Cioè il “nuovo
conio”rutelliano evoca soluzioni centriste?
“Io so solo che il “conio”
del centrosinistra è uno solo. Ed è quello col quale ci siamo presentati agli
elettori. Lo stesso che i partiti dell’Unione hanno solennemente sottoscritto
impegnandosi a rimettere l’esito del governo Prodi nelle mani e solo nelle mani
degli elettori. Questa è la principale. Come sempre ogni subordinata ha come
solo effetto quello di indebolire la principale. Questo per il presente. Ma
anche per il futuro che è il tempo del quale si fa carico il Pd: l’unica
alternativa al centrosinistra è il centrosinistra”.
Pensa la stessa cosa
anche del sistema elettorale tedesco? Fassino, e non solo, sta insistendo molto
su questo modello.
“Dice bene. Fassino e non solo, visto che vedo aprirsi
una gara per il copyright del sistema tedesco. La realtà è che attorno alle
legge elettorale vanno dipanandosi due disegni contrapposti. Da una parte il
ritorno al proporzionale e il superamento del bipolarismo con la copertura di
una legge alla tedesca, e dall’altra la difesa del bipolarismo attraverso il
premio maggioritario. Il problema non è tuttavia il sistema tedesco, che già in
Germania è in crisi, ma che il sistema sarà inevitabilmente tedesco
all’italiana. Hai voglia a prendere col Pd il 35%. Il governo sarebbe rimesso
nelle mani delle manovre parlamentari e dei Casini di turno, i Casini di
sempre”.
Eppure la legge tedesca sembra l’unica su cui centrodestra e
centrosinistra possano convenire.
“Il guaio è che questo sistema che
rende impotenti i cittadini e i governi, aumenta il potere dei capipartito
assicurandoli circa la loro stabile presenza al potere. E d’altra parte è
proprio grazie a questo disegno consosciativo, più che per la passione per la
scrittura bipartisan delle regole, che i vertici dei principali partiti dei due
poli cominciano a scambiarsi occhiate amorose e non solo occhiate”.
Ma
lei, per una grande intesa con l’opposizione su riforme bipolariste che chiudano
finalmente la transizione, sarebbe pronto a sacrificare anche il
governo?
“Ho ancora sul tavolo la scheda n.1 del programma dell’Ulivo del
1996, che nel titolo e alla prima riga affidava le riforme ad “un patto da
scrivere assieme”. E questo nonostante che il centrodestra di allora fosse
certamente meno affidabile di quello di oggi. Io sono ancora lì. Alla necessità
di un patto storico stretto in nome dell’interesse del Paese. Ma un patto di
questo tipo si scrive alla luce del sole, attraverso un confronto aperto con
tutto il centrodestra, non all’ombra investendo illusoriamente su tentazioni e
divisioni di corto respiro”.
Nel frattempo, appunto, Rutelli ha
presentato il manifesto dei coraggiosi. E’ il primo segno della battaglia che si
consumerà da qui al 14 ottobre?
“Non è il coraggio che mi preoccupa. Ma
la sua assenza, la stessa che dopo la rivendicazione a gran voce della elezione
di un vero segretario politico che sollevasse Prodi degli oneri della guida del
Pd, aveva prodotto la bella idea di un candidato unico. Attraverso lo spiraglio
restato aperto sono entrate ora altre candidature che in parte hanno corretto la
piega imposta dai vertici dei partiti in nome del supposto valore della loro
unità e coesione interna”.
Ma non c’è il rischio che il Partito
Democratico si trasformi in un un partito di correnti come la Dc?
“E’
quello che sta già capitando a causa del rifiuto da una parte del voto disgiunto
tra candidato e delegati, e, dall’altra, della scelta di associare ad ogni
candidato una lista rigorosamente coerente con la sua linea politica. Ed è per
questo che gli strateghi del nuovo centralismo democratico stanno in questo
momento cercando di organizzare dall’alto anche il pluralismo utilizzando
contemporaneamente lo schema feudale delle liste di raccolta regionale e lo
schema corporativo delle liste dei giovani e di quelle, per dirla alla polacca,
dei contadini, più o meno cattolici che essi siano”.
Con chi ce l’ha?
Tra Veltroni, Bindi e Letta chi voterà?
“Lo dico a ragion veduta, senza
nascondermi nessuna delle differenze che ci hanno segnato in passato, la Bindi.
La più coraggiosa. Quella più capace di interpretare soggettivamente e di
produrre oggettivamente il nuovo. E quella che con minore timidezza ha ascoltato
e sottoscritto le ragioni del referendum”.
E invece la imbarazza quel
che sta capitando nell’Unione con l’inchiesta Bnl-Unipol?
“L’ho già detto
e lo ripeto. Guardare dal buco della serratura delle intercettazioni è cosa che
ritengo scorretta ma soprattutto inutile. Come avrei potuto cooperare per tanti
anni e addirittura pensare un futuro comune in uno stesso partito se avessi
dubitato anche solo un momento della dirittura morale e del disinteresse
personale dei dirigenti ds con i quali condivido responsabilità politica e di
governo? No! I problemi che mi preoccupano sono sotto gli occhi di tutti. Non
abbiamo bisogno di intercettazioni. Chi vuol vedere deve solo guardare. Il
nostro problema è la commistione tra politica ed economia. Una mescolanza antica
e, nel campo democratico, all’origine, penso alle cooperative una mescolanza
addirittura gloriosa. Ma oggi in tempi completamente diversi e su una scala
diversa una mescolanza assai pericolosa e incompatibile con le istituzioni e le
regole della democrazia liberale. La malattia che dobbiamo combattere non è
esclusiva dell’Italia e neppure della politica, ma nella politica italiana ha da
tempo un nome: berlusconismo. Una malattia che in emulazione con l’azione di
Berlusconi, con l’alibi di difendersi da lui, e talvolta addirittura in
cooperazione con lui ha aggredito la nostra democrazia. Spesso è il moralismo
della difesa che alimenta il moralismo dell’attacco. Dobbiamo invece isolare il
problema politico e discuterne con libertà soprattutto in occasione della
costruzione del Partito democratico come partito nuovo, lealmente e direi
fraternamente, senza doppiezza e senza complicità. Sapendo che ora che siamo
nello stesso partito nessuno potrà ormai guadagnare più dalle altrui disgrazie,
ma sapendo anche che la mancata soluzione e anche l’incapacità di parlare con
libertà impedirà la nascita di un partito nuovo”.