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16 Luglio 2009

Parisi: il Pd? Invecchiamento precocemente

Fonte: La Stampa

L’uomo
delle eresie sembra che questa volta si sia stancato. Da 15 anni Arturo
Parisi lancia e rilancia provocazioni alla sinistra italiana, finendo
per dettarne la linea, ma per lui è arrivato il momento dei consuntivi:
«Lo dico con sofferenza: una stagione si è conclusa. Fra poco saranno
vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e da quando alla Bolognina
Occhetto riconobbe che una fase della storia era finita. Un ventennio,
lo stesso termine che usavamo da ragazzi per il periodo fascista. Quasi
una generazione. E noi siamo ancora a segnare il passo piú o meno sulla
stessa mattonella, in attesa che qualcuno ci dia l’avanti marsch! E’
per questo che il Pd non è credibile: siamo innanzitutto noi che non
crediamo piú a noi stessi”. Sono le dieci della sera e nel silenzio del
suo studio a piazza Santi Apostoli, la piazza dove nel 1996 si
festeggiò la prima vittoria dei progressisti nella storia della
Repubblica, Parisi ripesca passaggi dimenticati: «Me lo ricordo ancora
Veltroni, quando nel 2000 gli proposi di allungare il passo e
scioglierci assieme in quel soggetto nuovo che giá allora chiamavamo
Pd. Tra gli applausi del Congresso di Torino ci rispose che se
volevamo, non avevamo che da accomodarci nella grande casa dei Ds. Ci
costrinse cosí ad attenendere per altri sette anni il futuro,
inventandoci la Margherita. E, cosí, dopo altri dieci anni sprecati,
siamo ancora lá…”. Personaggio poco incline alle mezze misure –
dottor Stranamore per i detrattori, profeta disarmato per i fans – da
anni Parisi contribuisce a trascinare la politica italiana su lidi
inediti: regista dei referendum Segni che affondarono la Dc e il
proporzionale, inventore dell’ Ulivo, dalle liste unitarie poi sfociate
nel Pd, delle Primarie.

Il congresso Pd è partito tra le beffe di Grillo, un partito ritratto su sé stesso, l’assenza di un’idea di Italia…
«Difronte
al passato dobbiamo riconoscere che la scelta che questa volta si
profila sembra essere per la prima volta una scelta vera, e non la
celebrazione di una scelta giá presa. Peccato che appaia ancora una
scelta tra persone e non tra diversi progetti per il Paese e distinte
linee per realizzarli. Ma lei pensa che la forza di Obama derivi solo
dal fatto di sentirsi scelto dai suoi concittadini? E non anche invece
dal sapere il perché lo hanno scelto? O pensa che dobbiamo
accontentarci del cammino fatto?”.

In questi giorni l’unica cosa che conta è chi sta con chi: Cordate di solo potere?
«Più
che dalle diverse opzioni politiche in campo, molti sembrano essere
ossessionati dall’idea di schierarsi con chi vince. Dopo tanto parlare
di vocazioni maggioritarie, il congresso del Pd si sta svolgendo
secondo le regole del Porcellum: ci sono due coalizioni tipo-Unione e,
schierandosi, in qualche modo è possibile “comprarsi” la prenotazione
ad un seggio futuro».

I notabili si scambiano frecciatine, senza mai alludere ad un’autocritica. La colpa è sempre dell’altro…
«A
Veltroni chiedemmo le ragioni politiche delle sue dimissioni, ma non
rispose. Non si presentò neppure alla Assemblea. Sul piano umano mi
costò doverglielo contestare. Per la situazione nella quale si era
cacciato mi sembrava di sparare sulla Croce Rossa. Resta tuttavia
che il mancato riconoscimento delle cause del disastro è uno dei
fattori principali della debolezza del partito. Spero che almeno
ora sia giunto il momento dell’autocritica. Certo da parte
di Franceschini, ma non di meno da parte dei troppi che, pur avendo
condiviso con lui la responsabilità di due anni di gestione unitaria,
danno talvolta ad intendere di aver vissuto altrove. E’ anche questo
che ha impedito finora un’analisi della crisi e ci costringe a vivere
nella menzogna e nella reticenza, la paura di ognuno di vedersi
contestata l’accusa di corresponsabilità.».

Franceschini
le sembra aver esaurito la sua vis dopo tre mesi di short nei Tg? Nel
suo inno alla “Giovinezza” le pare più sorprendente l’oblio dei patron
o piuttosto quel giovanilismo che ha radici in culture autoritarie?

«Questo
blablare che confonde i giovani del partito col futuro dell’Italia é la
spia piú sicura della nostra crisi, un aspetto nel quale il Pd é
purtroppo in totale sintonia con l’invecchiamento del Paese. E’ una
crisi tuttavia che accomuna nel partito tutti gli schieramenti in
campo. Stia peró tranquillo. É un blablare che non ha nulla a che fare
con “Giovinezza” e le culture autoritarie. Qua non sono i giovani
ufficiali che vengono dalle trincee a picchiare sulla porta delle
istituzioni, ma troppe volte maschi già sfioriti che giustamente
si interrogano sui tempi di avanzamento della propria carriera. No.
l’Italia ci chiede uomini nuovi perchè attende un progetto nuovo. Una
speranza, una visione, uno sguardo nuovo.».

Lo spirito della bocciofila evocato da Bersani?
«Quando
l’ho letto é come se l’avessi sentito di persona. Quel bell’accento
emiliano che nelle mie orecchie di sardo é da quarantanni la colonna
sonora della mia vita. Lo stesso accento che ha addomesticato la
ferocia dello stalinismo e ha aiutato a dimenticare il sangue che ha
bagnato questa pacifica terra. Per dare una idea vicina alla
quotidianitá forse io avrei evocato la durezza delle assemblee di
condominio invece della supposta leggerezza delle bocciofile. Ma ognuno
é fatto a modo suo».

C’è un logoramento di tutta la classe dirigente?
«Inevitabilmente
sì. Mi ci metto dentro anche io che sono in parlamento da meno di dieci
anni. Per tutti il peggiori rischio è la noia. E una delle origini
della crisi sta in quello che con leggerezza chiamiamo nuovismo. Quel
fuggire dal passato, senza farci compiutamente i conti, l’inseguire
qualsiasi novità appaia all’orizzonte, cogliendone solo l’apparenza, e
consumando uno dietro l’altro nomi e parole ogni volta applaudite come
salvatrici. E’ così che siamo finiti in America. Con la fantasia.”.

Non si sente in colpa? Lei di parole nuove ne ha immesse tante?
«Dica
piuttosto beffato. Pensi alle Primarie. Prima il muro. Poi tutti a
gareggiare nell’impadronirsene perché percepivano in quella parola una
illusoria via di salvezza. Ed ora troppi impegnati con tutta la
propria energia a disinnescarle nei fatti».

Secondo lei i tradizionalisti come D’Alema sono altrettanto nuovisti di coloro che si proclamano tali?
«Invece
di contrastarlo a viso aperto, come le loro qualità gli avrebbero
consentito di fare, hanno preferito come i giunchi, far passare la
piena delle parole con l’illusione di rialzarsi poi uguali a prima.
Esclusi alcuni passaggi storici, penso tra tutti al D’Alema di dodici
anni fa a Gargonza, hanno resistito alla novità e ceduto al novismo. E’
per questo che chiedo finalmente un congresso politico, un congresso di
verità. Per consentire e costringere ognuno a scegliere se parlare o
tacere.».