“Ho votato Renzi anche se non mi sentirei di definirmi renziano” dice il professor Arturo Parisi. Ex ministro della Difesa, ex Presidente dei Democratici, considerato l’ideatore del progetto prodiano, indica in Matteo Renzi un “figlio dell’Ulivo non foss’altro che per un motivo generazionale”.
Renzi dice che non c’è bisogno di analisi del sangue per il suo essere di sinistra.
Lui ha scritto “di sinistra”. Anche se è certo più corretto leggere “di centrosinistra”. Non era comunque del suo sangue personale che Renzi parlava ma di quello del suo Pd. Più esattamente a Mauro che gli aveva chiesto quale spazio restasse alla sinistra tra le culture che debbono coesistere in un partito capace di parlare all’intera nazione, mi è sembrato che Renzi abbia risposto che, dopo il superamento del trattino che a lungo aveva diviso il centro dalla sinistra, nel sangue del Pd non c’è analisi che riesca più a distinguere il sangue degli uni da quello degli altri.
Dopo Prodi è ancora una volta un cattolico a restituire al centrosinistra una prospettiva vincente. Lei che con Prodi lavorò al progetto dell’Ulivo vede un parallelismo possibile con Renzi?
Più che un parallelismo è lo svolgimento della stessa idea che ha guidato fin dall’inizio il nostro progetto. In luogo della prima coalizione dei partiti del centrosinistra che nella competizione bipolare si unì a tempo indeterminato attorno ad un progetto politico di lunga durata sta oggi il Pd, quel partito unico del centrosinistra che indicavamo allora come orizzonte finale. Ma il progetto e il processo sono gli stessi. Il fatto che oggi come allora sia alla guida un esponente che non proviene dalla sinistra tradizionale è allo stesso tempo una prova ulteriore che si trattava di un progetto nuovo e che, nonostante tutto, quel progetto ha camminato, e la garanzia del suo possibile ulteriore avanzamento.
E la visione plurale che Renzi rivendica per il suo Pd quanto richiama l’idea che fu alla base dell’Ulivo?
Il pluralismo delle ascendenze culturali dentro le singole parti è un corollario di un sistema maggioritario, sia esso bipolare o bipartitico. Pur distinte da diversi programmi, per poter ambire a parlare a tutto il paese sia nel momento della raccolta del consenso che nella azione di governo ambedue le parti debbono essere al loro interno plurali. Plurali, ma allo stesso capaci di proporre e riconoscersi in una sintesi che guidi la soluzione dei problemi.
Renzi nega l’idea dell’uomo solo al comando, una delle accuse che gli fa chi lo accosta a Berlusconi.
La presenza di una guida visibile e riconosciuta è appunto la garanzia che la pluralità non si traduca in divisione.
Che ci sia uno al comando è inevitabile. Non altrettanto la sua solitudine. Una cosa è un padrone, un’altra una guida.
Nel Pantheon di Renzi i cattolici La Pira, Dossetti e Kennedy accanto a Berlinguer Mandela e Gandhi…
Come per il sangue torno a dire: parliamo del Pantheon del Pd, non di quello di Renzi. Nei Pantheon dei partiti come in quelli delle nazioni riposano fianco a fianco persone che in vita furono distanti e contrapposte. Anche Cavour sta vicino a Mazzini, e Garibaldi a Vittorio Emanuele II.
Il nodo principale sembra essere l’articolo 18 e il rapporto col sindacato. Rivederlo con decisione è giusto, se non quasi come dice Renzi, un dovere?
Ho idea che in questo caso più che il contenuto delle questioni finisca per contare il tono col quale vengono poste, e l’accento di chi le pone. Una cosa è dire che il tempo del posto fisso è finito, con la leggerezza di chi potendo aggiungerebbe un “finalmente”, un’altra dirlo col tono di chi è partecipe dell’ansia dei troppi che sentono questo annuncio come la condanna ad una precarietà definitiva.