Caro direttore,
l’articolo di Franco Venturini di domenica scorsa (“Il braccio legato dei nostri soldati”) offre molti spunti di riflessione.
Per quanto riguarda l’Iraq, ribadisco il proposito del Governo di considerare conclusa la missione Antica Babilonia entro l’autunno con il rientro del nostro contingente militare che opera nella provincia di Dhi Qar. Una missione che dura da oltre tre anni e che è stata svolta dai nostri soldati in modo esemplare, fra molte insidie e molti pericoli. Essa è oggi missione di pace anche se si è svolta in un contesto da altri praticato come un contesto di guerra. Una missione che è segnata da un pesante bilancio di sangue e che ci ha costretto ad accollarci gravi oneri finanziari.
Il rientro del contingente è una decisione che prendiamo nel rispetto di un mandato elettorale assai chiaro. Sappiamo altresì che essa corrisponde ad un sentimento trasversale che investe tutto il Paese e non è legato strettamente ad appartenenze politiche di parte come dimostrano recenti prese di posizione di autorevoli esponenti dell’opposizione. Come abbiamo convenuto con il governo iracheno e come andiamo illustrando con chiarezza a tutte le altre parti interessate il nostro obbiettivo è un rientro ordinato che non determini vuoti improvvisi nella provincia della quale deteniamo tutt’ora la responsabilità per la sicurezza. Un rientro che si svolga nella dignità e nel quadro di una costante attenzione alla vita e all’incolumità di tutti. Un rientro, infine, che riguardi l’intero contingente di stanza a Nassirya.
Abbiamo infatti maturato la convinzione che l’ alternativa sia quella tra una presenza militare adeguata e il rientro. Nulla sarebbe più rischioso di un rientro a metà, quale quello che era negli intenti del precedente governo. In questo caso più che mai le vie di mezzo sono quelle più pericolose. Mille uomini, ottocento italiani e duecento rumeni, sarebbero infatti decisamente insufficienti per continuare a mantenere la sicurezza della provincia fino ad un passaggio di responsabilità (Transfer of Authority) la cui data il precedente governo non aveva fissato ma che avrebbe potuto prorogarsi ben avanti nel prossimo anno.
E’ per questo motivo che, pur avendo considerato senza pregiudizi la proposta dell’onorevole Martino, mio predecessore, riesposta sul Suo giornale, sono giunto alla conclusione che per noi esista soltanto una reale possibilità in linea con l’esigenza di sicurezza dei nostri uomini impiegati a Nassiriya, con il diffuso sentimento nazionale che ritiene onorato – almeno per il suo aspetto militare – l’impegno che ci eravamo assunti nel quadro di un rigoroso rispetto del mandato politico ricevuto dagli elettori. Questa scelta è appunto il rientro del contingente che opera nell’ambito della Coalition of the Willing, impiegato nella provincia di Dhi Qar.
In un senso di continuità con l’essenza dell’impegno assunto dall’Italia verso l’Iraq abbiamo dichiarato la nostra disponibilità a contribuire con modalità e in settori in via di definizione alla ricostruzione del Paese continuando tra l’altro a prender parte alla formazione dei suoi Quadri militari attualmente affidata a Bagdad alla Alleanza Atlantica. La situazione in Afghanistan è non meno impegnativa. Essa si distingue però nettamente da quella dell’Iraq per il fatto che in Afghanistan noi siamo e ci sentiamo parte di un impegno condiviso, svolto dalla Nato in ottemperanza ad un mandato delle Nazioni Unite. In quel teatro la Nato sta mettendo attualmente alla prova se stessa e le sue capacità di operare su uno scacchiere remoto e con una visione globale ponendo le proprie strutture e forze a disposizione della costruzione di un ordine e di una pace gestiti dall’Onu.
Noi ci sentiamo parte di questo sforzo e riteniamo che questo impegno debba essere onorato. Questo non significa che non vediamo nella situazione elementi di preoccupazione, chiedendoci anche noi come stiano andando le cose ed interrogandoci in continuazione su cosa sia bene fare. Ma la risposta a queste domande intendiamo darla in modo condiviso, confrontandoci giorno per giorno con gli alleati e il governo afghano e definendo l’entità del nostro contributo sulla base dei problemi che si pongono alla comunità internazionale.
Si tratta del criterio che intendiamo seguire non soltanto in Afghanistan ma in tutte le 28 missioni all’estero, in alcune delle quali l’Italia è impegnata da parecchi lustri.
Ciò che rifiutiamo con decisione è invece ogni atteggiamento di indifferenza ed ogni tentazione isolazionistica perché riteniamo che sia dovere dell’Italia assumere in ambito mondiale tutte le responsabilità derivanti dalla Sua condizione politica ed economica. Continueremo perciò puntualmente a valutare tutte le missioni in cui siamo impegnati considerando ogni volta il risultato che esse hanno conseguito, il perdurare della loro utilità, i loro costi e la loro sostenibilità in termini di risorse umane, finanziare e materiali. È questo un esame che deve mirare a fare emergere un ampio consenso nazionale sul ruolo della Difesa come uno degli strumenti della politica internazionale dell’Italia.
Arturo Parisi
Ministro della Difesa
13.06.2006.