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19 Giugno 2014

RENZI, IL PROBLEMA BERLUSCONI E L’INSIDIA GRILLO
intervista a Goffredo Pistelli, ItaliaOggi

Matteo Renzi corre e fa bene a correre ma a decidere sarà la stabilità del suo governo», dice Arturo Parisi, fra i fondatori dell’Ulivo e ministro della Difesa col governo Prodi I. Parisi, che partecipò alla Leopolda renziana del 2011, mentre tutto il Pd ufficiale guardava con estrema diffidenza la kermesse fiorentina, è un sostenitore del premier della prima ora ma di quelli tutt’altro che acritici

Professore, Renzi corre, dicevamo, ma non tutte le sue ciambelle riformatrici riescono col buco. Cosa di quello che è stato apparecchiato non può, a suo avviso, essere lasciato cadere?

Risposta. Il pacchetto di riforme istituzionali. Renzi corre e fa bene a correre, perché troppo è il ritardo accumulato. La velocità nel governare è quindi importante, ma a decidere sarà la durata del governo, o, meglio, la sua stabilità. Quella attuale ma ancor più quella che le riforme istituzionali promettono per il futuro. Ad assicurare la qualità di un governo non è la quantità dei giorni passati ma la stabilità, la sicurezza, la serenità con la quale guarda al futuro. E’ difficile pensare di risolvere in qualche anno, problemi che si sono accumulati in decenni.

D. E quindi?

R. E quindi, almeno tra i pochi problemi che dipendono solo da noi, quelli istituzionali restano i più importanti. Potremmo mai accontentarci di aver portato la media di durata di un governo dagli undici mesi della cosiddetta prima Repubblica ai venti di questo ultimo ventennio? No. Non era questo che ci proponevamo. Mentre il problema che dobbiamo risolvere è ancora lo stesso di allora. Come assicurare all’Italia un governo che duri una legislatura, fondato sulla scelta dei cittadini a partire da proposte alternative. Quel governo del quale dispongono i principali Paesi democratici, lo stesso del quale dispongono da anni i nostri comuni.

D. Ma non è appunto questo il senso della proposta e della iniziativa di Renzi?

R. Se guardiamo al sentimento, certamente. È, questo, il merito principale di Renzi. Aver spinto il Paese a gettare, assieme a lui, il cuore oltre l’ostacolo. Ma, nella realtà, l’ostacolo è ancora di fronte a noi. Siamo infatti ancora più o meno al punto di partenza, con un governo costretto a cercare la sua forza nel sicuro mandato riconosciuto a Renzi da primarie di partito e dall’indiscusso successo nelle europee. Un mandato con uno spessore politico che è comunque incomparabile con quello dei suoi predecessori, ma pur tuttavia un mandato non finalizzato esplicitamente alla guida del governo.

D. Cosa manca, dunque?

R. Anche se l’iniziativa di Renzi ha riaperto la prospettiva del futuro, fino a quando non sarà assicurata quella stabile investitura che cerchiamo ancora, invano, da due decenni, i nostri governi saranno costretti a conquistarsi giorno per giorno la sopravvivenza, o anticipando nelle parole successi ancora non colti, o posticipando nei fatti scelte necessarie ma impopolari e difficili. Sta in questo la prima differenza tra Letta e Renzi. Se il primo aveva immaginato di affidare la sua durata al rinvio della prova finale, prendendo tempo con comitati di esperti ed inutili riforme costituzionali, il segretario del Pd, iniziando giustamente dalla fine, dall’accordo col principale e unico interlocutore disponibile, ha impresso al suo progetto quel cambio di marcia che il Paese attendeva.

D. Per le riforme, B. sembra essersi ricreduto, dopo il trasporto con cui era andato al Nazareno. Che ne pensa?

R. Non è stato Berlusconi a ricredersi. È la situazione che è profondamente cambiata. Se l’incontro del Nazareno bastò a far decollare definitivamente Renzi, a differenza di quel che allora i suoi critici dissero, per rimettere in gioco Berlusconi ci voleva ben altro. La crisi del berlusconismo va infatti avanti da tempo. Se per il Pd il risultato delle europee è stato una sorpresa nella misura, ma non altrettanto nel segno, lo stesso non si può dire per l’arretramento di Forza Italia incerto nella misura, ma atteso nel segno. In questo sta l’intuizione di Renzi.

D. Vale a dire?

R. L’aver capito che, per partire, il momento era quello e quello soltanto. Peccato che il testo di quell’accordo sembra aver perduto per strada il contesto che lo giustificava. Penso che l’idea di una coalizione di centrodestra che possa vincere al primo turno, l’unico plausibile, si vada allontanando da tempo. Così come si è allontanata l’idea che al suo interno Berlusconi possa tornare a ricoprire la posizione di leader indiscusso. Per quanto Berlusconi riesca a contrastare i limiti dell’età e della libertà di movimento, non sarà per lui così semplice, continuare a dominare una coalizione con meno della metà dei voti, e per di più senza più la disponibilità della quasi totalità delle risorse consentita in passato dalla precedente legge sul finanziamento dei partiti. È vero che l’Italicum lascia nelle mani di Berlusconi il potere di nomina dei suoi parlamentari, quel vergognoso residuo del Porcellum che al Nazareno ha imposto come una condizione imprescindibile, e questa è di per sè un motivo sufficiente per mantenere il patto. Ma, man mano che si allontana la possibilità della vittoria di una coalizione da lui guidata, si riduce anche il suo entusiasmo per l’Italicum.

D. La sento scettico sull’esito finale

R. Penso proprio che, nelle condizioni attuali, il patto del Nazareno non vedrebbe la luce. E per lo stesso motivo penso che, al di là delle rassicurazioni verbali e dei tardivi rilanci sul presidenzialismo, Berlusconi non farebbe certo un dramma se quel patto si perdesse per strada. Fino a quando il centrodestra non riuscirà a ritrovare una sua unità competitiva, ormai più oltre che attorno a Berlusconi, credo che sarà destinato a brancolare nella nebbia, e assieme ad esso l’intero sistema politico. Non riesco ad immaginare come una regola pensata nel presupposto della esistenza di due poli competitivi e contrapposti, possa funzionare con un polo solo

D. Nel frattempo è uscito anche Beppe Grillo che vuol negoziare le riforme: è solo tattica o, come dice il politologo Piero Ignazi, col M5s si deve trattare?

R. Tattica o non tattica, trattare è inevitabile. È infatti vero che ad aprire un confronto, con la proposta di M5s, si rischia, a causa del suo impianto proporzionale, di non arrivare da nessuna parte e di vanificare il cammino fatto. Ma rifiutare il confronto lascia aperta la domanda «perché con Berlusconi sì e no con noi?». Credo che, per Renzi, la strada sia obbligata: confronto con tutti e quindi, una nuova verifica anche con Berlusconi.

D. E poi?

R. Poi, accettazione di tutte le proposte compatibili col cammino già fatto. Ma poi: chiudere. Chiudere in fretta. Guai se si diffondesse l’idea che si è tornati di nuovo nel porto delle nebbie dal quale speravamo di essere usciti. Glielo dice uno che, dopo essersi battuto invano per un ritorno al Mattarellum, per via referendaria, è più che mai convinto che quella resta la soluzione migliore, magari nella versione di quella legge così come l’avevamo prevista per il Senato.

D. Veniamo al Pd, professore. Con l’elezione di Matteo Orfini alla presidenza, esistono due minoranze: una, quella degli ex-Giovani turchi, che si distinguono ma non boicottano il segretario Renzi, D. l’altra quella dei vecchi bersaniani e di Pippo Civati che pare disposta a tutto. Secondo lei questo Pd rischia la scissione?

R. Tutto. Ma non scissione. Assieme ai partiti di un tempo, da tempo son finite le scissioni, con i loro manifesti ideologici, congressi, e bandiere. A meno che non si voglia prendere per nuovi partiti quelle che sono solo liste elettorali che si chiamano così appunto perché fatte in vista di elezioni sulla base di calcoli elettorali. Ma non vede come è finita col dissenso del Senato?

D. Com’è finita? Tutto rientrato, dice?

R. Una resa senza condizioni. Sbagliato per come è iniziato, ancor di più per come è finito. Pur nel rispetto della disciplina di partito, poteva essere una occasione per approfondire finalmente quel confronto reale che finora è mancato. È invece finita ancora una volta in una manifestazione di quell’unanimismo che ha trasformato, in pochi mesi un partito di bersaniani in uno di renziani. Non ha sentito l’inesorabile applauso della assemblea? Un vero disastro. In un tempo di conformismo un imperioso invito ad allinearsi. Pur lontano da molte delle loro posizioni e dalla loro stessa linea di condotta, lo dico con vero dispiacere pensando alla autorevolezza e qualità di molte delle voci dissenzienti.