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7 Gennaio 2005

Margherita non ti riconosco più

Fonte: l'Espresso

Tra un mese fanno dieci anni esatti dalla nascita dell’Ulivo e come una maledizione il popolo del centro-sinistra si ritrova con i problemi di ieri: Berlusconi al governo, i partiti che reclamano spazio e visibilità, la leadership di Romano Prodi contestata in modo sotterraneo. Arturo Parisi, l’inventore dell’Ulivo, è amareggiato: «Rischiamo di consegnare una generazione a Berlusconi». Dalla breve vacanza in Sardegna rompe un lungo silenzio, per difendere la sua creatura politica: «Mi rifiuto di associarmi all’ennesimo teatrino per celebrare la sopravvivenza dell’Ulivo: dire vero il falso sarebbe la pugnalata finale». Da quando Romano Prodi è tornato in Italia Parisi indossa i panni del combattente politico. Leader degli ulivisti della Margherita, presidente dell’assemblea federale, esclude una scissione («Finché l’Ulivo sarà a casa sua nella Margherita anche noi ci sentiremo a casa nostra»), ma chiede a Rutelli chiarezza: «Un anno fa salutò la lista unitaria come nuova e feconda.  E oggi?». 

Berlusconi ha ipotecato il Quirinale, dà già per vinte le elezioni del 2006, punta all’eternità del suo potere. Preoccupato?
«La possibilità che Berlusconi vinca le prossime elezioni è residua. Ma la sola prospettiva che possa accadere è così grave che non solo mi preoccupa, mi terrorizza. Rischiamo di perdere una generazione, non solo sul piano politico, ma culturale, e soprattutto morale. L’Italia che Berlusconi si appresta a riconsegnare è un paese arretrato in tutte le classifiche. C’è un solo italiano che è avanzato, Berlusconi, nella classifica mondiale della ricchezza. Quello che mi preoccupa più di ogni altra cosa è la regressione del governo a uno stadio feudale, pre-moderno, in cui la sfera privata e quella pubblica si confondono. Penso a quanto sta succedendo nella mia Sardegna con la Certosa: si è trasformata una villa in una casa pubblica, naturalmente di proprietà privata, e con questa scusa si sono giustificati arbitrii di ogni genere. Negli ultimi giorni del 2004, poi, c’è stato l’assalto alle authority indipendenti».

Si riferisce alle nomine di Giorgio Guazzaloca e Antonio Pilati all’Antitrust?
«Un’operazione sfacciata: hanno nominato una persona che nulla ha a che fare con le competenze richieste, e una che conosce fin troppo i valori in gioco. Quelli che per Berlusconi stanno al centro della politica: i valori delle azioni Mediaset. Una rottura di una gravità unica, che toglie ogni illusione sulla terzietà sui presidenti delle Camere».

Attenzione, professore, qui finisce che la denunciano come istigatore di odio…
«Già! Come non riconoscere il nostro disagio di fronte alla radicalizzazione che mette alla prova la nostra moderazione? Ma in un paese normale! Quello che non riesco a capire è come qualcuno possa avere immaginato di poter aprire un confronto con la coalizione berlusconiana. Questa situazione ci richiama alla nostra prima responsabilità: costruire un progetto che dimostri l’alterità profonda che esiste tra noi e Berlusconi. L’alterità del progetto politico, un’alternativa morale perché politica».

Esattamente dieci anni fa nacque l’Ulivo. Lei è considerato l’inventore: che idea politica c’era dietro quel nome?
«Ulivo è il nome mite di una passione forte, nel ricordo di radici antiche, la lotta partigiana, la Costituzione. Una settimana fa è scomparso Ermanno Gorrieri, partigiano, cattolico, tra i primi a dichiarare conclusa l’epoca della Dc e a impegnarsi nel bipolarismo con il centro-sinistra: un padre della Prima e della Seconda repubblica. Per noi l’Ulivo era questo. Un segno di speranza, che annunciava un’Italia nuova. Un segno di unità, che la gente accolse subito. Infine, un segno di apertura».

Cosa rimane di quell’Ulivo? La Fed? La Gad? «Un’area senza identità, priva di nomi», ha scritto Ilvo Diamanti.
«Se penso a quell’Ulivo provo amarezza. Spesso è più evidente la nostra divisione che la nostra unità, la nostra chiusura che la nostra apertura, la nostra stanchezza che la nostra novità. Lo dico con enorme tristezza: la Fed è ancora troppo lontana dallo spirito dell’Ulivo perché possa essere chiamata Ulivo. La Gad è molto più vicina all’Alleanza di tutti i democratici di quanto la Fed sia vicina all’Ulivo».

Cosa manca alla Fed per assomigliare all’Ulivo? Il leader è lo stesso, i partiti anche.
«La Fed è lontana dall’Ulivo perché manca la tensione. All’ultima riunione dei leader prima di Natale, di fronte al rituale invito a fare un passo indietro per farne due avanti, non ho potuto evitare di reagire. Mi sono rifiutato di associarmi all’ennesimo teatrino per celebrare la sopravvivenza dello spirito dell’Ulivo, mentre in realtà si registrava una dura sconfitta. L’unico accordo possibile è sembrato quello di gestire  in concordia la nostra discordia: la decisione di non presentarsi uniti in nessuna regione. Una decisione, questa sì, presa dal centro. La sconfitta non è stata il mancato accordo, ma la resa alla nostra divisione. Una resa alla quale non riesco ad arrendermi. A questo punto ho paura che le forme abbiano dato tutto quello che potevano dare».

Strano sentirlo dire da lei che da anni parla di strutture: doppiogambismo, primarie, centro sinistra con trattino o senza…
«Ma è così: o recuperiamo lo spirito dell’Ulivo o le forme diventano la sua peggiore negazione. Dire vero il falso sarebbe la pugnalata finale…».

Alt. Chi è il pugnalatore?
«Se si potesse parlare di un solo pugnalatore sarebbe tutto più semplice. Io denuncio i limiti della Margherita perché sono dentro la Margherita. Ma anche perché gli ulivisti della Margherita hanno motivi propri per essere più amareggiati di altri».

Per quale ragione?
«Nel 2001 avevamo fondato una formazione che si chiamava Margherita, in nome dell’Ulivo. Alla Margherita abbiamo trasmesso l’emozione del ’98, la protesta contro l’abbandono della prospettiva ulivista seguito alla caduta del governo Prodi. Altro che “pane e cicorie”! Alla Margherita abbiamo consegnato il pane e le cicorie, tutto, senza chiedere nulla in cambio, se non il rispetto di questa prospettiva».

E ora? Si sente tradito?
«Io non so cosa sia oggi la Margherita. So che rischia di allontanatarsi dal progetto costitutivo. So come ci chiamamo gli altri. Quando vedo Sandro Bondi di Forza Italia dare continuamente ragione alle posizioni della Margherita penso che anche la ragazza più timorata si sente lusingata se la fischiano per strada, ma anche la ragazza più navigata, se la fischiano ogni volta che esce di casa, qualche domanda sul suo comportamento non può non porsela».

Ha paura di ritrovarsi presidente di un partito neo-centrista?
«Centrista è parola fuorviante. Escludo nel modo più deciso che la guida della Margherita pensi a un terzo polo. Ma c’è una parte di ceto politico che si è limitata ad accettare il bipolarismo, senza crederci fino in fondo. Non posso non confrontarmi seriamente con un dirigente della Margherita, della statura di Ciriaco De Mita, che solo qualche giorno fa denuncia come un grave errore l’aver fatto la lista unitaria alle europee. Quella lista che lo stesso Rutelli aveva salutato come una delle idee politiche più nuove e feconde. Sono posizioni sulla cui compatibilità dobbiamo discutere in modo approfondito e serio».

Si accanisce su De Mita: il problema è Rutelli.
«Ma De Mita non è un vecchio zio! È un dirigente di primo piano che io rispetto e con cui mi confronto a viso aperto, soprattutto quando dissento profondamente da lui. Ognuno deve prendere posizione: se in un congresso della Margherita dovesse crearsi una maggioranza e una minoranza, potrei stare da tutte le parti fuorché in quella che si riconosce nelle posizioni attuali di De Mita. Per rispetto suo e di me stesso».

E se finisse in minoranza, cosa farà?
«Continueremo a rappresentare le nostre idee, nella Margherita, nell’Ulivo, nell’Alleanza».

Con Rutelli sembrate separati in casa. State pensando a una scissione?
«Anche se breve, la mia vita politica è stata dedicata alla costruzione di un’unità più grande. Come potrei associare il mio nome a una scissione? La Margherita è la casa che abbiamo costruito per l’Ulivo. Fino a quando l’Ulivo sarà a casa sua nella Margherita, anche noi saremo a casa nostra nella Margherita. E non certo da separati in casa».

Cosa chiedete alla Margherita?
«I sei mesi che abbiamo alle spalle ci chiedono di andare davanti agli elettori con una scelta chiara. Dobbiamo dire con chiarezza se siamo ancora quelli del 2001 o se abbiamo preso le distanze da quella strada. Sapendo che se perdiamo la qualità del 2001 perderemo anche la quantità dei voti raggiunti all’epoca, con conseguenze disastrose sulla coalizione. Impegnandoci perché si riapra la prospettiva della lista unitaria. Certo le decisioni dovranno essere prese regione per regione come è stato convenuto. Ma i dirigenti nazionali che dicono di lavorare perché la Fed possa diventare l’Ulivo devono battersi ognuno nella propria regione per farla. Altrimenti non è messa in discussione una forma, ma l’ispirazione di un progetto».

Rutelli vi ha già risposto: con una lunga lettera su “Repubblica” dove chiede di parlare di contenuti e non di contenitori.
«Un contributo certamente utile. Ma sarebbe un guaio se qualcuno lo usasse per cambiare argomento. Per evitare un qualunquismo di bassa lega non è male ricordare che parlare di contenitori è già di per sé parlare di contenuti. Cos’è mai la questione dell’unità del Paese, quella dell’Europa a 25: una questione di contenitori o di contenuti? Su questa strada si è messo Prodi col discorso di Milano, il primo dopo il suo rientro. Un discorso che non si è limitato solo ad elencare dei titoli, un discorso che si è negato al tradizionale enciclopedismo del “chi più ne ha più ne metta” e ha aperto il vero dibattito sul programma: quello sulle priorità. In questo contesto, il contributo di Rutelli è sicuramente utile. Un “promemoria” di spunti per l’agenda di governo che riprende il filo della elaborazione di questi anni, dal programma dell’Ulivo del ’96 a quello di Giuliano Amato per le elezioni europee. Ma la differenza tra un saggio più o meno stimolante e un progetto politico è l’esistenza di un soggetto che ne sia garante di fronte ai cittadini: un soggetto collettivo guidato da un leader riconosciuto dotato di potere e di autorità. È questo il nostro problema irrisolto: qua è Rodi, qua dobbiamo saltare».

Viene un sospetto finale: dietro il balletto c’è chi lavora per eliminare Prodi?
«Magari ci fosse un disegno alternativo! Sarebbe un segno di responsabilità. L’espressione del disegno legittimo di chi dissente da una linea e da una guida e propone una linea e una guida alternativa. Le nostre difficoltà nascono invece dalla tentazione di applicarci ognuno al nostro piccolo interesse scaricando le responsabilità generali e i problemi irrisolti sulle spalle di Prodi, quasi che in questi anni non avessimo aspettato che il suo ritorno per farlo in libertà. No, onestamente, non vedo in giro nessuno che voglia far fuori Prodi. Vedo invece molti che vogliono mettere dentro se stessi».