Il diellino più odiato e più copiato dai Ds
Sull’Eurostar che da Firenze lo riporta a Roma Ugo Sposetti, che dei Ds è il cassiere, non riesce a farsene una ragione: «Per il nostro congresso di Firenze avevo chiesto la disponibilità temporanea di una piccola struttura militare nei pressi del PalaMandela, ma il ministro Parisi, confermando la proverbiale mancanza di duttilità e di realismo, ce l’ha negata».
Una pausa e poi la battuta: «Se lo prendo…» e mentre lo dice, mima scherzosamente Io schiaffone. Sposetti ha risanato le casse della Quercia, è uno dei dirigenti chiave dei Ds e la sua battuta interpreta la formidabile ostilità di quasi tutta la nomenclatura dei Ds e della Margherita nei confronti di Arturo Parisi, il personaggio che nel corso degli anni con proposte sul momento bollate come provocatorie (liste unitarie, primarie, partito democratico) ha costantemente spiazzato i vertici dei due partiti.
Il nomignolo di «Hailé Selassié», attribuito alla malizia di Massimo D’Alema, è il più benevolo dei soprannomi che sono piovuti sul vulcanico professore sardo bolognese, per anni il principale consigliere politico di Prodi. Sottovoce Parisi è stato via via ribattezzato dai suoi alleati «Ali il chimico», «il dottor Stranamore», «il pazzo», per non parlare del ridicolo «Artullo» affibbiatogli da Francesco Cossiga.
Ma poiché – come ha detto al congresso ds Valdo Spini – «alla fine ha vinto Parisi», prendendo ieri la parola nello studio 5 di Cinecittà al congresso della Margherita, «Artullo» avrebbe potuto celebrarsi. Non lo ha fatto, o meglio lo ha fatto con quel suo linguaggio criptico, comprensibile soltanto ai cultori del rito parisiano.
A Massimo D’Alema – il beniamino del partito, l’altro da sé, il duellante di tanti scontri durissimi – Parisi ha concesso un riconoscimento inatteso: «Seguendolo per radio, ho sentito sulla bocca di D’Alema la parola “ultimo” per definire il congresso ds, ultimo di una storia che noi sappiamo vissuta come storia sacra», «una storia che in molti affida ancora al partito la salvezza personale dei militanti e delle masse», «secondo il principio che in riferimento alla Chiesa fa dire “extra ecclesiam nulla salus”».
Oltre ad invocare un voto palese sull’elezione per l’Assemblea federale, ai tanti che in questi anni lo hanno osteggiato e in alcuni casi sbeffeggiato, Parisi ha riservato battute in codice, mai personalizzate ma acuminate: «Abbiamo voglia di cercare parole, se dimentichiamo che la forza della comunicazione è affidata ai comportamenti e alla testimonianza delle convinzioni: le belle frasi le possiamo leggere anche nei Baci Perugina». Ed è sembrato alludere a sé stesso soltanto quando ha detto: «La forza del messaggio non può che dipendere dalla coerenza di una vita».
Parisi ha ripercorso a volo d’uccello la storia degli ultimi cinque anni, ma glissando su diversi episodi inediti. Ha soltanto alluso al più provocatorio dei suoi gesti, quando di notte abbandonò il congresso costituente della Margherita di Parma nel 2002, congedandosi con un sms, per protestare contro Popolari e rutelliani che a suo avviso avrebbero dovuto sciogliersi dalla sera alla mattina. Una delle tante fughe in avanti, inscenate per farsi rincorrere.
La successiva risale al luglio del 2003. A freddo Parisi e Prodi lanciano con due interviste la proposta di «liste unitarie di tutto l’Ulivo» da presentarsi alle Europee del 2004. Gelo nei Ds e nei Dl. La reazione ufficiale di Fassino e D’Alema è: «Se ci stanno tutti…». Un escamotage per affondare tutto e infatti Verdi e Pdci (allora nell’Ulivo) sbarrano la strada: «Mai!».
Alle Europee 2004 l’Ulivo ottiene il 31,3% e Franco Marini commenta: «Risultato inferiore alle aspettative, esperienza irripetibile alle Regionali 2005». Incontro riservato a Bruxelles Prodi-Marini-Parisi e si sblocca tutto.
Per le Politiche 2006 Rutelli e Marini dicono «giammai assieme ai Ds», Parisi si impunta sulla lista unitaria e il 16 giugno 2005 in casa di Ricky Levi si consuma un drammatico braccio di ferro con Fassino e D’Alema che non vorrebbero le Primarie, Prodi quasi si convince ma Parisi, dall’ospedale per una visita, telefona al suo amico: «Romano non mollare».
Prodi tiene, ottiene le Primarie e il 17 ottobre, dopo quel plebiscito, si arrende anche Rutelli: «Facciamo le liste unitarie alla Camera». Ieri sera, lasciando Cinecittà, Parisi commentava tra sé e sé: «Se ripenso a questi anni, mi accorgo che abbiamo dovuto rompere… i coglioni senza fermarci mai! E se penso all’Assemblea costituente del prossimo autunno, dico: sarà durissima».