È un addio al Parlamento, non alla politica. Chi conosce Arturo Parisi non aveva bisogno della definizione delle liste, per sapere che avrebbe tenuto fede all’annuncio di non ricandidarsi. Nel lasciare la Camera, dopo tredici anni esatti, il professore sassarese conferma i giudizi agrodolci sul suo Pd, meno coraggioso di quanto potrebbe. E pur con toni rispettosi lascia intuire le perplessità sulla «salita» in campo di Mario Monti: «Un passo troppo grande o troppo piccolo, a seconda del punto da cui lo si guardi». Lei non si ricandida per una scelta personale, o per rinnovare, o perché disilluso sulla possibilità di un cambiamento? «La mia è una scelta politica. Innanzitutto perché penso che, a differenza del Governo, il primo compito del Parlamento è rappresentare la società e il suo cambiamento. È bene che quelli chiamati a rappresentarla cambino di pari passo: giovani e donne diano voce ai troppi giovani e alle troppe donne ancora senza rappresentanza. E poi perché, benché le regole di partito me lo consentissero, non mi sentivo di rappresentare più in Parlamento un partito che stimo, ma ancora troppo lontano da quel Pd per cui ho lavorato per 20 anni». Bersani ha vinto le primarie: viva Bersani? La convince come candidato premier? «Sulle sue capacità di governo personali non ho avuto mai dubbi. L’esperienza che ho con lui condiviso nei due governi Prodi mi ha consentito di apprezzare le sue qualità da vicino». Pd e Sel valutano diversamente la riforma Fornero del lavoro. Un governo di centrosinistra dovrebbe ritoccarla oppure no? «Ritoccarla è quello che hanno promesso assieme. Come, quanto e quando sono invece punti che possono dividerli. Ma partecipando alle primarie Vendola ha riconosciuto a Bersani il diritto alla guida». Lei ha invocato le primarie “parlamentari”. È soddisfatto di come sono venute fuori, o è rimasto deluso? «Se fosse per i dettagli che non tornano, dovrei dirmi deluso e insoddisfatto. Ma il panorama di macerie degli altri partiti è tale, e così ristretto il tempo, che bisogna dare al Pd i suoi meriti. È un passo avanti: ma è difficile dimenticare che segue a dieci fatti all’indietro. Ci vuole ben altro di queste affrettate primarie, che coinvolgeranno da noi poche decine di migliaia di cittadini, per risarcire del furto consumato col Porcellum». Giudica opportuna la «salita» in politica di Monti? «Ormai è un fatto compiuto. Certo un passo troppo grande se si guarda da dove Monti è partito, forse troppo piccolo se si pensa a dove sembra puntare. Troppe sono le domande che attendono risposta. Innanzitutto, se Monti sia salito in campo da centrista per una trattativa, o per lavorare a un’alternativa. E ancora: trattativa con chi? Alternativa a chi?» Anche lei, per il dopo-voto, dà per scontato un accordo Bersani-Monti? «Ho sempre dissentito dalla linea di Bersani che fa del Pd il partito dei soli progressisti e invita i moderati a organizzarsi per conto proprio, dandosi appuntamento per un’alleanza dopo il voto. Se accordo ci dev’essere sia oggi, avanti ai cittadini prima del voto. Altrimenti si riconosca a chi vince il diritto al governo, e a chi perde quello di opporsi. Questo è più che mai un tempo di scelte riconoscibili». Viste le candidature alle primarie del Pd sardo, ha ragione chi teme un rinnovamento modesto? «Guardando alla Sardegna, vedo nell’esito del meccanismo messo in campo più la possibilità di sorprese che di conferme. Certo, non posso dimenticare tutte le trappole introdotte all’opposto nelle regole nazionali, per contenere le sorprese e rafforzare le conferme». Nel Pd sardo c’è chi vuole già avviare le primarie per il candidato governatore. È il momento giusto? «Ogni cosa a suo tempo. Resta tuttavia che, subito dopo le elezioni di febbraio, è bene avviare un percorso che all’inizio dell’autunno consenta di scegliere il candidato presidente. Anzi, mi faccia correre con la fantasia, i candidati presidenti: quello del centrosinistra e quello del centrodestra». Arturo Parisi continuerà a interessarsi di politica e a dare il suo contributo al centrosinistra italiano? «Certamente. Come non ho atteso di entrare in Parlamento per interessarmi di politica, non è uscendone che smetterò di farlo. Pur muovendo dal campo politico al quale ho sempre fatto riferimento, la mia prima preoccupazione resta tuttavia per la democrazia di tutti i cittadini, mortificata da vecchie e nuove oligarchie». Il tema delle regole elettorali è ancora centrale? «Ora più che mai. Monti dice che il primo punto del suo programma sarà la legge elettorale e la riforma delle istituzioni: cosa dovrebbe dire chi, come me, sente ancora bruciare la sconfitta inferta, col confermato Porcellum e le mancate riforme istituzionali, dai partiti di maggioranza? Le sole battaglie veramente perdute sono quelle abbandonate». Giuseppe Meloni