Care amiche, cari amici,
Siamo oggi qui per continuare.
Siamo oggi qui per iniziare.
Ancora una volta per iniziare.
Non siamo qua venuti in nome di un passato.
Nè un passato prossimo, nè un passato remoto.
Nè in nome dei nomi che abbiamo ereditato dall’800.
Ma neppure in nome dei nomi
nei quali ci siamo volta a volta riconosciuti
in questi lunghi sedici anni di transizione
aperti nel mondo e nel nostro paese dagli eventi del 1989.
Anche se camminando assieme
i nostri volti ci sono diventati familiari l’un l’altro
fino ad annullare le nostre differenze,
si incontrano qua storie politiche
che si sono riconosciute in tutti i nomi del campo democratico della prima stagione della repubblica:
democristiani, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali, radicali e mi fermo qui.
Si incontrano qua storie che portano
tutti i nomi della nuova stagione politica:
dai più antichi i verdi, i leghisti,
a quelli che si sono ad essi pian piano associati nel e per il rinnovamento della nostra politica
dalla Rete, ad Alleanza Democratica.
Ma anche limitandoci all’incontro che accomuna quelli di noi che militano ora nella Margherita,
sono tra noi amici che fin dall’inizio
animarono i primi Comitati per l’Italia che vogliamo e il Movimento per l’Ulivo, esponenti dell’Italia dei Valori e di Centocittà, tutti poi accomunati nella stagione dei Democratici.
Ma accanto ad essi stanno molti che nella Margherita sono entrati dalla porta del Partito Popolare, dell’Udeur e di Rinnovamento Italiano.
Tutte storie qua presenti alla pari nel presente e rappresentate al massimo livello di rappresentatività per quel che riguarda le esperienze passate.
Se ognuno prova a ricostruire
dietro il volto e il nome dei suoi vicini
le storie poitiche che lo circondano non avrà difficoltà a dare concretezza a questa mia intenzionale rievocazione
della nostra storia collettiva come prodotto delle nostre storie personali.
Una rievocazione intenzionale
che sta qua da sola a comprovare come,
a differenza delle altre aggregazioni politiche,
noi non siamo quà per celebrare la sopravvivenza
di una appartenenza passata,
ma per affermare il nostro orgoglio
di sentirci figli di una libera scelta,
di una scelta per il futuro.
Una descrizione intenzionale,
dico rivolgendomi a quanti hanno con me condiviso l’esperienza dei Democratici,
e chiedendo scusa ai molti qui presenti che quella esperienza non hanno condiviso,
che mi consente di dire che
l’incontro di oggi nasce dal futuro.
Ancorchè la pagina dei democratici
sia per molti di noi, e innanzitutto per me
soprattutto sul piano affettivo,
un passato ancora presente
esso è pur sempre passato.
Dalla fedeltà alla ispirazione che guidò quegli anni indimenticabili è nata la Margherita,
Dalla coerenza con la decisione di sospendere ogni forma di attività politica per favorire il rimescolo delle diverse storie nella Margherita deriva quella impotenza organizzativa
che oggi molti SI rimproverano,
che oggi molti MI rimproverano,
Da quella coereza,
dal rifiuto di restare chiusi in quella pagina della nostra storia,da quella apertura,
son nati però nuovi incontri
che sono all’origine dell’incontro
che apre qui oggi una nuova stagione.
Se i Democratici si fossero chiusi nel loro passato molto del presente non sarebbe stato possibile,
nè il futuro attorno al quale ci siamo dati oggi appuntamento pensabile.
So che la mancanza di una organizzazione di difesa
ha esposto molti di noi
e soprattutto i più estranei alle forme partitiche
a prevaricazioni inaccettabili
da parte di quanti
nonostante i patti sottoscritti
non hanno dismesso le proprie strutture e abitudini.
Ma nessuno deve mai pentirsi della propria coerenza.
È la nostra coerenza col patto costitutivo della Margherita
che darà forza alla nostra rivolta,
alla nostra rivolta morale
contro il mancato rispetto, contro il tradimento di quel patto: alla protesta per il suo tradimento politico
con l’allontanamento dal cammino
per il quale la Margherita era stata fondata,
alla protesta
per il mancato rispetto degli impegni organizzativi.
Quanti si incontrano oggi qua,
quale che sia stata la loro porta di ingresso nella Margherita e il titolo in base al quale stanno in politica,
sono infatti accomunati dalla determinazione
di dare una forma organizzata alla protesta contro questo tradimento.
Entrati nella scena politica
come esito di un cambiamento sociale
noi ci sentiamo accomunati
dalla ambizione
di essere interpreti di un cambiamento politico:
non un cambiamento dei politici,
ma un cambiamento della politica,
un cambiamento della politica e delle politiche.
Questo cambiamento porta da dieci anni il nome di Ulivo.
Un progetto
che cerca da dieci anni
un soggetto che lo realizzi e
porti l’Italia nel mondo
nel tempo della globalizzazione.
Questo è l’Ulivo che qualcuno immagina
sia stato congelato per sempre.
Intervenendo alla conferenza stampa di presentazione di questo nostro incontro Natale D’Amico ci ricordava che ventanni fa in occasione di una terribile gelata invernale che aveva danneggiato gravemente l’olivicultura toscana qualcuno avanzò la prognosi che l’80 per cento degli alberi sarebbe finito come legna da ardere.
Ebbene, come tutti possono oggi vedere,
nonostante l’infausta prognosi,
il meraviglioso olio di quegli alberi toscani
continua ad allietare le nostre tavole.
L’Ulivo è un albero tenace.
Come ci ha ricordato Romano Prodi,
può anche privarci di qualche annata,
ma non tradisce.
Fu anche per questo che lo scegliemmo a nostro simbolo.
I dieci anni che abbiamo alle spalle
stanno peraltro a dimostrare che
non solo l’Ulivo della botanica
ma anche quello della politica ha le sue annate.
E non voglio riferirmi al solo 98,
ma a tutte le difficoltà incontrate in questi anni.
Agli avanzamenti, agli arresti, alle riprese.
Ad un mese di distanza
dalla ferita registrata nelle indimenticabili 4 settimane
di passione, di rabbia, di speranza ed infine di delusione aperte dalla Assemblea Federale della Margherita
del 21 maggio,
in un giorno che altri dedicano già alle vacanze
il fatto che siamo qua in tanti a riiniziare il cammino
è la prova che l’Ulivo è vivo.
Convocati da coloro che
chiamati in quella assemblea
da un appello nominale
a sfilare sotto lo sguardo di Marini e Rutelli
ebbero il coraggio di dire NO
noi
non ci siamo tuttavia dati oggi appuntamento
per farci prigionieri di quel NO.
Pur segnati da quel NO
che ci ha costituito nella Margherita
come opposizione,
sono infatti convinto
che quanti come noi rivendicano per sè il nome di Ulivisti
non possano stare in campo
che in nome di un SÌ.
Certo un SÌ alla ripresa del progetto di costruzione
di quel soggetto unico,
di quel Partito democratico del centrosinistra
che è da sempre nei nostri sogni.
Un SÌ alla costruzione
di una casa comune dei democratici
nella quale sia possibile mescolare
e unire le mille storie già tra noi presenti,
ma anche una casa
nella quale sia possibile unire alle nostre mille storie
le altre migliaia che stanno già portando tra noi
i nuovi cittadini
che nel nostro paese arrivano da tutte le parti della terra:
una casa nella quale sia posssibile unirsi
senza distinzioni di razza, di genere, di religione
come dice la nostra e ogni costituzione
degna di essere definita democratica.
Ma la costruzione di un soggetto più grande
non può essere affidata solo alla nostra impazienza
nè a decisioni unilaterali.
Dobbiamo semplicemente riconoscere che la domanda registrata tra la gente a favore di una unità più intensa
è stata in questo passaggio sconfitta,
sconfitta dalla consapevolezza
che siamo ormai in tempo di elezioni
e i dibattiti sulle modalità di inquadramento dei reparti debbono cedere il passo alle urgenze della battaglia
che si avvicina.
La stessa consapevolezza che ha costretto
chi guida in questo momento il centrosinistra
a scambiare la qualità politica con la quantità elettorale,
a scambiare una unità più intensa con una unità più estesa,
Sconfitta dalla illusione dei principali partiti,
certo dalla maggioranza della Margherita,
ma in misura di sicuro non minore dai Ds,
dalla illusione di poter costruire questa unità
a partire dalla moltiplicazione dei voti
grazie alla divisione delle liste.
Sconfitta della paura degli apparati di essere messi in causa
dalla unità degli elettori.
Noi sappiamo
che il passaggio che è alle nostre spalle
lascia insoddisfatta questa domanda di unità,
e ancor più sappiamo che lo spreco di questa unità
priva il governo del Paese della forza
della quale ha bisogno e avrà bisogno
nei passaggi drammatici che attendono in Paese.
Noi sappiamo
che la indisponibilità di un soggetto di governo
stabile esteso e forte quale l’Ulivo era già
nelle attese e nella percezione dei cittadini,
lascerà categorie e organizzazioni sociali
prive di un interlocutore credibile per le loro domande
e quindi attratte
dalla nostalgia della antica Dc
e dalla attesa di un partito di centro
che ne rinnovi la funzione.
Ma ormai questo tema
è uscito dalla agenda politica immediata.
Non possiamo fermarci dove il disco si è rotto.
Dobbiamo accontentarci della fotografia tipo “cheeeese”
che ha registrato tra il sollievo di molti
la fine di quelle che il qualunquismo
vorrebbe ridurre alla categoria delle beghe politiche.
È in nome di queste considerazioni peraltro
che nel riproporre con testardaggine le nostre convinzioni,
nel mantenere nel nostro stesso nome di ulivisti
la determinazione a riprendere il cammino,
che abbiamo dovuto prendere atto della realtà.
Abbiamo dovuto prendere atto
della impossibilità di rappresentare la nostra domanda
di una unità più grande
attraverso la produzione di una divisione più piccola.
Anche se consapevoli del peso della nostra coerenza,
noi sappiamo che non possiamo tradire nei fatti quello che predichiamo con le parole.
A tutti ma non agli ulivisti
è consentito di nascondere la divisione
dietro la pretesa dell’unità.
È anche per questo, anche se non solo per questo che costretti ad accantonare
la costruzione nell’immediato dell’Ulivo come soggetto dobbiamo riprendere il tema dell’Ulivo come progetto.
È per questo che dobbiamo ripensare questo nuovo inizio come l’apertura di un Laboratorio Ulivista,
il sottotitolo appunto della rivista Governareper
che Filippo Andreatta ci presenterà più avanti.
Voglio rassicurare tutti.
Nessuno tema che
sconfitti sul piano politico
ci si illuda di salvarsi rifugiandoci nell’accademia.
Non possiamo tuttavia trascurare
da una parte la domanda che ci viene da quanti ci chiedono di dar conto di che cosa abbia a che fare l’Ulivo,
la prospettiva ulivista,
con la vita quotidiana.
Nè possiamo dimenticare che nel 1995
l’Ulivo si rappresentò prima
come progetto di governo del Paese
che come soggetto politico chiamato ad interpretarlo.
Fu il “Tempo delle scelte” la fortunata serie di trasmissioni curata per la Rai da Romano Prodi e poi tradotta in un libro,
il primo vivaio in cui nacque la pianticella dell’Ulivo.
Una riflessione fondata su una competenza approfondita
e su una larghezza di orizzonti,
una riflessione provocata
dal passaggio di fase
aperto dalla crisi degli assetti preesistenti,
ma pur tuttavia una proposta.
È a quello spirito che bisogna tornare,
aprendo un laboratorio collettivo.
Un laboratorio dei cittadini
e allo stesso tempo un laboratorio di cittadinanza,
Un laboratorio che faccia appello
a quella capacità di proposta generale,
piuttosto che di rappresentanza particolare:
al governante, al principe,
al piccolo principe che sta nascosto in ognuno di noi
piuttosto che al rappresentato che rappresenta i suoi interessi perchè siano rappresentati.
L’Ulivo come progetto non è una somma di cose da fare
a chi più ne ha più ne metta,
le 226 proposte concrete 226
presenti in qualche programma di partito.
L’Ulivo come progetto non è una somma di scelte,
un posizionarsi tra le richieste dei poteri della società per segnalare volta a volta a chi si è più vicini
o da chi si è più lontani
sulla scena interna e su quella internazionale.
Un punto di vista ulivista,
cioè a dire riformista, cioè a dire di governo,
non è un rappresentare un gruppo finanziario o un altro perchè un altro partito ne ha rappresentato un altro
ma invece null’altro che l’interesse generale.
Un punto di vista ulivista,
cioè di governo, cioè riformista,
non è un disegnare e ridisegnare la nostra geografia
a partire dalle posizioni altrui
quasi che l’Irak sia a noi, più vicino passando per Washington che non muovendo dagli interessi italiani
e dagli interessi che abbiamo in comune col popolo irakeno.
Un punto di vista Ulivista,
cioè riformista, cioè di governo,
ha un rapporto diretto coi problemi
e non a partire dal rapporto che con essi ha Berlusconi.
Col rischio che
una volta diventati Berlusconi-dipendenti
la crisi o la caduta di Berlusconi
ridefinisca il nostro intero rapporto con la realtà,
Aprire un laboratorio ulivista significa perciò
certo ascoltare ma ancor di più sentire
certo guardare ma ancor di più vedere
sapendo che le voci che ci raggiungono
e le cose che si fanno guardare
sono spesso quelle già esistite
mentre quelle che annunciano il futuro
possono essere sentite e viste
solo se siamo noi a cercarle.
Solo questo ci aiuta a capire come ci accade
di non riuscire a intercettare
la domanda di partecipazione,
più semplicemente la disponibilità di vita
negli unici bacini
di vitalità non adeguatamente utilizzata
dei quali il nostro Paese dispone.
Penso alle donne, ai giovani, agli immigrati.
Oh! Non che non se ne parli, Ma!
Come è possibile che la politica, la nostra politica
segni ancora il passo sulla frontiera femminile
lasciando al margine della cittadinanza attiva
metà della società,
la metà del cielo
che non essendosi ancora impantanata nella terra
potrebbe arricchire il mondo chiuso della politica
di nuove domande e nuove risposte?
Come è possibile che una intera generazione,
una parte determinante
del ciclo di vita produttivo e riproduttivo
dei nostri giovani vada sprecato
senza che i timidi gridi d’allarme diventino boati?
Come è possibile che milioni di nuovi cittadini
vivano già tra noi
senza ci si faccia carico della loro cittadinanza.
O aspettiamo che gli Abdullah, gli Omar, gli Alì
scoprano tra una generazione
che non sono più marocchini
senza essere diventati ancora italiani
e trovino nel fondamentalismo religioso
la risposta alla loro domanda di identità?
Qua il problema non è che di questo non si parli,
ma che il ritardo è diventato già da tempo eccessivo.
Non possiamo aspettare che esploda.
Non possiamo permetterci tanto spreco di vita.
E così di seguito.
Possiamo esporre alla competizione e alla precarietà
le fasce basse della società
e privarci invece dei vantaggi di un approccio competitivo
di carattere meritocratico nelle fasce alte?
Possiamo dedicare la metà delle energie della classe politica, a discettare di competizioni da introdurre nel nostro sistema radiotelevisivo in un futuro lontano,
e nel presente varare un consiglio di amministrazione
della Rai occupato dai partiti
come forse mai era successo in passato,
e non riuscire neppure a prendere in considerazione
per quel che riguarda il direttore generale
l’idea di una bella gara trasparente tra candidati
che alzano la mano per candidarsi
illustrando ognuno il proprio programma
e dando conto della congruenza del proprio curriculum
con la carica alla quale si propongono?
O questo deve valere solo
per le aziende private e per le cariche politiche?
Questo è quello che significa aprire un laboratorio ulivista, cioè riformista, cioè di governo.
Non sommare i punti di vista e gli interessi organizzati. Assumere a riferimento il Paese e i cittadini,
non gli interessi e le categorie.
A questo ci pensano già i sindacati!
Se riusciremo a rimettere in moto l’Ulivo come progetto,
la stagione dell’Ulivo soggetto non potrà non seguire.
Non nella prossima legislatura in parlamento
come ripropone D’Alema
quasi non avessimo già dato tutto quello che c’era da dare e avere dai rituali intermittenti degli intergruppi e dei coordinamenti.
Non nel recupero di personalità della società,
novelli indipendenti di partito in un sistema tornato alla casella numero 1.
Non nell’Ulivo dei rituali organizzativi di quella che giustamente i giornalisti chiamarono prima FED
ed ora FuFED
a segnalare la distanza dallo spirito dell’Ulivo,
una volta che
con l’arresto della lista unitaria dell’Ulivo
è stata esaurita la prima spinta propulsiva.
No! L’Ulivo come soggetto non può che nascere
laddove nacque il primo Ulivo
tra i cittadini e grazie alla proposta e risposta dei cittadini.
Intanto gli Ulivisti sono chiamati a difenderne
innanzitutto la sua memoria contro tutte le contraffazioni. Ognuno nel posto dove la vicenda politica lo ha collocato sapendo che tutte le case parziali sono ospizi provvisori.
In unione tra loro, ma anche in gara.
Come dicemmo dall’inizio non in una competizione
ma in una emulazione come dice ora anche Rutelli;
ma ricordando che l’emulazione
è la gara a chi fa meglio la stessa cosa.
Se tra gli ulivisti è infatti possibile immaginare una emulazione a chi fa più ulivista il proprio partito,
la stessa cosa non si può dire di partiti
che pur evocando l’Ulivo hanno aperto una gara
perchè la sinistra faccia il pieno della sinistra e il centro intercetti al meglio e al massimo i voti di destra.
Noi vogliamo qua assicurare il popolo dell’Ulivo,
gli ulivisti che militano negli altri partiti dell’Unione,
e quelli che non militano in alcun partito
tutto il nostro impegno perchè la Margherita
torni grazie alla nostra iniziativa
ma certo non ad una iniziativa solitaria
ad essere quella Margherita per l’Ulivo
che fondammo nel 2001.
A tutti chiediamo un impegno comune
perchè la cosiddetta emulazione che va aprendosi tra i partiti sia governata in un quadro e da uno spirito unitario.
No. Non è questa l’emulazione di cui l’Unione ha bisogno, l’emulazione di cui il Paese ha bisogno.
Questo moltiplicherà forse i seggi in parlamento
ma aumenterà certo il rischio di divisioni nel governo.
Ed è questo appunto il tema della nostra opposizione,
il motivo del nostro essere opposizione ulivista.
Non la non condivisione di una scelta di tecnica elettorale
che riguarda il 15% dei seggi parlamentari
come ama ripetere Franceschini.
Non la difesa degli spazi della nostra rappresentanza
(il cosiddetto 20%) che non abbiamo proposto
e che peraltro si limitano a registrare esattamente la nostra presenza nella Assemblea Federale, massimo organo di rappresentanza del partito.
E neppure la difesa della democrazia di partito e la battaglia contro il trasformismo che certamente segneranno la nostra iniziativa interna
No! La nostra opposizione è innanzitutto
al processo di scomposizione che,
in risposta ad un prospettato
scongelamento del berlusconismo
la Margherita di Rutelli ha messo in moto
e i Ds successivamente assecondato.
Un processo che ha spinto il partito
attraverso un interminabile gioco delle belle statuine
fatto di gesti comunicativi, incontri, annunci,
avvicinamenti prima affermati e poi sempre negati
a spostarsi da una posizione
che lo vedeva all’interno del campo del centro sinistra collocato nella posizione centrale
ricollocarsi ora nella posizione più a destra.
Per conquistare in futuro gli elettori in arrivo da destra
e intanto ospitare gli eletti
con la speranza che gli elettori seguano.
Un pericolossimo processo
che già solo in due mesi ha messo in evidenza
tutto il suo potenziale distruttivo.
Prima il ritorno del trattino, poi il trattone,
poi il ritorno di distinzioni crescenti
dalle quali noi stessi dobbiamo attentamente difenderci, perchè con la nostra stessa iniziativa
non finiamo per contribuire a realizzare
la profezia che siamo costretti ad annunciare.
Distinzioni e divisioni nel nostro e nell’altro campo
che stanno richiamando in servizio
tutte le caselle ed etichette
della precedente fase della Repubblica.
Penso alle difficoltà dei socialisti dello SDI
che dopo aver sposato con generosità il progetto dell’Ulivo
si trova ora spinto dalla crisi della lista unitaria
a rivisitare appartenenze politiche del passato
sotto la spinta di costrizioni elettorali del presente.
Un pericolosissimo processo che ha come sfondo,
la scomposizione dell’Europa
e la contrapposizine culturale
che in nome delle appartenenze del passato
torna ad attraversare il mondo,
Così come all’inizio dell’Ulivo il nostro progetto di unità si era certamente avvantaggiato dal processo di unificazione che chamava ognuno a fare un passo avanti,
la scomposizione di oggi sembra incoraggiata
da un processo di segno opposto.
L’Europa cede il passo agli Stati,
le coalizioni ai partiti,
le aggregazioni nuove alle appartenenze passate.
Sembra.
Io son infatti sicuro che la prova alla quale siamo chiamati
è e si rivelerà null’altro che come una prova di maturità.
Idee e convinzioni accettate all’inizio
con apparente entusiasmo ma in modo superficiale
sono ora chiamate a fare i conti con i fatti.
Ma il cuore e la ragione mi dice che alla fine della prova l’estensione dei consensi sarà forse più ridotta
ma le loro radici saranno certo più profonde.
Per l’Europeismo così come per l’Ulivismo,
processi dall’inizio profondamente interconessi
nella metafora e nella realtà.
È con questa speranza e per questo motivo che
non possiamo non cogliere
tutte le potenzialità offerteci nel presente
per rafforzare e svolgere
la dinamica politica avviata nel passato.
Penso in questo caso soprattutto alle primarie.
Pur rappresentando da sempre
uno dei nostri obiettivi qualificanti,
una cifra qualificante
della nostra concezione della democrazia,
vorrei che fosse chiaro
che non era questo nè il tempo nè il modo
che avevamo immaginato per la loro introduzione.
Men che mai potremmo considerarlo
come un regalo o un prezzo pagatoci, come leggiamo,
in cambio della nostra mancata scissione.
Per quel tanto che le primarie sono nostre,
esse sono una nostra conquista e non certo un regalo.
Per quel tanto che fossero un prezzo,
noi diciamo che nessun prezzo sarebbe da noi accettabile
in cambio della prigionia
in un partito che dovessimo considerare
come una casa ostile.
Forse avrebbero potuto impedirci l’agibilità di partito,
ma non ci avrebbero certo impedito di uscire dalla Margherita gridando “Democrazia è Libertà”
il nome che chiedemmo
e ottenemmo non senza fatica
per rappresentare la nostra idea.
Ma le primarie sono ormai varate
e non possono non vederci protagonisti:
uno strumento che può dare alla leadership
e alla proposta programmatica di Romano Prodi,
per la quale noi scendiamo oggi in campo,
una forza nuova e radici tra la gente.
Affidando alla scelta diretta degli elettori dell’Unione
la designazione del candidato alla carica
di Presidente del Consiglio e capo della coalizione,
le primarie sciolgono quello che resta
il principale problema irrisolto del nostro bipolarismo
che essendo caratterizzato da un multipartitismo
ad alto livello di frammentazione
non dispone in nessuno dei due poli di un partito-guida stabilmente riconosciuto come tale.
L’introduzione delle primarie,
per ora solo nel campo di centrosinistra
ma dopo la fuoriuscita di Berlusconi con buona probabilità anche nel campo di centrodestra,
stabilizza perciò il bipolarismo.
Allo stesso tempo le primarie
estendono a tutta l’Unione la dinamica ulivista
spingendola a superare la connotazione
di semplice cartello elettorale grazie alla scelta del premier assunto come riferimento unitario di tutta la coalizione
sulla base della sua personale proposta politica
e non in considerazione della sua provenienza partitica.
Gelato dalla crisi della lista unitaria,
il progetto dell’Ulivo torna al di là dei nomi al centro del campo trasformando l’Unione in un grande Ulivo
invece di fare della Fed una piccola Unione.
Chiamare gli elettori a partecipare alle primarie
significa dare loro la possibilità di dire sì al bipolarismo,
di dire sì ad una Unione unita da un programma di governo, di partecipare alla formulazione della proposta che sarà avanzata a tutti i cittadini in occasione delle elezioni politiche e non solo a dare la propria risposta su proposte altrui:
alla formulazione della proposta politica più importante
per il governo e quindi per la salvezza del Paese.
Mettendo questa proposta nelle mani dei cittadini
l’Unione scommette sulla crescita della democrazia
come il mezzo fondamentale per far crescere l’Italia.
Per questo motivo io ritengo che le primarie,
la costituzione di un comitato nazionale Ulivisti per Prodi Presidente
assieme all’apertura di un Laboratorio programmatico Ulivista
siano le due principali gambe
sulle quali far camminare nei prossimi mesi la nostra iniziativa facendo di esse l’occasione per darci una struttura organizzativa riconoscibile.
Quella organizzazione che finora è sopravvissuta in modo latente perchè politicamente ingiustificabile, ma proprio per questo in modo inadeguato.
La necessità di dare senso ad una iniziativa politica
rende ora possibile oltre che necessario quello che finora innanzitutto a me sembrava discutibile.
Ed ora care amiche e cari amici è proprio il momento di concludere.
Pensando all’incontro di oggi,
come spesso capita nei passaggi cruciali
il pensiero è andato con la memoria e il cuore
ai giorni ormai lontani della mia giovinezza.
Per qualche chimica misteriosa dello spirito
mi è tornata in mente la testata che Mazzolari,
don Primo Mazzolari,
un riferimento della mia generazione, non solo di noi cattolici, aveva scelto per il suo foglio di battaglia e di predicazione.
“Adesso”.
E, assieme al titolo, la citazione evangelica,
tratta dal Vangelo di Luca (22,36) che diceva
“Ma adesso, chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una”.
Una citazione impegnativa che vi ripeto
solo per riportare il suo sapore al mio cuore,
con l’avviso per i credenti e ancor più per gli amici che credenti non sono
che la spada e la prova alla quale il testo fa riferimento
è ben altra. ben più impegnativa. direi ultimativa
rispetto a quelle che impegnano i nostri giorni.
Rileggendo di quell'”Adesso”
il senso nell’editoriale del primo numero,
mi colpiva allora e mi colpisce oggi,
quel senso di urgenza, di decisione, di adesione
a ciò che “Adesso” è necessario fare.
Non per cogliere l’attimo fuggente,
ma per fissare il tempo in una sequenza di opere e di giorni che dà senso alla nostra vita.
Cos’è una vita? scriveva Mazzolari.
Un pensiero della giovinezza attuato nell’età matura.
Ma anche una imprudenza:
“Rischiamo di morire di prudenza in un mondo che non vuole e non può attendere” continuava don Primo.
Ma l”Adesso” di Mazzolari
oltre che una imprudenza era una impazienza.
“La pazienza è una medicina che ognuno deve comprarsi da sè, poichè essa è indispensabile anche quando tutto pare che vada liscio:
ma gli uomini di governo e quelli di religione
-diceva parlando a sè e a noi –
non devono mettere su bottega di pazienza
per togliersi l’impegno di fare ciò devono fare”
“Adesso”, è un atto di coraggio.
Un uomo non lascia agli altri la pesante eredità
dei suoi “adesso” traditi”.
Vi chiedo scusa per avervi coinvolto
in un mio itinerario interiore.
Ma il titolo che ho accettato di dare alla mia relazione
nel coinvolgervi lo esigeva.
“Testardi dentro” è appunto questa paziente impazienza,
Non il grido che un quotidiano ci metteva ieri in bocca annuciando questo nostro incontro.
Tutto il contrario.
Il nostro “Testardi dentro” è una silenziosa determinazione.
La virtù della temperanza: la donna con la bocca cucita e la spada legata dipinta da Giotto nella cappella degli Scrovegni,
Il contadino che dopo aver messo mano all’aratro
procede con silensiosa determinazione
finchè il lavoro non è finito
senza voltarsi indietro.
Appunto.
“testardo dentro”.