Manca una settimana e nessuno sa dire se il vertice del centrosinistra, convocato (e poi sconvocato) da Romano Prodi per gettare le basi di una Grande alleanza democratica, si farà davvero. La data è il 4 ottobre, ma dopo che l’ex premier ha fermato i giochi la riunione rischia di slittare. «In fondo, non sarà un dramma…» minimizzano prodiani di stretta osservanza. Un dramma magari no, ma certo la conferma che la federazione non decolla e che l’ultimatum dell’ex premier, «basta con le resistenze assurde sull’Ulivo o io non ci sarò», non ha prodotto i risultati sperati. Prodi tace, «dichiaro che non ho niente, ma proprio niente da dichiarare» e aspetta un segnale dai partiti, lacerati dal suo progetto «federatore». Bertinotti ha fatto sapere di non apprezzare lo stop, Pecoraro, Di Pietro e Diliberto spingono perché l’appuntamento non salti, Mastella spera che si faccia, ma a problemi risolti. E anche Roberto Villetti (Sdi) consiglia di rinviare: a che serve un vertice unitario se i nodi sono più intricati che mai? Prodi tace, ma cerca una via d’uscita. Individuato Rutelli come il «frenatore» numero uno, il presidente della Commissione prova a indebolirlo cercando un asse con il nemico di un tempo, Franco Marini. Una settimana fa si sono visti in un albergo romano e ora si sentono quasi tutti i giorni, mentre i rutelliani guardano con preoccupazione alla marcia di avvicinamento ad Arturo Parisi. «Prodi è il capitano della squadra e non il proprietario» attaccano gli uomini del presidente, «non può chiedere 80 seggi sicuri per i suoi alle Politiche». Sospetto che il prodiano Franco Monaco si incarica di smentire: qualcuno ha interesse a «banalizzare una campagna orchestrata dal centrodestra». Marini, che ora i fedelissimi del Professore descrivono come «il più prodiano di tutti», gioca a fare l’ago della bilancia. Ieri sera in un tesissimo ufficio di presidenza il «lupo marsicano» ha messo giù la sua proposta: lista unitaria in Emilia, Toscana, Veneto, Marche e forse Lombardia e primarie per leader e programma all’inizio del 2005. In cambio si aspetta garanzie sulle liste civiche alle Regionali. Prodi si sarebbe convinto che al Sud sia opportuno andare divisi e poiché le primarie le vuole prima possibile, non è detto che il compromesso non sblocchi la situazione. Ma c’è un «piccolo» problema: proprio ieri i Ds hanno fissato le date del terzo congresso, a Roma dal 4 al 6 febbraio. Un congresso per mozioni ma «unitario», sperano al vertice della Quercia. Il regolamento è stato approvato all’unanimità e il «documento dei 22», tra i firmatari Giovanna Melandri, ha ottenuto uno spazio di confronto svincolato dalle mozioni. Piero Fassino chiama Prodi, poi riunisce il direttivo della Quercia, cinque ore di dibattito che un dirigente riassume così: «Stiamo facendo di tutto per tenere insieme la baracca». Il Correntone di Fabio Mussi accusa la segreteria di «aver seguito la linea sbagliata», il liberal Enrico Morando rimprovera a Prodi di «aver lasciato la federazione sullo sfondo negli ultimi tre mesi», ma la maggioranza è pronta ad andare avanti. Ora servono «atti concreti», incalza Fassino: riunire in settimana il gruppo di lavoro sulla federazione (Chiti e Migliavacca per i Ds, Franceschini e Marini per la Margherita) e dar vita al coordinamento parlamentare tra i gruppi. Il documento in cui Prodi elencava le sue condizioni ha sconcertato tanti e Fassino ammette «il momento di impasse». Il segretario vuol «superare le polemiche» e invita a far presto, a riunire in settimana i segretari del Listone per poi aprire il confronto con le altre forze dell’opposizione: «Se per realizzare la riunione del 4 ottobre servono dei passaggi di chiarimento si facciano in fretta».