Nei corridoi di palazzo Madama, tutti – dai senatori ai commessi – lo salutano con deferenza «presidente…», lui sorride e ringrazia, ma arrivato al portone d’uscita Franco Marini confessa: «Quei 20 mesi da presidente del Senato non sono stati facili da gestire ma gratificanti. Ora però sono intenzionato di riprendermi tutta la mia libertà e quindi non farò il presidente del Partito democratico. Non lo dico tanto per dire: non voglio farlo e non lo farò». Per settimane il suo è apparso a molti un diniego democristiano, uno di quei no farisaici che andavano tradotti nel loro opposto: se me lo chiedete, ci sto. Naturalmente, «per spirito di servizio». Ma stavolta, a 75 anni, il vecchio Franco non bluffa.
E dunque, dopodomani, a conclusione dell’Assemblea nazionale del Pd (il “parlamentone” formato da quasi 3000 membri) non sarà Franco Marini il successore di Romano Prodi alla presidenza del partito. Certo, la questione della presidenza non è centrale in un partito che ha rinviato per un mese analisi e dibattito sulla sconfitta alle Politiche, con un segretario che non ha speso neanche un sostantivo sulla storica batosta di Roma e che dopo 35 giorni di opposizione “selettiva”, ha ordinato il “contrordine compagni”. Eppure l’indisponibilità di Marini è un segno dei tempi: se il vecchio “lupo marsicano” si vuole tenere le mani libere, vuol dire che ritiene ancora instabile l’attuale assetto di potere del Pd. Ed è molto sorprendente ma certo non casuale quel che accadrà fra qualche giorno: tra i promotori dell’Associazione Amici di “ItalianiEuropei”, la Fondazione di Massimo D’Alema, sta per aggiungersi anche Nicodemo Oliverio, che di Marini è il braccio destro operativo.
Un gesto che plasticamente raffigura l’inattesa divisione all’interno dei Popolari, una delle correnti costituenti del Pd: da una parte i “giovani” Dario Franceschini e Beppe Fioroni, oramai vicinissimi a Walter Veltroni; dall’altra il loro ex capocorrente, Marini, che (in freddo ma senza rotture con i suoi allievi) si riaccosta all’amico D’Alema, di cui da decenni condivide il realismo e una concezione della politica sicuramente diversa da quella del partito-leggero. Naturalmente alla Nuova Fiera di Roma, domani e dopodomani Walter Veltroni e tutti i big del partito discuteranno delle prospettive, cercando di capire quale politica e quale Pd mettere in campo nei prossimi mesi. Negli infiniti pourparler di Transatlantico peones e notabili concordavano sul fatto la “svolta” anti-Berlusconi di Veltroni dovrebbe garantire al segretario un’Assemblea se non proprio tranquilla, quantomeno senza turbolenze. In compenso, dopo mesi e mesi di organismi provvisori e nominati dall’alto, nell’ordine del giorno del “parlamentone” Pd è prevista anche l’elezione del cosiddetto Coordinamento politico, di fatto la Direzione, il cuore del partito.
Per statuto è composto da 120 membri più 29 di diritto. E proprio sui 120 elettivi, dietro le quinte si sta giocando da alcuni giorni un mercatino tra le diverse componenti per arrivare ad una “lottizzazione” che soddisfi le tante aree e sub-aree formatesi in così poco tempo. Certo, per ora nel Pd non esistono correnti organizzate secondo l’accezione tradizionale della Prima Repubblica, quando tutti i partiti (eccetto il Pci) avevano correnti con sedi, fondi, organismi dirigenti informali, una diramazione capillarissima sul territorio. Per ora nel Pd (compreso D’Alema che ha messo in campo il prototipo più originale e più strutturato) non esistono correnti ma aree. Che però saranno rigidamente rappresentate nel Coordinamento sul quale in queste ore stanno lavorando Goffredo Bettini e Dario Franceschini.
Il lavoro non è finito, si sta lavorando col bliancino e i numeri delle grandi aree sono già scritti. Agli ex Ds (Veltroni, Fassino, D’Alema) andranno 60-65 posti, ai Popolari 25-30, alla Bindi 12, a Letta 7, ai Coraggiosi di Rutelli 5-10, 5-6 alla Sinistra della Turco, 1 ai Liberal di Enzo Bianco. Ma il lavoro chirurgico è dentro l’area ex Ds, dove le componenti sono ben tre e dunque si tratterà di vedere chi conquisterà più posti tra Veltroni e D’Alema, senza dimenticare Piero Fassino che in queste settimane ha messo su un’area finora sottostimata dai giornali. Ma come sottoporre all’Assemblea nazionale quella lista di nomi dal vago sapore “cencelliano”? Fino a ieri sera l’accordo era quello di presentare una lista alla fine dei lavori e provare a farla votare per acclamazione dai 2800. Ma non sarà facile: nello Statuto è scritto che il Coordinamento nazionale è «composto da 120 membri eletti con metodo proporzionale». Dunque, eletti.