L’accordo va. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi hanno limato l’impianto della futura legge elettorale e trovato un accordo sulle soglie. Ora, come ha detto il segretario Pd in un tweet, rimane il resto: Senato e titolo V della Costituzione, province in primis. L’incontro del Nazareno fra i due non rimane un episodio e l’Italia è forse uscita dall’eterna prima repubblica.
Ne parliamo con Arturo Parisi, ulivista storico, ministro col primo governo di Romano Prodi, osservatore certo di parte ma mai scontato.
Domanda. Professore, l’accordo sulla legge elettorale è andato, Renzi ce l’ha fatta. Come si dice nel tennis: «Game, set e partita». O l’iter parlamentare e può celare qualche pericolo?
Risposta. Oggi possiamo solo dire che la partita è iniziata. Non è poco. Quella che è iniziata non sarà infatti una passeggiata. La linea di faglia tra partiti interni ed esterni al sistema, come è ora M5s, annuncia conflitti che per asprezza ricorda i conflitti degli anni ’70. Ma se fosse saltato l’accordo sarebbe stato un disastro.
D. Perché, professore?
R. In un sistema nel quale i partiti sono ormai null’altro che luoghi, subroutines del sistema decisionale, o strumenti dei leader, col fallimento congiunto di Renzi e Berlusconi, la sola ipotesi di elezioni regolate dalla legge elettorale vigente, quella cucinata dalla Consulta, avrebbe trasformato in terrore quella che era apparsa come un’esile speranza.
D. Con quali conseguenze?
R. Allo scontro con le formazioni esterne si sarebbe aggiunta una frammentazione interna che avrebbe fatto esplodere come una bomba a grappoli l’arena della competizione per il governo.
D. Comunque la partita è iniziata
R. Sì e grazie al ritmo impresso da Renzi confidiamo in una conclusione. Quando e come è un’altra cosa. Non possiamo dimenticare che sul tavolo non sta una legge elettorale.
D. Certo, Senato, titolo V, temi della cui importanza non c’è forse una piena percezione.
R. Quello che Renzi ha ieri ha chiamato un «pacchettino», è infatti un paccone di riforme istituzionali, a cominciare dal superamento del bicameralismo attuale senza il quale la stessa riforma elettorale col suo stesso premio di maggioranza perde il suo senso. Come giustificare ad esempio il rilevante premio di governabilità qualora la sopravvivenza del Senato mettesse in causa la possibilità di dar vita ad una unica maggioranza di governo?
D. Facciamo un passo indietro: con l’incontro del Nazareno,s’è anche chiusa una stagione, quella dell’antiberlusconismo. È d’accordo?
R. La stagione che l’incontro ha chiuso è quella dei troppi incontri riservati, magari in case private e su temi che era prudente riparare dalla luce del sole. E assieme ad essa mi auguro sia finita la stagione della confusione tra la questione giudiziaria e la questione politica, e quindi della pretesa di trasformare il riconoscimento politico in una sentenza di assoluzione in bianco.
D. Siamo finalmente nella terza repubblica o, come dice qualcuno, siamo definitivamente nella seconda?
R. La verità è che o si ha il coraggio di entrare compiutamente e definitivamente nella seconda o quello che chiamiamo ingresso nella terza è destinato a rivelarsi nient’altro che un ritorno alla prima. Come non riconoscere nell’accordo di oggi i tratti che hanno fondato e attraversato la seconda Repubblica?
D. Ricordiamoli, allora
R. Il definitivo avanzamento della logica maggioritaria, la tendenza del bipolarismo a farsi bipartitismo, l’emergere grazie alla investitura diretta delle primarie di una leadership personale istituzionalizzata in contrapposizione con quella di B., padronale ed extra-istituzionale. Come non riconoscere come elemento qualificante nella democrazia prodotta dall’accordo quella competizione diretta per il governo, la cui assenza è stata appunto la cifra principale della democrazia consociativa della prima repubblica? Chi ha scommesso sul fallimento della seconda repubblica o sulla terza come ritorno alla prima sa che questa è una partita cruciale.
D. E che cosa faranno, i nostalgici della prima repubblica?
R. Le tenteranno tutte, alla luce e nell’ombra. Più che mai questa volta vale il detto che fino a quando tutto non è finito niente è finito.
D. Sul resto del «pacchettino» B. potrebbe fare un passo indietro per indebolire un po’ il suo avversario?
R. Cosa farà Berlusconi lo scopriremo giorno per giorno. Anzi a scoprirlo sarà per primo lui stesso. Dopo vent’anni bisogna prendere atto che la sua linea cambia man mano che cambiano le condizioni. A differenza che, in Renzi, guidato da un progetto di tempo medio lungo e, nonostante l’indebolirsi della forma partito, è condizionato dalla natura collettiva della sua impresa che, lo costringe a condividerli con altri impedendo cambiamenti improvvisi, in Berlusconi tattica e strategia coincidono.
D. In che modo, professore?
R. Di strategico in lui c’è solo la difesa costante del suo potere personale immediato. Con l’avanzare dell’età, sempre di più. Ecco un altro motivo che chiama alla prudenza. Come reagirà all’affidamento ai servizi sociali? Come uscirà dalle elezioni europee?
D. Qualcuno dice che, un minuto dopo la nuova legge elettorale, Enrico Letta abbia non le ore ma i minuti contati e che Renzi voglia andare a votare a maggio, alla vigilia del semestre europeo. Che ne pensa?
R. Il fatto che l’orologio di Letta conti il tempo alla rovescia mi sembra ormai un dato più incontestato che incontestabile. E tuttavia non è dall’approvazione della legge elettorale che l’orologio ha cambiato il suo verso, semmai dal definitivo trasloco di ogni pretesa leadership da Palazzo Chigi al Nazareno, dopo la vittoria di Renzi alla guida di quello che è, allo stesso tempo, il suo partito e il principale partito della sua maggioranza. Semmai_
D. Semmai?
R. L’approvazione della legge elettorale con l’appendice del tempo di definizione dei collegi non può che rallentare il ticchettio e prolungare la sua presenza al governo. La legge e ancor più di quel pacchetto di riforme istituzionali che della legge è presupposto e corollario allontanano infatti le urne.
D. Di quanto?
R. Di certo il percorso appare ora più lungo dello stesso semestre europeo, e la giustificazione perché resti alla guida del governo è di certo più solida della scusa addotta finora per prenotare qualche mese in più a Palazzo Chigi. Come dimenticare che appunto nel 2006 proprio in un semestre europeo celebrammo le elezioni politiche e Prodi sostituì Berlusconi nella premiership?
D. Quindi?
R. Nonostante l’urgenza di un cambio di passo, l’unica possibilità che un governo a scadenza non decada a governo scaduto è proprio quella di poter annunciare in Europa che siamo entrati in un passaggio che apre finalmente all’Italia un futuro, anche se quel futuro si chiama Renzi e chi lo annuncia si chiama Letta. Solo così un governo che i più definiscono senza futuro può tornare ad usare i verbi al futuro.
D. Sì però Letta, dichiarandosi pro-preferenze e agitando di nuovo la legge sul conflitto di interessi, ha dimostrato di non temere lo scontro col suo segretario di partito. Come finirà questa storia?
R. Ammesso ma non concesso che queste posizioni abbiano avuto il rilievo e il senso che ho letto, si è trattato di un attimo. La sfida non è certo nelle corde di Letta. Così come Renzi è la prima compiuta espressione nel centrosinistra della cultura competitiva necessaria alla democrazia della seconda Repubblica, Letta resta la migliore incarnazione della più solida cultura consociativa della prima Repubblica.
D. E perché, professore?
R. Perché se avesse voluto fronteggiare Renzi, che nelle primarie ha sfidato nelle parole e nei fatti il suo governo, Letta avrebbe raccolto apertamente la sfida candidandosi nelle primarie in rappresentanza delle sue ragioni. Ma se De Gaulle, che era De Gaulle, è arrivato a dire che «il potere non si conquista, si raccoglie», come chiedere a Letta un comportamento ispirato ad una prudenza minore? Detto questo_
D. Che non è poco
R. Ritengo che per riconoscere che la questione delle liste bloccate e quella dei conflitti di interesse restano le due ferite più gravi inferte alla nostra democrazia non è necessario chiamare in causa l’intenzione di sfida. Basta fare appello al rispetto della verità.