Diciamo la verità, quando all’inizio di agosto Arturo Parisi è venuto a trovarci al Fatto per chiedere sostegno al referendum antiporcata, il nostro sì è stato entusiasta, ma non è che fossimo così sicuri del raggiungimento del quorum. Come faranno (ci chiedevamo sommessamente) a raccogliere in meno di due mesi le 500 mila firme, a cui andavano aggiunte le altre, indispensabili, 200 mila di riserva? Siamo gente di poca fede visto che ieri mattina, i referendari, di firme ne hanno scaricate in Cassazione un milione e 200 mila. E chissà quante altre sarebbero state se gli uomini di fede Parisi, Di Pietro, Segni, Vendola e il presidente del comitato Morrone avessero avuto i mezzi per portare i loro banchetti in tutte le contrade italiane?
La verità è che quel milione e 200 mila persone rappresentano l’avanguardia di una maggioranza di cittadini (di destra e di sinistra) che stanno cominciando a riprendersi la democrazia e la politica. Che non ne possono più del populismo padronale e del qualunquismo un tanto al chilo. E che desiderano ardentemente cacciare via la casta dei nominati, da troppo tempo padroni indisturbati del Parlamento della Repubblica. Pochi mesi fa furono in 27 milioni (su 29 milioni recatisi alle urne) a dire no al nucleare e sì all’acqua bene pubblico. Saranno altrettanti e forse di più ad abrogare la più infame legge elettorale che si ricordi se la Corte costituzionale riconoscerà, come speriamo, l’esercizio pieno del fondamentale diritto di voto, e se i bramini partitici non s’inventeranno qualche imbroglio.
Dispiace, infine, che a questa bella festa democratica non abbia voluto partecipare, per i soliti piccoli calcoli di bottega, il Pd, partito delle occasioni perdute.