L’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, infine, evoca la «catastrofe» politica. Convinto, lui che si battè per modificare la legge elettorale per via referendaria, che i partiti stanno andando verso la «catastrofe» con la stessa determinazione con la quale stanno invocando il voto con il Porcellum: «una sciagura».
Domanda.
Tutti si stanno chiedendo su quali elementi fondi le sue speranze Bersani nell’ostinarsi a corteggiare M5S per la formazione di un suo governo. M5S ha già pronunciato ripetutamente il suo no: mai un governo con Bersani. Lei quale lettura dà a questa vicenda dai contorni ormai surreali?
Risposta. Forse corteggiamento non è la parola esatta. Sarebbe meglio parlare di competizione, o, di una sfida emulativa. L’obiettivo non è né un fidanzamento né un matrimonio, ma dimostrare che il Pd può rispondere come e meglio del M5S alle domande degli elettori. Il corteggiamento guarda solo al corteggiato, la competizione guarda invece ad un terzo. Il terzo sono in questo caso gli elettori che hanno lasciato il Pd per passare ai 5Stelle. Più che al prossimo governo, questa linea sembra guardare alle prossime elezioni. Certo tutto questo è legittimo, comprensibile, direi perfino doveroso. Se il Buon Pastore del Vangelo si preoccupa della pecorella smarrita, come potrebbe Bersani non preoccuparsi quando gli elettori smarriti sono più di tre milioni e mezzo?
D. Posto tuttavia che sia così, le sembra che sia questo il modo per recuperarli?
R. Dipende. Se gli elettori passati ai 5Stelle sono come i democristiani degli anni ’70, di fronte alle prime sconfitte Dc, Giulio Andreotti si illuse fossero nient’altro che voti in libera uscita, ma non era così. Dunque, se gli ex voti Pd hanno voluto mandare solo un messaggio al partito, ma son pronti a tornare in quella che ritengono la propria caserma di appartenenza, può funzionare. Ma se questo voto segnala, come allora per la Dc, un disincanto definitivo rispetto al partito, ci vuole ben altro che una tardiva rincorsa a base di promesse di stipendi ridotti o di finanziamenti aboliti, per riportarli ad un ovile che non riconoscono più come il proprio. Potrebbero domani lasciare anche i 5Stelle, ma non per questo tornerebbero automaticamente a casa. Se fossi in Bersani prima di precipitare in nuove elezioni, magari con questa stessa legge elettorale ci rifletterei molto.
D. Questo nella prospettiva eventuale di nuove elezioni. Ma intanto per quel che riguarda il governo, secondo lei Napolitano in assenza di numeri certi dovrebbe dare oppure no l’incarico a Bersani?
R. Quel che Giorgio Napolitano farà lo vedremo fra poche ore. Quel che ha fatto ieri è tuttavia sotto gli occhi di tutti. Guidato da una concezione rigorosamente parlamentare e partitica della nostra democrazia, prima di procedere ad una verifica formale nel voto, Napolitano si è sempre assicurato che il governo disponesse di una base parlamentare, attraverso il previo assenso dei leader di partito. Così è stato in occasione della caduta del Governo Prodi di fronte al ritiro dell’Udeur dalla coalizione dei partiti di maggioranza notificato con una lettera dal segretario Clemente Mastella. Così ha fatto in occasione della formazione del Governo Monti. Tuttavia, non è detto che i criteri del passato debbano restare validi in una situazione come è quella attuale.
D. Ormai si parla apertamente di metodo Grasso come di un sistema che può scardinare l’immobilismo determinato dal voto. La ricerca di personalità e di punt programmatici condivisi può essere una soluzione?
R.Basta capirsi. Se Grasso è il nome di un metodo pensato per fluidificare i rapporti con i 5Stelle tanto varrebbe aprire con molta pazienza con loro un confronto vero, prendendo atto, in termini non semplicemente rituali, dell’esistenza di questo nuovo soggetto. Non era stato detto che, seppure il Pd avesse vinto col 51%, si sarebbe comportato come se avesse preso il 49%? Cosa dovremmo dire ora che il Partito ha vinto col 25,5%? Se invece il metodo Grasso è iscritto nella linea della sfida emulativa, avrei i miei dubbi. Spesso sono proprio le cose condivisibili ma non condivise ad essere le più divisive.
D. A questo proposito, l’elezione del presidente della repubblica che dovrebbe rappresentare un momento di condivisione sta condizionando ogni scelta politica. C’è un candidato che può andare bene anche a Berlusconi? O il nome verrà dai 500 grandi elettori (cui basterà aggiungere qualche unità) su cui sembra poter contare il centro-sinistra?
R. Una volta finiti nella logica di un passo alla volta, per la resa all’impossibilità di un progetto che guidasse il processo, sappiamo solo quanti giorni ci separano dal 15 aprile. Tutto il resto ci è ignoto.
D. Se tutto dovesse precipitare, tornare al voto con il Porcellum nell’Italia tripolare non risolverebbe nulla, d’altro canto una legge fatta apposta da Pd e Pdl (divisi su tutto il resto) per tenere a bada M5S non farebbe che alimentare ulteriormente la protesta. Quale soluzione riesce ad intravedere?
R. So solo che tornare a votare con il Porcellum sarebbe una sciagura. Il guaio è che lo so da quando nell’agosto del 2011 raccogliemmo alla disperata in 30 giorni 1.200.000 firme per tentare di consentire ai cittadini di fare loro nel maggio del 2012 quello che i partiti non avrebbero mai fatto. Immagini dove saremmo ora se, nonostante il parere di più di cento costituzionalisti, il referendum non fosse stato respinto. Vedo invece purtroppo che sul tema i partiti sono tornati a tacere. Forse la tragedia non è sufficiente. Ho paura che attendano la catastrofe.