Nato come un tweet, moltiplicatosi via per strada fino a poter essere definito “la rete”, attorno a noi ieri abbiamo visto crescere un appello. “Annullare la parata del 2 giugno. Destinare i finanziamenti ai terremotati”. Come capita ormai sempre più di frequente, grazie alle testate online “la rete” è diventata “la gente”, “la gente” è diventata “i cittadini”, i “cittadini” son stati riconosciuti come “il popolo”. Se “i mille”, ancorchè mettendo a repentaglio le loro giovani vite, ebbero la meglio del più grande regno preunitario, perchè mai qualche decina di migliaia di tweet non meritano attenzione quando rilanciano un messaggio come questo? Il valore di una azione è infatti misurata dal coraggio e dal rischio di chi la promuove, ma più spesso dalla forza o dalla debolezza delle convinzioni di chi è da essa sfidato o semplicemente interpellato. Non ci sono cose che possano sopravvivere se nessuno le difende. Anche chi si ispira alla regola “piegati giunco finchè passa la piena” sa che alla piena il giunco sopravviverà, ma resterà piegato. Difronte alla richiesta di “annullare la parata e destinare i finanziamenti ai terremotati” abbiamo perciò il dovere di guardarci dentro, di prenderlo sul serio, di prenderci sul serio. Non basta replicare giustamente che a due giorni dall’evento quello che doveva essere speso, era stato già speso. Non basta assicurare che il sentimento che ci guiderà a via dei Fori Imperiali sarà lo stesso col quale i corpi lì presenti, dall’Esercito alla Croce Rossa, dai Carabinieri alla Polizia, dai Vigili del Fuoco alla Forestale, al Servizio Civile, lo stesso con il quale i reparti nelle stesse ore fronteggiano ancora una volta le emergenze e partecipano al lutto delle popolazioni colpite dal terremoto. Riconosciamo pure le ragioni del risparmio e del rispetto del lutto che ci chiamano a ripensare tutte le manifestazioni con le quali da Roma alla più piccola prefettura rendiamo omaggio e facciamo festa alla Repubblica.
Non possiamo tuttavia far finta di non sentire che chi, tra tutte le varie forme di festa, ha levato la sua voce in particolare contro la parata militare, o meglio, contro la parte militare della parata, oltre che da ragioni suggerite dal momento è spinto anche da ragioni antiche. Queste ragioni sono ispirate al disagio se non addirittura al rifiuto verso ogni forma di difesa armata della Repubblica. Sono ragioni nobili che attraversano ognuno di noi, che ci interpellano e meritano rispetto. Proprio per questo debbono essere sottratte alle tentazioni della strumentalizzazione, riconosciute e portate ad evidenza anche quando, come in questo caso, si mescolano a ragioni minori o occasionali.
Ma, per questo motivo proprio chi come me queste ragioni non riesce a condividere, ha il dovere di ricordare che la parata del 2 giugnonon è la festa delle Forze Armate, non è un cedimento al militarismo perchè celebri se stesso. Essa è invece l’omaggio che le Forze Armate e gli altri corpi dello Stato sono chiamati a rendere alla nostra comune Repubblica. La cosa pubblica che, con un voto solenne di tutti i cittadini, rinfondammo il 2 giugno del 1946 per dire che l’Italia continuava e allo stesso ricominciava riorganizzata in Repubblica.
I riti e i simboli servono per esprimere e rafforzare i valori e i principi nei quali ci riconosciamo. Sono la forma e il linguaggio col quale parlano le istituzioni, l’arredamento della casa comune. I riti e simboli sono il mezzo attraverso il quale anche nei campi di concentramento, nel massimo della abiezione umana, un informe aggregato di straccioni può riscoprire la sua perdurante umanità. Sono la struttura che dà ordine e forma al nostro stare e operare insieme.
La forma dei simboli e dei riti può e deve cambiare, ma deve restare fermo il loro significato. E il significato che sta dietro le forme con le quali la forza militare rende onore alla Repubblica è che essa, come ogni altro corpo dello Stato, è al suo servizio, e nella Repubblica democratica è posta alle dipendenze delle autorità investite democraticamente dai cittadini. Allo stesso tempo dice che dentro la Repubblica non è consentito a nessun altro di esercitare la forza in modo legittimo.
Guai se le Forze Armate fossero spinte a ritrovarsi e riconoscersi in riti appartati e separati. Guai se altri pensassero di organizzarsi armati al di fuori delle leggi della Repubblica.
Sono sicuro che questo è il motivo che ha ispirato il Presidente della Repubblica che di questo valore è il massimo custode e il massimo sacerdote a confermare la cerimonia del 2 giugno. Per questo motivo chi crede nella Repubblica non può che condividere e difendere la sua decisione.