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6 Marzo 2006

Parisi: ero ad ascoltare Draghi, lavorammo assieme per l’Euro

Autore: Dario Di Vico
Fonte: Corriere della Sera

“Si, sono andato al Forex di Cagliari. Come perdere l’occasione di ascoltare direttamente l’intervento di esordio di Mario Draghi da Governatore? Ci sono andato, dunque, da persona attenta allo svolgimento delle vicende di politica economica ma anche per dovere di ospitalità visto che Draghi ha scelto per il suo esordio la mia Sardegna”.

Nel parlare del neo-governatore Arturo Parisi è attentissimo a modulare le parole. Non vuole passare per chi tenta di “arruolare” la Banca d’Italia nell’Unione per di più a ridosso dell’apertura della campagna elettorale che lo vede capolista dell’Ulivo appunto in Sardegna.

“Con Draghi c’è un’antica conoscenza. Quando ero sottosegretario alla Presidenza del Consiglio lui era direttore generale al Tesoro. C’è stato quindi un periodo importante della nostra vita in cui siamo stati accomunati da un obiettivo storico come fu certamente l’ingresso nell’euro. Draghi era allora a palazzo Chigi quasi quotidianamente”.

    
Che ne pensa del suo intervento al Forex?

“Ne ho condiviso lo spirito ma anche gli accenti con i quali ha affrontato le singole questioni. Ma non mi considero da questo punto di vista un’eccezione, visto che la platea era accomunata da un apprezzamento unanime”.

    
Eppure c’è una corrente di pensiero, che attraversa la politica ma anche il mondo delle banche, nostalgica di Fazio.

“E’ evidente che davanti ai processi di globalizzazione e internazionalizzazione sono presenti da sempre due orientamenti opposti che dividono visibilmente il Paese. Da una parte sta l’illusione di potersi rinchiudersi in ambiti protetti, dall’altra la consapevolezza che non esiste alternativa all’accettazione della sfida. E poi ci sono le provocazioni esterne che non possono non alimentare le tentazioni protezionistiche.”.

    
Quindi lei non si unisce a quanti ci chiedono di “copiare la Francia”?

 “Assolutamente no. Se le bugie hanno le gambe corte, le gambe del protezionismo sono cortissime. Non ci può essere sempre papà, si chiami Fazio o altrimenti, a impedire l’arrivo degli stranieri. Per reggere il confronto l’unica strada è liberare le forze vive che sono nella società. Penso che lo spirito della svolta di Draghi sia appunto questo. E questo soprattutto perché, come ha detto il governatore il tempo per risanare il Paese si è fatto breve: i dati della realtà lo dimostrano duramente. Il declino non è ineluttabile ma se lo spazio per invertire la rotta prima si contava in anni, oggi si misura in mesi”.

     
Draghi è stato severo anche con le banche. Le ha invitate a non sprecare il risparmio, principale risorsa nazionale.

“Ha ragione e aggiungo che anche da questo punto di vista la politica è in ritardo sui processi economici”.

     
Lei pensa che la politica debba intervenire di più?

“Tutt’altro. I verbi che ci possiamo permettere sono al massimo accompagnare, incoraggiare. Già la parola regia è troppo impegnativa. Il ruolo della politica deve essere leggero, evitare nuove commistioni con l’economia, i livelli devono restare distinti. La politica, le distinte authority e gli attori economici hanno ruoli diversi ed è bene che rimangano tali”.

     
C’è un legame tra il suo no a nuove commistioni e la battaglia che conduce per la nascita del Partito Democratico?

“Il legame sta nella concezione pluralistica dei diversi poteri che definiscono il sistema politico: il riferimento alla lezione di Cattaneo che continua a ricordarci che la libertà è una pianta di molte radici”.