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4 Febbraio 2007

Parisi: la missione afgana banco di prova per Prodi

Autore: Umberto La Rocca
Fonte: La Stampa

Il vertice convocato dal presidente del Consiglio dovrà chiarire che gli impegni internazionali presi con l’Onu, l’Unione europea e la Nato vanno mantenuti. Senza dubbi, senza incertezze. Arturo Parisi ha avuto il tempo di smaltire la rabbia di giovedì scorso, quando la maggioranza è stata sconfitta su un documento dell’opposizione che approvava la linea dell’esecutivo sulla base Usa di Vicenza. Paradossale, aveva commentato quella sera il ministro della Difesa. Paradossale, ripete oggi, non meno preoccupato. Non pronuncia le parole «dimissioni» e «crisi di governo», ma lascia capire che se l’autogol si dovesse ripetere in occasione del voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, così andrebbe a finire:«Una coalizione che per restare unita ¨ costretta in politica estera a parlar d’altro non va da nessuna parte». E che se il sì all’impiego dei nostri  soldati dovesse arrivare grazie al voto determinante del centrodestra, anche il futuro del bipolarismo sarebbe a rischio.

Signor ministro, che lettura dà di quel che è successo in Senato?
«Per votare tutti assieme e non dividerci siamo stati costretti a presentare una mozione che eludeva il problema. E abbiamo dato via libera a quella che potremmo definire una opa ostile del centrodestra, che faceva proprie le posizioni del governo. Non credo che sia possibile minimizzare o addirittura ignorare la questione, come sembra volere qualcuno, spostando l’attenzione su defezioni, assenze o equivoci: c’è un nodo politico ed è questo che va sciolto».

Il nodo è quello dei veti della sinistra radicale…
«C’è anche questo: ma non ridurrei tutto alla raffigurazione caricaturale dello scontro fra sinistra radicale e moderati. C’è una carenza di “cultura della Difesa” che attraversa l’intera coalizione e per alcuni aspetti l’intero parlamento: quello che va chiarito è quali siano i suoi compiti e al servizio di quale politica estera vada messa».

Rutelli però dice che con la sinistra la misura è colma. Che cos’è, soltanto ricerca di visibilità ?
«Lasciamo Rutelli che dice giustamente la sua preoccupazione. Il fatto è che nelle divisioni sulla politica estera, vedo tornare a prevalere le ragioni di interesse e di identità di partito. Incoraggiate della infame legge elettorale che ha reintrodotto nella prospettiva della sconfitta elettorale la cultura proporzionalista per rendere impossibile il governo del Paese. Mentre noi abbiamo bisogno di rafforzare l’unità della coalizione, per non deludere la domanda di governo che ci viene rivolta dai cittadini».

Quale risultato si attende dal vertice dell’Unione sulla politica estera?
«Una verifica».

E’ una parola che fa tanto Prima Repubblica. Scusi, ma in bocca a lei suona malissimo…
«Una parola vecchia se si riferisse ai rapporti di potere fra i partiti, io invece penso alla linea di governo, in questo caso di politica estera e di difesa. Il vertice dovrà fare chiarezza su due punti. Primo, se l’articolo 11 della Costituzione vada preso a riferimento in tutte e due le sue parti: nel rifiuto della guerra, ma anche nell’impegno a condividere attivamente la responsabilità  della pace e della sicurezza. Cominciando dal significato del cosiddetto profilo pacifista del governo: se si vuol dire la scelta di confrontarsi con le istanze impegnate a favore della pace, anche con le testimonianze guidate da una tensione profetica, non avrei certo alcuna obiezione da sollevare. Se al contrario pacifismo significasse il rifiuto pregiudiziale dell’uso della forza legittima contro la violenza ingiusta, allora si renderebbe necessaria una spiegazione. Io rivendico con Prodi a questo governo di essere stato un governo pacifico come pochi altri, ma se non vogliamo giocare con le parole, resisterei a definirlo pacifista. E questo per le stesse ragioni per le quali nel 2001, pur trovandomi a Perugia, decisi di non partecipare alla Marcia della pace, perchè, in nome dell’etica della responsabilità , di fronte a chi marciava in nome dell’etica della testimonianza,sentivo da politico il dovere della chiarezza e del rifiuto della ipocrisia».

E il secondo punto da chiarire?
«Il riferimento stabile ai tre pilastri delle nostre alleanze internazionali: l’Onu, l’Unione europea e la Nato. Non ci possono essere incertezze, su nessuno dei tre. Né sugli impegni che discendono da questo quadro internazionale».

Compreso l’ampliamento della base Usa di Vicenza…
«Ma il problema non è tanto “ampliamento sì, ampliamento no”; quanto i motivi del sì o del no. I rapporti di amicizia con l’alleato americano ci hanno consentito di trattare la dismissione della base della Maddalena, dove la permanenza di sommergibili nucleari era diventata incompatibile con l’alta densità turistica, della zona. Il problema nasce invece se il no a questa o quella base sottintende o si mescola a incertezze o pregiudiziali sul quadro di alleanze internazionali».

Il prossimo fronte sul quale si misurerà  la maggioranza dell’ Afghanistan. La lettera inviata agli italiani da sei ambasciatori, primo fra tutti quello americano, a favore dell’impegno a Kabul forse non aiuterà la discussione con Rifondazione…
«La lettera uno strappo alle regole che nella diplomazia sono una prassi scontata. Intendiamoci: i contenuti sono condivisibili, ma gli ambasciatori sono i rappresentanti dei loro Stati presso lo Stato che li ha accreditati. Non hanno fra i loro compiti quello di parlare ai cittadini. Perciò dico che la lettera è inusuale e irrituale. Non ne farei un dramma ma deve essere chiaro che le alleanze sono più forti se costruite su un rispetto profondo della reciproca autonomia».

Lettere a parte, sull’Afghanistan la sinistra ha buon gioco a dire che finora l’obbiettivo di pacificare il paese non è stato raggiunto, che qualcosa non ha funzionato.
«Non ci nascondiamo le difficoltà , non è giusto però è parlare soltanto della colonna delle uscite, i morti, l’incompleto controllo del territorio, la produzione di oppio che prosegue. Noi abbiamo anche una colonna delle entrate: c’è una società che cresce, un sistema di comunicazioni un tempo inesistente, un complesso educativo che comincia a superare l’esclusione delle ragazze. Comunque, anche i critici della missione riconoscono due cose: che i problemi non sono stati creati dall’intervento, ma ereditati dal passato. E che, se non abbiamo ancora sciolto alcuni nodi, l’interruzione della missione prima delle scadenze che ci siamo dati certamente peggiorerebbe le cose».

Tuttavia la sinistra dell’Unione per votare il rifinanziamento chiede un segno netto di discontinuità .
«La discontinuità sta nell’approccio critico, direi laico, nel valutare la situazione e fare gli aggiustamenti richiesti. Noi abbiamo il dovere di interrogarci, dentro la coalizione internazionale e assieme a tutti i partiti della maggioranza, sulla missione e sul conseguimento dei nostri obbiettivi. E abbiamo anche lo strumento: l’accordo raggiunto l’anno scorso a Londra, citato anche dalla lettera degli ambasciatori, individua parametri e scadenze precise, una strategia di durata quinquennale, di verifica dell’efficacia dell’azione in Afghanistan».

Giudica peregrina la possibilità  che come segno di discontinuità questo possa essere giudicato insufficiente e che settori della sinistra non votino?
«Proprio il voto di giovedì ci dice che non è possibile escluderlo. Come potrebbe ricapitare che il rifinanziamento passi con voti determinanti dell’opposizione».

Nel qual caso?
«Non lo ritengo accettabile. Lo dico scegliendo e misurando le parole: la politica estera e di difesa ci chiama certamente al confronto e alla convergenza con l’opposizione, ma richiede prima di tutto che la coalizione di governo sia capace anche da sola di assolvere alle sue responsabilità».

Se accadesse avrebbe ragione il centrodestra a reclamare, come ha fatto giovedì scorso, le dimissioni del governo?
«Il governo dovrebbe riconoscere l’incapacità  di far fronte a un impegno internazionale di primaria importanza. E lo dico contando fino a un milione perchè conosco le conseguenze che una cosa del genere avrebbe per il sistema politico e per quello stesso assetto bipolare che personalmente ritengo un bene prezioso da salvaguardare. Anche per questo ritengo mio dovere spendermi senza limiti per la ricostituzione di una linea condivisa dell’Unione».

Qualche giorno fa Europa, il quotidiano della Margherita, accennava alla possibilità di sostituire le frange “ribelli” con moderati del centrodestra. Condivide?
«No, nel modo più assoluto. Io sono il ministro della Difesa di una coalizione di centrosinistra in un sistema di democrazia governante fondato sulla scelta operata dagli elettori tra due proposte alternative di governo. Il trasformismo non mi interessa».