot e Georges Malbrunot. Non a caso la linea scelta dal governo italiano prevede che a trattare debba essere soltanto la diplomazia in stretto contatto con l’intelligence. I CONTATTI La rete informativa, soprattutto quella con i servizi segreti alleati, è costantemente aperta. Si studiano possibili analogie con altri sequestri, si raccolgono informazioni sui contatti che le due volontarie avevano in Iraq. Al momento dell’irruzione i rapitori le hanno chiamate per nome, dunque si cerca di capire chi possa averle «vendute» indicandole come un facile bersaglio. In passato anche altri occidentali sono stati prelevati nelle sedi delle società per cui lavoravano. Alcuni erano in Iraq per conto di organizzazioni non governative. Tutto questo serve a fare riscontri sugli elementi già raccolti, sulle prigioni utilizzate, sui canali già battuti per arrivare alla loro liberazione.