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4 Novembre 2004

Anche gli europei hanno perso le elezioni

Autore: Bernardo Valli
Fonte: la Repubblica

Gli europei hanno perduto le elezioni americane. Avrebbero votato in massa per Kerry; non tanto perché entusiasti del personaggio, quanto per scartare Bush; e si ritrovano di fronte quest´ultimo ancor più saldo alla Casa Bianca. Nonostante i tentativi (in particolare della destra italiana) di avvalorare la tesi secondo la quale Bush e Kerry in fondo si equivalevano; poiché entrambi si dichiaravano fedeli all´idea di un primato americano.


Ed erano entrambi decisi ad esercitare i doveri e i diritti che questo primato comporta, in Iraq e altrove nel mondo; malgrado questa truccata immagine della sfida democratica d´oltre Atlantico, le opinioni pubbliche europee erano ben coscienti della profonda diversità dei due candidati; e con loro lo era la quasi totalità dei dirigenti europei. E proprio per questa diversità puntavano su Kerry, con l´eccezione di Putin in Russia e di Berlusconi in Italia. Persino Blair, il più stretto e concreto alleato dell´America, il dichiarato complice del repubblicano Bush in guerra, avrebbe probabilmente preferito in cuor suo, stando alla stampa inglese, trovarsi a fianco del democratico Kerry, più accettabile per il suo partito, il Labour (compatto nell´esprimere il rifiuto di Bush, ad ogni sondaggio).
La netta differenza stava nella natura della leadership americana secondo Kerry e secondo Bush. Una leadership, imposta dalla realtà, che nella versione del candidato democratico si basava sulla concertazione internazionale, su un dialogo con i maggiori alleati, e quindi con gli europei; e che invece il presidente repubblicano già esercitava in modo unilaterale, essendo a suo avviso l´America investita della missione divina di combattere il Male, in quanto incarnazione del Bene. Da un lato la ragione, dall´altro qualcosa di simile a una crociata. In questa fase della sua storia l´Europa si sentiva più vicina alla visione del mondo di Kerry. E l´America ha espresso il meno europeo dei risultati.
La maggioranza degli americani pronunciatasi per il presidente in carica non ha tenuto in alcuna considerazione quel che pensa la maggioranza degli europei. Quando votano le società democratiche pensano alle proprie trippe. Non si vede perché l´America dovrebbe essere un´eccezione. In questa sua comprensibile, naturale disattenzione c´è tuttavia anche la consapevolezza di appartenere a un Paese prescelto che con il solo esempio può fare da guida agli altri popoli della Terra. È una profonda traccia religiosa dovuta alla storia della nazione, rafforzata dalla certezza di possedere una forza straordinaria, di cui è difficile riconoscere i limiti. Per gli europei è vero l´opposto. Essi hanno partecipato con passione all´elezione americana esprimendo intenzioni di voto tutt´altro che silenziose, sia perché consapevoli del peso della superpotenza, e quindi coscienti della propria debolezza, e della conseguente, più o meno sofferta, o accettata, dipendenza. Anche questa diversa sensibilità dà una misura dello stacco tra le due sponde dell´Atlantico, che il voto ha messo in evidenza.
È senz´altro efficace – come fa Daniel Vernet – illustrare attraverso due date la differenza odierna tra Europa e America. L´America non capisce perché l´Europa dia più importanza al 9. 11 (1989), giorno della caduta del Muro, che all´11. 9 (2001), giorno dell´attentato alle Torri gemelle. Per gli europei la prima data è quella della riconciliazione. Per gli americani la seconda data, che per loro conta, è quella di una dichiarazione di guerra. Sono due stati d´animo difficili da armonizzare.
Ma America e Europa dovranno dare una stabilità e una coerenza al dialogo interatlantico. La volontà di Kerry di esercitare la leadership americana attraverso la concertazione con i paesi amici, alleati o disponibili, rientrava negli auspici di molti, non soltanto europei. Anche se quest´ultimi, i governi europei, pur puntando su un cambio della guardia alla Casa Bianca, non nascondevano un certo imbarazzo nella prospettiva di dovere rispondere agli inviti di Kerry a partecipare (nel nome dell´invocato multilateralismo) alla soluzione di alcune difficili crisi. Ad esempio quella irachena. Né Berlino, né Parigi, né Madrid, le tre capitali più rappresentative dello spirito dominante nell´Occidente europeo, erano disponibili a un coinvolgimento diretto, nel quadro dell´Onu, o in quello più probabile della Nato, nella valle del Tigri e dell´Eufrate. E quindi neppure l´avvento di un presidente democratico, costretto a portare a termine un dopoguerra più micidiale della guerra, avrebbe sciolto tutti i nodi. Anche se il linguaggio di Washington, spogliato dei suoi accenti imperiali, o messianici, avrebbe consentito l´avvio di un vero dialogo. E riavvicinato le due visioni del mondo.
Adesso quelle visioni restano distanti. Più di quanto lo fossero prima della riconferma di Bush? Quando i rapporti si erano comunque quasi stabilizzati, sia pur in un clima di freddezza e diffidenza, mista di rancore? È ancora presto per dirlo. In queste ore nelle capitali europee si pensa che, tradizionalmente, un presidente al suo secondo ed ultimo mandato si sente più libero, non dovendo più pensare a una rielezione. Si evoca il precedente di Reagan, la cui lotta contro l´«impero del male», allora comunista, viene spesso paragonata dai repubblicani a quella di Bush contro il fondamentalismo islamico, e il terrorismo che esso genera. Nel secondo mandato Reagan fu il presidente del dialogo con l´Unione Sovietica di Gorbaciov.
Del resto la fibra di Bush non è quella di un personaggio immutabile, di un condottiero di ferro. Il suo stile era molto diverso prima dell´11 settembre: la violazione del santuario americano, e il trauma che ne è derivato, ha risvegliato in lui il dogmatismo che oggi disturba gli europei, e che invece rassicura la maggioranza degli americani. Si capirà se la nuova consacrazione presidenziale ha provocato un altro mutamento di carattere, se ha attenuato il suo messianismo, quando si conosceranno i nomi dei (nuovi?) responsabili della Segreteria di Stato e del Pentagono. Sarebbe tuttavia molto deludente vedere gli europei esclusivamente assorti nello scrutare, spiare quel che accade sull´altra sponda dell´Atlantico, nell´angosciante attesa di conoscere i nomi dei nuovi ministri dell´impero.