13 Febbraio 2004
L’ulivo è femmina
Autore: Marco Damilano
Fonte: l'Espresso
Dopo la convention del fine settimana che fase comincia per l’Ulivo?
«Dopo la fioritura del 95 l’indimenticabile raccolta del 96 98, e la difficile stagione degli anni successivi, questa è certo una stagione di crescita e di rafforzamento. Anche se tra le forze che diedero vita all’Ulivo nel ’95, solo i Verdi per una scelta che rispettiamo hanno deciso di non associarsi alla lista Prodi, altre forze si sono aggiunte a quelle di allora e comunque con tutte manteniamo un rapporto di solidarietà. Una solidarietà che ci consente di guardare al futuro con un atteggiamento aperto e positivo».
Ma ora che l’Ulivo esce dal mito ed entra nella vita reale cominciano le contestazioni: il primo litigio è stato sul simbolo…
«Va così per tutte le cose della vita, succede. Ma noi ci siamo sempre negati alla contemplazione dell’Ulivo come mito. Oggi non nasce un cartello elettorale, ma un soggetto in grado di rispondere a un progetto politico».
Non è un cartello elettorale, ma allora cosa sarà? Un nuovo partito?
«A me piace usare l’immagine europea della cooperazione rafforzata: siamo come i paesi dell¹Unione europea che hanno la stessa moneta, l’euro. Abbiamo preso atto che era impossibile coinvolgere tutti, andiamo avanti con chi condivide il progetto. Eravamo al bivio: arrendersi all¹indisponibilità di alcuni o andare avanti con le porte aperte. Abbiamo scelto la seconda strada».
D’Alema dice: nasce il partito di Prodi. È così?
«È una forma contratta che non corrisponde a quanto immaginiamo. Prodi è il leader riconosciuto, ma la nostra ambizione è più grande di un partito personale. Partito è comunque un termine inadeguato e fuorviante: evoca una densità, una forma organizzativa, un modo di rappresentare le identità che non si adatta al nostro caso. Dobbiamo rinviare ad un vocabolario diverso».
Se non lo chiamate partito come lo definirete? Cooperazione rafforzata suona difficile anche per gli elettori più pazienti…
«E allora chiamiamola federazione. È il termine più esatto: mette insieme il riconoscimento della pluralità e la tensione a restare uniti a tempo indeterminato».
Un banco di prova immediato sarà la composizione della lista. Con quali criteri sceglierete i candidati?
«Serve una lista in grado di rappresentare la ricchezza delle storie politiche che in essa si incontrano. Ma non può ridursi al perimetro dei partiti: pur facendo leva su persone con solida esperienza politica deve aprirsi alla freschezza della società civile…».
Di quale società civile sta parlando? I movimenti della pace? I girotondi?
«Tutti i movimenti. Ma il mio non è un appello generico. Penso alle donne: la quasi totale assenza dell’altra metà del cielo dalla politica è semplicemente vergognosa. Penso a quella parte di società che nelle professioni, nell’università pur con i piedi saldamente piantati in Italia vive da tempo con la testa in Europa, e nel Mondo. E non solo con la testa. Se si va in aeroporto si vede che ci sono tantissimi italiani che vivono ormai tra con un piede a Bruxelles e Strasburgo. Mentre abbiamo un ceto politico ancora segnato dalla natura nazionale delle istituzioni. Le elezioni europee ci chiamano a valorizzare e coinvolgere queste persone che sono rimaste estranee alla politica e che vogliono impegnarsi in una battaglia in difesa dell’Europa che sottragga l’Italia alla attuali condizioni di emarginazione».
Come si può garantire questo impegno?
«Non stiamo distribuendo onorificenze. Stiamo selezionando la sezione italiana della nuova classe dirigente europea. È per questo che sono convinto che l’impegno europeo non può coesistere con altri incarichi istituzionali. Ho difficoltà a pensare a un doppio mandato nel Parlamento europeo e in quello nazionale. Questo per non parlare delle autentiche truffe, dei candidati che si presentano matematicamente certi di non fare neppure un giorno di mandato: penso ai ministri e, naturalmente, innanzitutto al nostro amato premier».
Lei parla di incompatibilità, ma sui giornali si affollano i nomi dei candidati per il posto di capolista: D’Alema, Fassino, Rutelli, Boselli. A prima vista non sembra un gran segno di novità…
«Si tratta di comprensibili esercizi di fantasia. Congetture che muovono dall’esigenza di rappresentare le pluralità interne. Abitudini che vengono da un tempo in cui non si poteva contare su un’adeguata cultura degli elettori e il capolista era il biglietto da visita di un partito».
Sarà anche una tradizione antica, ma intanto al Sud De Mita ha già detto che non vuole D’Alema capolista…
«È una legittima preoccupazione partitica. Ma l’interrogativo di De Mita sul capolista io non solo lo condivido, ma lo rilancio: vale per D’Alema, vale per De Mita, vale per tutti. Sono meglio dei capilista che rappresentano in ogni circoscrizione lo spirito unitario della nostra iniziativa o una ripartizione che recupera l’equilibrio solo sul piano nazionale?»
Traduco: una spartizione. Due ai Ds, due alla Margherita, uno allo Sdi.
«Certo questa è una possibilità. Ma io preferisco di gran lunga la prima strada: se ancora la posizione di numero uno concorre al successo del candidato perchè non offrire questa possibilità a cinque donne per risarcirle dello svantaggio di partenza e rappresentare così meglio la novità e l’unità della nostra iniziativa? il progetto e non uno spirito di parte. Con D’Alema o con De Mita alla guida ci sarebbero sempre elettori che potrebbero far fatica a riconoscersi. Molto meglio valorizzare l’unità piuttosto che sottolineare le differenze».
Chi dovrebbero essere i primi della lista? Circolano i nomi di Tommaso Padoa Schioppa, Mario Monti…
«Ripeto: personalità in grado di rappresentare l’Italia che vive in Europa. Questi sono nomi autorevolissimi ma son sicuro che ce ne sono anche altri».
Scelti come? In questi giorni è in corso un esperimento di primarie on line.
«Primarie di chi? Le primarie hanno bisogno di partiti che le organizzino e di regole condivise. Credo che il successo della lista avvicinerebbeo certo il tempo delle primarie. Fin quando l’Ulivo resta solo una somma dei partiti non mi sembra facile. Certo qualche consultazione può aiutarci, ma non vedo meccanismi che possano oggi sollevare la dirigenza dalla responsabilità della scelta».
Sa cosa si dice? La notte del 13 giugno la lista sarà rimessa nel cassetto e ognuno tornerà a casa sua…
«Son nove anni che protestiamo contro l’idea dell¹Ulivo come taxi, come potremmo ora accontentarci di un pulmino? Dopo le elezioni europee l¹esigenza di avere un soggetto stabile che si prepari alla competizione politica del 2006 sarà ancora più forte di prima. Non possiamo arrivare a quella data affidati alla sola indignazione contro Berlusconi e all¹entusiasmo dei nostri militanti. Dobbiamo offrire qualcosa di più. A differenza della Casa delle libertà la nostra unità non è assicurata da un padrone, ma non possiamo neppure accontentarci che a tenerci uniti sia il nostro nemico».
Chi assicura che non finisca come nel ’96, quando l¹Ulivo scomparve il giorno dopo la vittoria alle elezioni?
«Nel ’96 l’Ulivo esisteva nella società, con i comitati e il pullman di Prodi, ma non aveva fatto in tempo a nascere Parlamento. L’Ulivo cresceva, galoppava nel paese, ma non fece neanche un passo nelle istituzioni. Anche questo lo trasformò in un mito. Certo c’era il governo Prodi a rappresentare quell’entusiasmo. Ma la caduta di Prodi lasciò la parte di
elettorato che più aveva creduto nell¹Ulivo senza riferimenti».
E oggi che differenza c’è? Che D’Alema e Marini ieri erano tra gli avversari dell’Ulivo soggetto politico e oggi sono tra i padri fondatori della lista?
«Ieri camminavamo su due linee separate, oggi l’Ulivo e i partiti avanzano finalmente su linee convergenti. Abbandonata la totale divergenza tra l’Ulivo del mito e quello della realtà il nostro cammino può apparire talvolta più difficile, ma le nostre conquiste sono sicuramente più durature. Dopo le elezioni dovremo costruire le regole di quel soggetto per cui abbiamo lavorato in questi anni, apparentemente invano. Ma senza il mito dell’Ulivo e senza quel lavoro la lista unitaria non sarebbe mai nata».
E Prodi? In che giocherete la carta del fondatore dell¹Ulivo in campagna elettorale? Non c¹è il rischio di bruciarlo?
«Come ha detto dall’inizio Prodi servirà la sua missione europea fino alla fine. La campagna elettorale per le europee ci consentirà finalmente di rendere evidente che la battaglia che lui ha condotto in Europa è la stessa che noi abbiamo continuato a combattere in questi anni in Italia. Son sicuro che gli elettori lo capiranno».