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7 Maggio 2013

PARISI DENUNCIA LA SPARTIZIONE DEL PD. Andrea Cangini ,Quotidiano Nazionale, Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione.

Professor Parisi, cosa resta dello spirito ulivista?

Un ramoscello nel simbolo, il ricordo di una speranza e
allo stesso l’invito a rimettersi in cammino.

 
Cos’è il Pd, oggi: una grande Quercia, un semplice
contenitore, una bad company in via di liquidazione?

Pensato da D’Alema e Marini, come la somma tra una
maggioranza di ex-comunisti ed una minoranza di
ex-democristiani, costruito fin dall’inizio attorno a
questa divisione, pensi solo al ticket
Veltroni-Franceschini, governato attraverso la spartizione
di cariche e risorse, il partito si è alla fine arreso al
destino annunciato. Un incontro sempre più stanco, ripeto,
sempre più stanco, dentro una storia antica, grande e allo
stesso tempo terribile, che continua con un altro nome. Il
tradimento della promessa di un partito nuovo capace di
accogliere e mescolare cittadini di ogni provenienza
politica in nome e solo in nome di un progetto per il
futuro del Paese.

Da analista: alle prossime elezioni il Pd ci sarà ancora?

Sì, se le radici affondano nel tempo, solo col tempo
potrebbe dissolversi. Il Pd c’è oggi e ci sarà domani. E
chiunque vorrà ragionare sul dopodomani, pur con tutti i
suoi limiti, è con questo Pd che dovrà comunque fare i
conti. Ma non è al suo orologio che dovrà guardare chi vuol
sapere l’ora.

Le responsabilità di Bersani

Di non essersi mai preso le responsabilità di correggere la
piega presa dal partito. Peggio. Di aver rivendicato sempre
con orgoglio come diversità del Pd la natura collettiva
della responsabilità. “Fin che ci sono io non vedrete mai
il mio nome sul simbolo.. della ditta.” Diceva. E
aggiungeva. “Quando non ci sarà più Bersani ci sarà di
nuovo il Pd”. E così è stato. Il Pd che ha trovato è quello
che ha lasciato. Ma in un mondo che cambia chi sta fermo
torna continuamente indietro.

 
Perché non si è deciso di anticipare il congresso?

Quale congresso? Lei vuol dire la conta sul candidato
predestinato che chiamiamo primarie. O la muta assemblea
che applaude poi il loro risultato? Forse è il caso che
qualcuno racconti a chi è nato dopo cosa erano i congressi
di partito al tempo dei partiti. Certo è arrivato il
momento di metter fine a questa stagione di primarie
truccate all’italiana, e di congressi sempre più simili
alle conventions americane con i coriandoli e i loro
palloncini.

 
Cosa si aspetta dall’assemblea di sabato prossimo?

Quello che è stato annunciato. Ancora un voto unanime che
applaude alla decisione presa nelle prossime ore dal
caminetto dei capicorrente. Capisco che il governo di pochi
piaccia di più del governo del solo Berlusconi. Ma nessuno
si meravigli se poi in una elezione con poche decine di
migliaia di voti, e tuttavia aperta, Grillo pretenda di
rappresentare il governo di molti se non addirittura di
tutti.

 
Il nome di un possibile segretario di garanzia

Prima converrebbe chiedersi: garanzia di cosa, o garanzia
di chi? L’unica garanzia che si dovrebbe chiedere è che il
Partito sia finalmente all’altezza dell’aggettivo che ha
scelto come proprio nome: democratico.
 
Condivide l’idea di scindere la figura del segretario da
quella del candidato premier?

Dopo le ultime primarie per Bersani questo è già un fatto
compiuto. A stare a vecchio statuto questa coincidenza era
infatti già saltata. Sembra un secolo, ma ricordo ancora
dirigenti di vertice del partito ricordare a Renzi “tanto
seppure vincessi le primarie a premier, le liste dei
parlamentari le faremmo noi”.

Renzi dovrebbe impegnarsi nella battaglia congressuale?

Non so come si impegnerà, ma, se il Pd continuerà ad essere
il suo partito e non solo uno dei partiti della coalizione
che intende guidare al governo del Paese, disinteressarsene
sarebbe impossibile.