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21 Dicembre 2013

PARISI, AL VOTO IL PRIMA POSSIBILE
Intervista a Goffredo Pistelli, ItaliaOggi

Letta e Renzi, Renzi e Letta. Il futuro del governo, la lunghezza della legislatura, financo le possibili dimissioni di Giorgio Napolitano, da sempre indisponibile ad elezioni anticipate, gran parte del dibattito politico si avvita intorno al confronto tra “Enrico” e “Matteo”, come li chiamano nel Pd e come si chiamano fra loro, all’uso democratico.
Arturo Parisi, fondatore dell’Asinello, ulivista della prima ora, ministro e molte altre cose ancora, ma soprattutto figlio, in epoca precedente di quello stesso cattolicesimo democratico, è uno che può dire come finirà.
 
Domanda. Professore, Renzi assicura la pace con Letta, scommettendo su qualche rapida riforma, in primis quella elettorale. Ma questa tregua reggerà?

 

Risposta. Già il fatto che giustamente i più leggano tregua quella che a parole sarebbe una alleanza dice da solo della difficoltà del rapporto tra Renzi e Letta. Essendo questo un fatto oggettivo credo che sarebbe meglio per tutti prenderne atto. Si eviterebbe almeno di personalizzare una questione che è nitidamente politica, e di farsi distrarre da singoli episodi dimenticando il quadro nel quale sono collocati. La verità è un’altra…
 
D. E quale?

 

R. E’ che attraverso il Segretario del Pd e il Premier vengono a confronto due idee di democrazia e di governo profondamente diverse. In gran parte indipendentemente dalla loro personale volontà. Nella quotidianità la loro convergenza non è perciò un dato scontato rispetto al quale ogni diversità possa essere letta come una divergenza.
 
D. In che senso?

 

R. Nonostante che Renzi e Letta provengano dallo stesso partito, e sul piano personale abbiano certo molto altre cose in comune, sarebbe fuorviante definire il loro rapporto come quello che esiste di norma tra il segretario di un partito, e il Presidente che quel partito ha designato a guidare il governo.
 
D. Spieghiamolo bene allora..

 

R. Letta è di certo un pd, ma non guida il governo nè in quanto pd, nè a nome del pd, ma, soprattutto, non lo guida a nome di quel Pd del quale Renzi è ora segretario. In altri tempi si sarebbe detto che è un amico che guida un governo amico, nel quale seggono peraltro ministri non altrettanto amici. E’ anche per questo che, nell’immediato, solo un patto alla tedesca come quello chiesto da Renzi può dare quella base programmatica che la fiducia della scorsa settimana non è riuscita ad offrire.
 
D. E’ ancora tempo di patti, professore?

 

R. Forse non è tempo di patti che possano assicurare amicizie lunghe, ma, per quel tanto che queste possono durare, solo patti chiari possono assicurare amicizie forti.
 
D. Non sarà l’inasprirsi del conflitto sociale, vedi Forconi, ad accorciare La legislatura?

 

R. Il conflitto sociale sarà purtroppo la condizione normale nella quale si troverà a vivere ancora a lungo non solo questo governo ma qualsiasi governo. Man mano che il livello dell’acqua si abbassa i pesci si dimenano sempre più. Senza una ripresa economica o almeno una sua affidabile promessa il venire meno dell’ossigeno o la sola paura che venga a mancare non può non produrre reazioni sempre più scomposte.
 
D.Che fare, allora, come si diceva un tempo a sinistra?

 

R.Se il governo non riesce a indicare una prospettiva di uscita, credibile anche se non immediata, non solo il conflitto sociale continuerà a inasprirsi ma finirà per tradursi in una disarticolazione dell’apparato pubblico dal momento che le sue sottoparti finiranno per entrare in conflitto tra di loro, indifferenti ai comandi della guida di turno.
D. Ma lei che lettura dà di questa protesta?

R. Chi si limitasse agli episodi che l’hanno resa manifesta rischierebbe di finire fuori strada. Per le quantità comunque inferiori alle attese alimentate, e per la qualità troppo facilmente neutralizzabile con l’alibi dei gruppi di tipo minoritario finora alla testa. E’ per questo che, chi non vuol farsi facili illusioni, deve guardare è all’enorme potenziale ancora latente, misurato al momento solo dai dati statistici del disagio sociale.
 
D.Cosa si vede, guardando i Forconi con una sana dose di realismo?

 

R.Già ora evidente è comunque l’epicentro del sisma, la disperazione dei piccoli imprenditori e dei lavoratori autonomi. La loro rivolta contro vessazioni fiscali, minacce giudiziarie e adempimenti burocratici, che, pensate per contrastare i forti hanno finito per schiacciare i deboli. Unito alla crisi della famiglia e alla incapacità di quella nucleare di svolgere la funzione di cassa di compensazione, la disperazione della generazione di mezzo da economica va diventando ogni giorno di più esistenziale.
D. Napolitano ha salvato la situazione nell’ultima crisi ma, nella sua ultima uscita, il no categorico alle elezioni anticipate è parso forse un po’ troppo aprioristico, essendo il quadro politico cambiato? La stabilità non finirà per essere la “dolce morte” di questo Paese?

R. No. Se finiremo non con una dolce morte, ma con una morte resa amara dalla vita che abbiamo sprecato, non sarà a causa della stabilità ma perchè abbiamo confuso la stabilità con la durata.
 
D. Invece la differenza qual è, professore…

 

R. La durata è la semplice somma dei giorni passati, una somma che conosceremo solo alla fine, la stabilità è invece la misura dei giorni futuri. Solo la disponibilità certa di un tempo futuro può consentire di progettare l’azione di governo. Da questo punto di vista tre anni sicuri possono consentire di pensare quello che 3650 giorni conquistati uno alla volta non potrebbero mai consentire di fare.
 
D.Ma allora, l’Italia della prima repubblica, coi suoi governi lampo, come faceva?

 

R.Nel primo quarantennio della storia repubblicana la stabile instabilità dei governi poteva bastare, perchè l’instabilità era contrastata all’interno dalla stabilità dei gruppi dirigenti dei partiti, e all’esterno dalla stabilità del quadro internazionale. Ma ora che la classe politica nazionale è segnata da un rivolgimento continuo, e l’Europa e il Mondo non assicurano più stabili riferimenti sicuri, o ci diamo istituzioni riconoscibili capaci di tradurre questo cambiamento continuto in una stabilità o la nostra democrazia finirà dilaniata tra il comando esterno e la rivolta interna.
 
D.L’Italia odierna non mi pare messa bene, in un quadro simile…

 

R.E’ così. E dopo la recente sentenza della Corte Costituzionali siamo finiti addirittura privi perfino di un Parlamento riconosciuto come legittimo. Si lo so che la continuità delle istituzioni non prevede vuoti. Ma questo vale sul piano formale e legale. Provi lei a cambiare la legge elettorale con la sola maggioranza di governo, cioè a dire con una forza che sul piano legale le è stata riconosciuta solo perchè ha raccolto un consenso pari più o meno al 20% degli elettori?
 
D.Quindi qual è l’urgenza assoluta?

 

R. L’urgenza assoluta del momento è diventata quella di varare una nuova legge col consenso più largo possibile, e poi andare ad elezioni al più presto. Nuove elezioni che ci restituiscano finalmente un parlamento nella pienezza della sua legittimità. Nuove elezioni che ci offrano la possibilità di ricominciare. Qua l’impazienza di Renzi o l’ostilità verso il governo non c’entrano nulla. Quella che fino a ieri era speranza è diventata necessità.
 
D. Ci vorrà un’intesa con Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, allora…

 

R.Quello che so è che un’intesa deve essere raggiunta. La situazione attuale non è sostenibile. Lo dico mordendomi la lingua. Ricordo infatti che non son passati neppure due anni da quando, difronte al fiume di firme che indirizzammo e depositammo ai suoi piedi, la Corte decise che era meglio riservare a se stessa il potere di cambiare la legge elettorale, come è ora accaduto, ritenendo che fosse incostituzionale riconoscere al popolo la possibilità di abrogare una legge che ora lei stessa definisce incostituzionale.
D.Ma ormai anche questa è cosa passata, professore…

 

R.Certo, come è cosa passata la sentenza di venti giorni fa. Tutti abbiamo un solo dovere. Riempire il vuoto che si è determinato prima che sia troppo tardi. Non ho mai condiviso la linea che verso il M5S ha seguito il Pd, il partito per il quale ho votato, nè quando ha adottato la forma del corteggiamento nè quella della provocazione.
 
D.Che cosa pensa di quel movimento, professore?

 

R.Sono sicuro che, al di là delle forme, i 5Stelle siano comunque figli di un Paese cresciuto, di un Paese cresciuto nella democrazia. E’ su questo che dobbiamo scommettere, sulla loro passione per la democrazia, sulla consapevolezza comune che la barca sulla quale andiamo attraversando la tempesta nella quale siamo finiti è per tutti la stessa. Nel 1995 nella prima riga della prima scheda del programma dell’Ulivo, quella della quale avevo allora la responsabilità, pensando a Berlusconi e alla Lega, scrivemmo “un patto da scrivere assieme”. Se a guidare allora la nostra mano era la speranza, perchè dovremmo cambiare opinione ora che a spingerci è la disperazione?