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25 Ottobre 2014

PARISI: ALLA LEOPOLDA NON VADO MA MATTEO È EREDE DELL’ULIVO*
Intervista a Pietro Perone, Il Mattino p.7

* (Come capita spesso il titolo non rispecchia il contenuto della intervista in un punto che ritengo importante. Come si può rilevare nella risposta all’ultima domanda non ho infatti definito Renzi “l’erede dell’Ulivo” ma “Un figlio dell’Ulivo, come lui stesso riconosce…soprattutto il primo dei figli della generazione nata dopo il ’75, quella che ha votato per la prima volta nel ’94 col maggioritario”)

Fondatore con Prodi dell’Ulivo, Arturo Parisi dà atto a Renzi di avere raccolto in parte quel ramoscello, ma alla Leopolda questa volta il Professore non ci sarà: “Troppo affollata. Troppo”.

La sinistra in due “piazze” da una parte un pezzo del Pd con la Cgil, la maggioranza alla Leopolda di Firenze con Renzi: è questo il Pd che aveva immaginato?

 

“Diciamo che il passaggio attuale è una conseguenza inevitabile del modello di democrazia per il quale mi sono speso. Una democrazia che decide, che decide a maggioranza. E che affida le decisioni direttamente ai cittadini. In un passaggio come questo segnato dal conflitto e dalla divisione verrebbe la tentazione di prenderne le distanze. Ma debbo riconoscerlo. Il Pd è la conseguenza della cultura politica che ci ha guidati, anche se in queste ore soprattutto l’esito della congiuntura storica, della strettoia economica attraverso la quale l’Italia si trova a passare.

Ma l’innegabile disordine politico che è oggi sotto i nostri occhi, rappresenta contemporaneamente il dissolversi di un ordine antico e la faticosa ricerca di un ordine nuovo. “

 In che senso?

 

 “Penso in questo caso al rapporto tra i partiti che si pensavano partiti di classe e i sindacati anch’essi di classe, un rapporto superato assieme alle classi che in modo coordinato entrambi organizzavano e rappresentavano. “

Per la prima volta la Cgil scende in piazza non contro un governo di centrodestra, come fece Cofferati, ma contro uno di centrosinistra: è dunque il questo il segno del rapporto mutato?

 

 “Appunto. Anche se la distanza accresciuta tra le due piazze rende la distinzione evidente, quella di oggi non è tuttavia una prima volta. È una storia che viene da lontano. Senza andare allo strappo consumato negli anni di Craxi tra Cgil e un Partito come il Psi accomunato al Pci dalla radice operaia, basta pensare ai due governi Prodi dei quali ho fatto parte, per ricordare tra i manifestanti che sfilavano esponenti della maggioranza o addirittura membri del governo. Per dire che la comune appartenenza di classe prevaleva su tutto. La novità di oggi è che quello che nei decenni passati era accaduto per i sindacati bianchi e autonomi capita ora anche alla Cgil e ai sindacati rossi. E capita esattamente per lo stesso motivo. Così come gli autonomi e i bianchi sfilavano senza reciproco scandalo perchè nessun partito e nessun governo era parente o pregiudizialmente amico, lo stesso capita oggi per la Cgil. Se la cosa ancora fa scandalo è solo perchè si tarda a prendere atto che nell’arco parlamentare non esistono più partiti di classe, da interpellare in nome di una rappresentanza esclusiva o da imputare a causa del tradimento di classe. “

 Ma la sfida riformista non dovrebbe essere oggi, come lo è stato ieri, quella di tenere insieme i diversi riformismi evitando derive radicali?

 

“La sfida sta nel dare ai problemi dell’ora una risposta capace di combinare giustizia e della libertà, autonomia e solidarietà, in una sintesi migliore di quella proposta dalla destra. Ma la sintesi è il punto di arrivo. Il punto di partenza è la rappresentanza dei diversi interessi delle categorie sociali, dei territori, delle generazioni. (Non deve destare scandalo se a Firenze si ragiona sulla proposta, mentre altri a Roma dicono la loro protesta per una sintesi che sentono ostile.) Pericoloso sarebbe se la distinzione tra le due funzioni, si traducesse in una distanza tra due popoli. E’ anche per questo che non solo non ritengo scandalosa la presenza tra i manifestanti di esponenti Pd, ma utile se non addirittura preziosa. “

(Lei sostiene che le forze politiche avevano già concluso la loro vicenda agli inizi dello scorso decennio quando la repubblica dei partiti era stata sostituita da quella dei capipartito: anche Renzi è un capo partito?)

(Di certo è capo del governo in quanto capo del suo partito. Ma è arrivato alla guida del partito in nome di una proposta generale – giusta o sbagliata che sia – da tradurre nella azione di governo, e investito da un mandato cercato tra gli elettori nelle primarie. In quel momento il mandato più ampio disponibile, ma tuttavia, va ricordato, troppo parziale, e perciò giustificabile nella sua parzialità solo a causa della straordinarietà del passaggio che è difronte al Paese.

I capipartito dei finti partiti del crepuscolo, ma in troppi anche dopo, andavano invece al governo per sommare e spartire in un negoziato infinito interessi dichiaratamente, ripeto, dichiaratamente di parte: talvolta a nome di territori e categorie, altre nel solo interesse personale o di gruppi politici.)

Lei che è stato alla Leopolda nel 2011 quando era un luogo da evitare ora non ci sarà : perchè?

“Perchè troppo affollato. Troppo. “

La convince l’idea di allargarsi, il Partito della Nazione? Una forza politica senza paletti ideologici o, come dice Bersani, tenendo fuori almeno Verdini e gli altri?

“Nel caso preferirei “Partito della Repubblica”. Nazione è un termine che va lasciato ai nazionalisti, o accettato da quelli un tempo sospettati come “anti-nazionali”. Repubblica o Nazione, se sta a significare che la mia parte si fa carico dell’interesse nazionale, cioè dell’interesse di tutti, e quindi aperto a tutti, senza altro paletto che una reale condivisione del programma di governo, dirsi “partito della nazione” è un altro modo di dire che si punta a conquistare la maggioranza degli italiani, non soltanto a rappresentarne una parte. Ma ad una democrazia di “partiti della nazione” non ne basta uno solo. Mi preoccuperebbe assai se il Pd finisse suo malgrado per essere il solo “Partito della Nazione” come lo stato di disfacimento della destra sembra talvolta prospettare. Senza alternative qualitativamente credibili e quantitativamente plausibili gli unici “partiti della Nazione” finiscono per essere tentati di farsi partiti “unici” o “partiti guida”. Abbiamo già
dato.”

Renzi un erede della Margherita e dell’Ulivo, insomma della necessità di uscire dai confini del Novecento, o un figlio venuto male?

“Un figlio dell’Ulivo, come lui stesso riconosce, che è passato attraverso la Margherita non ancora risucchiata dalla regressione proporzionalista e anti-ulivista. Ma soprattutto il primo dei figli della generazione nata dopo il ’75, quella che ha votato per la prima volta nel ’94 col maggioritario. Questo il passato. Il futuro, quel poco di futuro che dipende dalla politica, è ora in buona parte affidato alle sue mani, e riposa sulle spalle di tutti. “