Arturo Parisi, padre dell’Ulivo e delle primarie, ha letto Avanti e vi ha trovato un leader imprigionato nel suo Io. L’ex ministro — deluso per il no alla proposta di Prodi di fare da «colla» tra Pd e Pisapia — teme che Renzi si sia rassegnato a perdere da solo, piuttosto che a vincere insieme.
La preoccupa la scelta di Pisapia di non candidarsi?
«Ascoltando le sue parole quando ha riproposto, quasi per inciso, la sua scelta, ne ho riconosciuto la coerenza. Allo stesso tempo nei volti dell’uditorio zoomati dalla telecamera ho letto sconcerto e preoccupazione. Come se ai passeggeri di un aereo venisse annunciato d’improvviso che il pilota li guiderà da terra».
Articolo 1 deve sciogliersi? O ha ragione D’Alema, che vuole prima rafforzare il suo movimento?
«Sciogliersi è una parola, mi consenta di sorridere».
Perché?
«Mi viene in mente la risposta che nel 2000 mi diede Veltroni, quando alla guida dei Democratici gli avanzai la proposta di ragionare sulla possibilità di fondare ex-novo un partito. Immaginavo potessimo chiamarlo Pd, a partire dallo scioglimento dei nostri partiti. “Scioglierci noi?” mi rispose, orgoglioso e offeso, l’allora segretario dei Ds. Ho paura che dopo 17 anni e su una scala diversa siamo di nuovo là. Noi non ci arrendemmo. Ma, le assicuro, è fatica».
D’Alema e Bersani devono lasciare spazio ai giovani?
«Come nessuno può chiedere al Pd che Renzi si faccia da parte, nessuno può avanzare verso loro una pretesa uguale. Per chi ragiona con me sulla necessità della ricomposizione di un centrosinistra di governo, anche se come me non condivide le loro scelte, è difficile negare che essi facciano parte del nostro campo. E anche se caricati di una rappresentanza incomparabile con quella di un tempo, non posso dimenticare che la loro voce ha avuto finora il timbro di una sinistra di governo».
Servono le primarie per le candidature?
«È la proposta che, con una qualche soddisfazione, ho sentito avanzare da D’Alema. Spero ci abbiano riflettuto attentamente. Ho fresco il ricordo dei danni prodotti dalle primariette improvvisate nel dicembre del 2012 per la scelta di parte dei parlamentari pd».
Perché Renzi ha respinto il contributo di Prodi?
«Più che il contributo di Prodi ha respinto il progetto della costruzione di un nuovo centrosinistra, che mettesse di nuovo al suo centro il governo del Paese. Ha respinto l’idea di costruire una coalizione capace di governare insieme alle forze di centro e di sinistra, con le quali già oggi governa a più livelli il Paese. A quelli che non riescono a credere come il Pd possa mai raggiungere questo obiettivo da solo, sembra che Renzi preferisca perdere, piuttosto che provare a vincere insieme».
Molti sono rimasti colpiti dal Renzi solo contro tutti del libro «Avanti». Lei lo ha letto?
«Anche a me il tema dell’Io sembra cruciale. Nel racconto del libro, come nella realtà, è interessante l’oscillare tra l’Io e il Noi. Hai voglia a ripetere che, se senza un Io non si parte, senza un Noi non si arriva. Renzi sembra seguire il percorso inverso».
Dal Noi all’Io?
«Così come sette anni fa la sua avventura esordì con un Noi giovani, premessa di una inevitabile rottamazione dei vecchi, tutta la successiva galoppata di Renzi si è svolta dentro un Io che è andato trasformandosi in una prigione».
Perché Prodi ha piantato la sua tenda lontano dal Pd?
«Più che a spostarla in un’altra parte del campo, credo che il rifiuto del progetto da parte di Renzi abbia spinto Prodi ad arrotolarla e ad allontanarsi dal campo».
E lei? Aderirà al partito di Pisapia?
«Se per Pisapia Insieme non è, come credo, un invito rivolto soltanto a una parte ma a tutte le forze del centrosinistra, a cominciare dal Pd, ad operare insieme per il governo del Paese, quella che conta è la meta piuttosto che i percorsi per raggiungerla. Dentro un comune progetto è bene che ognuno faccia la sua parte. Penso che il progetto ora respinto prima o poi ritornerà attuale. Non ha alternative».