Dopo la batosta del 4 marzo il Pd sardo continua a marciare su tre strade parallele. Ognuna con un approdo diverso. Il segretario Giuseppe Luigi Cucca, consapevole di dovere fare un passo indietro, vuole un traghettatore super partes, l’ex Renato Soru chiede primarie immediate, l’altro ex Silvio Lai propone un referendum per rendere il partito autonomo da Roma. E così l’assemblea di Tramatza si è chiusa con un nulla di fatto, rinviando qualsiasi decisione a venerdi prossimo. Forse.
Arturo Parisi, già ministro della Difesa e più volte deputato, è uno che il Pd lo conosce bene, fin dai tempi dell’Ulivo prodiano, di cui fu l’ideatore. E dunque è più che abituato alla dialettica interna ai dem. Oltre Tirreno, ma anche nell’isola.
Parisi, cosa deve fare il Pd sardo per uscire dallo stallo?
“Ripartire è possibile solo se si riconosce l’enormità dell’accaduto. In Sardegna più che in ogni altra parte d’Italia. Con i 5 stelle a un livello raggiunto soltanto dalla Dc nella stagione ruggente che precedette la crisi degli anni ’70. Più o meno mezzo secolo fa. Siamo troppo in ritardo. Non parlo di questi 60 giorni a bisticciarsi sul nulla. Ma degli anni che ci stanno alle spalle.
Dei 42,8 elettori su cento che questa volta hanno votato il M5s, 29,7 – due terzi – si erano già segnalati nel 2013, scavalcando già allora dal nulla il potente Pd con quasi 5 punti in più. Tra le infinite “tramatze” ne ricorda qualcuna dedicata a decriptare il boato di cinque anni fa?”.
Cosa ne pensa della proposta di un referendum tra gli iscritti per la nascita di un Pd sardo autonomo da Roma?
“Vorrei capire. Si ritiene che il nostro disastro, ripeto, senza pari in Italia, sia dovuto, nonostante le nostre virtù, prima a Bersani che cinque anni fa ci avrebbe fatto perdere i primi due terzi del nostro seguito, e ora a Renzi che ci ha sottratto il resto? E allora prendere le distanze da Roma potrebbe perfino avere un suo senso. A ognuno il suo! O quella che viene auspicata è invece la presa di distanza dall’autonomismo federalista che avrebbe dovuto ispirare la sinistra in Sardegna, per gareggiare ora con le istanze dell’indipendentismo separatista, come ho sentito da una voce autorevole e avveduta come il presidente Ganau che ha recentemente rivendicato alla Sardegna una “piena sovranità” e una “piena autodeterminazione”, sul solco della Catalogna. E allora prima se ne parla e meglio è. Purchè si pesino le parole”.
Soru dice: basta con le correnti. Il Pd può riuscire a superare questa divisione in fazioni che esiste da quando i dem sono nati?
“Basta farlo. Farlo dico. Non dirlo. Tutti. Una cosa sono i raggruppamenti che gareggiano sul piano delle idee per conquistare a tutto il partito nuovi consensi. Un’altra le correnti come strumento per rivendicare e spartire i voti residui”.
Il Pd sardo non se la passa bene, ma neanche quello nazionale. La direzione si è chiusa con un documento all’unanimità: chi ha e chi ha perso?
“Non ha vinto nessuno. Ancora una volta, a perdere è stato il Partito. Una occasione perduta per parlare e ascoltarsi. Me lo faccia dire alla sassarese, dopo una giornata sprecata a intimidirsi cumènti liòni un’iscìdda cumènti li matzòni per poter ritornare l’indomani tutti uniti a ribisticciarsi da volpi sui giornali e in tv”.
A suo avviso che tipo di rapporto deve tenere il Pd con il Movimento 5 stelle?
“Innanzitutto con l’attenzione e l’ascolto che si deve ai vicini di casa. Qualsiasi cosa dicano. Visto che ora ognuno di noi sa che nel proprio palazzo più o meno la metà ha votato i 5 stelle. Poi col rigore che si deve a chi si porta rispetto. Senza sconti. “Lasciarli cantare” non è bene e non paga. Non è quello che è accaduto in questi giorni. O non li si è ascoltati, o si è dato a intendere di poter arrivare a una intesa senza i necessari chiarimenti preliminari”.
Dopo le elezioni lei ha più volte detto che andare a votare con il Rosatellum sarebbe inutile. Alla luce degli ultimi eventi è sempre della stessa opinione?
“Più che mai. Chi mi segue ricorda il lutto che dichiarai in occasione del recente decennale della fondazione del Pd all’indomani della approvazione del Rosatellum. Praticamente alla vigilia delle elezioni. Sono ancora a lutto. Stretto”.
Se, come probabile, si andrà a votare in autunno finirà allo stesso modo del 4 marzo?
“Se non cambia niente, male per il Paese e peggio per il Pd. Ripeto: se. E’ per questo che al Pd rivolgo l’appello di riprendere il cammino ritrovando la smagliatura iniziale, e a tutti di approfittare del passaggio di transizione che nell’immediato comunque ci attende per recuperare quello spirito costituente che ci consenta di pensare un futuro comune”.