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7 Luglio 2006

Parisi: Partito Democratico, se non si va avanti qualcun altro si impadronira’ dell’idea

Autore: Fabio Martini
Fonte: La Stampa

Roma. A Palazzo Baracchini, nel grandissimo e severo studio che ospita tutti i ministri della Difesa, quarantanove giorni fa Antonio Martino si è congedato così dagli Stati Maggiori delle Forze Armate: «Arturo Parisi sarà un ottimo ministro per la sua autorevolezza e anche perché lui ha qualcosa che io non ho: più peso politico». Da sette settimane il nuovo ministro della Difesa si misura con le concretissime faccende imposte da un incarico così diverso dalla sua esperienza, provando ad inverare la generosa profezia del suo predecessore. Ma l’inventore dell’Ulivo, delle liste unitarie e delle Primarie ovviamente non ha divorziato dai suoi «amori» e in questa intervista racconta come, a suo avviso, potrebbe decollare (ma anche fallire) il chiacchieratissimo progetto del partito democratico.

Esattamente tre anni fa la proposta, sua e di Prodi, di una lista unitaria alle Europee cadde nello scetticismo (ufficioso) del circuito politico-mediatico; oggi lo stessa sensazione accompagna il progetto del partito democratico. Stavolta sarà più dura?
«Il cammino verso la democrazia governante è iniziato 17 anni fa, subito dopo la caduta del Muro di Berlino. Ognuno rispose a modo suo: Occhetto col superamento del Pci, i democristiani con quello della Dc, alcuni di noi con i referendum sulle riforme istituzionali. Il cammino continua verso una meta impegnativa e quel che conta è il saldo positivo, anche se facessimo tre passi avanti e due indietro».

Le liste unitarie le avete ottenute anche grazie all’arma (nascosta e mai dichiarata) della possibile Lista Prodi. Lo ammetta: stavolta siete senza deterrenti…
«I deterrenti sono indipendenti da chi li minaccia, perché sono affidati alle speranze o alla delusione delle domande dei cittadini. Ma so che quando le domande non ottengono la loro risposta, prima o poi troveranno qualcun altro che la darà. Anche per il partito democratico potrebbe esser così».

Lo «scippo» è uno scenario mai evocato: in caso di impasse, chi potrebbe prendere in mano la bandiera di un partito del progressismo italiano? Un sindaco? Un non-politico che colma un vuoto, come Berlusconi nel 1994.
«Forse la mia sembra una frase fatta. Ma la verità è che in politica, come nella vita, i vuoti sono destinati ad essere riempiti. Da chi? Non lo so. Certo, non da quelli che li hanno aperti: alimentando domande alle quali non sanno, non possono o non vogliono dare risposta».

Quello sul partito democratico è un confronto cifrato: chi spinge è una ristretta élite di appassionati. Perché non riuscite a rendere più «caldo» questo gelido dibattito?
«Le architetture hanno dato tutto quello che potevano dare…».

Se lo dice lei…
«Certo, in passato sono stato individuato come l’uomo delle architetture ma non è più quel tempo. Lo capisco: chi va ad abitare in una casa, non riesce ad appassionarsi davanti al cantiere. Così come chi va al ristorante, si tiene lontano dalla cucina. Ora è il tempo del confronto su temi concreti, quelli del governo del Paese. Si apra un dibattito di massa, sui giornali, nelle feste di partito, in seminari, su Internet, per scrivere un manifesto del nuovo partito entro l’inverno».

Il solito manifesto, poi sottoscritto da registi, pittori e compagni di strada?
«No, un manifesto che consenta al singolo cittadino di dire: io ci sto».

Ma chi sottoscrive quella «Magna charta», pagando un obolo, diventerebbe automaticamente iscritto al partito democratico?
«Certamente».

E dopo l’iscrizione di massa che cosa immagina?
«E’ vero che l’atto di adesione a un progetto comune in nome di valori condivisi è solo un primo passo di un processo. Ma è quello decisivo. Che cosa definisce meglio un partito se non appunto l’esistenza di persone che si mettono insieme per perseguire un obiettivo politico? Una volta fatto questo passo, il come e il chi, non possono che venire di seguito».

I partiti potrebbero obiettare: procediamo per cooptazioni e quote: un tot ai partiti, un tot agli «esterni»…
«Mi lasci sognare. Consapevole che il cambiamento sarà una sintesi tra sogno e realtà e che dunque bisognerà valorizzare chi si dedica quotidianamente alla politica e chi conferirà al nuovo soggetto strutture che possono forse fare qualche prigioniero del passato ma senza le quali è difficile costruire il futuro».

Potenzialmente potrebbero iscriversi milioni di cittadini?
«Non penso ai numeri delle Primarie perché allora parteciparono anche cittadini che anticipavano la speranza della fine di una stagione, ma quello di cui sono sicuro è che la partecipazione sarebbe di gran lunga superiore a quella che normalmente è mobilitata dai partiti».

Gli iscritti a Ds e Margherita sono un milione, i militanti attivi circa 300.000: il «suo» partito democratico punta a numeri più grossi?
«Credo proprio di sì».

In Fassino e D’Alema – come nel Pci che si spostava lentamente per portarsi tutti dietro – c’è il mito dell’unità di partito. Una preoccupazione comprensibile, non le pare?
«Riconosco l’importanza di ogni sforzo che si proponga di portare nel futuro tutto ciò che è possibile del passato. Tuttavia il principio di identità da solo è un fattore di conservazione. Solo chi non ha paura di mettersi in gioco e di perdere, riesce a non perdersi».

La velocità con cui cambia opinione Rutelli la persuade?
«Rutelli ha la dote del coraggio e il vantaggio di non doversi caricare di un’identità. Il che è anche un limite: oltreché conservazione l’identità indica tenuta».

D’Alema propone di fare gruppi unitari in tutti i comuni d’Italia: le pare ragionevole e sufficiente?
«D’Alema dice bene. Peraltro questa è una proposta della quale ci facciamo portatori da sempre. Il tempo dell’Ulivo come autobus dal quale scendere una volta arrivati in Parlamento è finalmente finito. Io faccio una proposta ulteriore, dal valore simbolico: a fine estate Ds e Margherita facciano una unica festa, la festa per il partito democratico».

In poche e sentite parole, a cosa serve il partito democratico
«I problemi della convivenza civile richiedono di essere risolti qui ed ora e non solo rappresentati, in una prospettiva escatologica».

E Prodi? Con tutto il lavoro che ha da sbrigare a Palazzo Chigi, per il nuovo partito più che vibranti appelli non potrà fare…
«Hai voglia a sventolare bandiere dell’avvenire se non superi l’esame del presente. Ma guai appiattirsi sul governo, dimenticandosi la società e il futuro. Guai se l’azione di governo apparisse il risultato di un contenzioso infinito tra partiti. O una somma di provvedimenti nella quale non si percepisce il filo che li lega. In ogni momento dobbiamo saper evocare un progetto che vada oltre il programma dei 5 anni. Senza una “colla” che tiene assieme unità, governo e progetto, fatica il governo, ma non c’è neppure il partito democratico. Ma sono sicuro che con la guida di Prodi ce la faremo».