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2 Gennaio 2003

Le riforme vanno fatte, nonostante Berlusconi

Autore: Nino Bertoloni Meli
Fonte: Il Messaggero

«E ora bisogna fare sul serio le riforme nonostante questo premier piccolo piccolo». Arturo Parisi, numero due della Margherita e ulivista convinto, sprona il centrosinistra a non tirarsi indietro sul tema delle riforme.

Professor Parisi, il suo giudizio sul discorso di Ciampi?

«E’ difficile non riconoscersi. Sia per il quadro generale inevitabilmente collegato a quello che potremmo definire l’esercizio del sacerdozio repubblicano, sia per gli aspetti dichiaratamente particolari che il Presidente ha voluto introdurre nel discorso di quest’anno».


La cosa più importante detta dal Presidente?

«L’appello preoccupato al superamento della divisione dei poteri dello Stato e dei partiti, che il Presidente individua nel centro del sistema politico, segnato da contraddizioni e contrasti che chiedono di essere superati. In particolare ho apprezzato il passaggio dove si sottolinea che “questa divisione non è meno dannosa di quella che fu nella prima parte della storia della Repubblica l’instabilità dei governi”».


A chi saranno fischiate le orecchie?

«A tutti, a tutti. Queste divisioni infatti attraversano tutto il sistema politico, non sono riconducibili a confini precisi, e men che mai a quello tra maggioranza e opposizione».


E il giudizio sul governo?

«Siamo in presenza di un governo piccolo piccolo, guidato da un premier ancora più piccolo. Un governo che ha ridotto l’orizzonte stesso della politica, abbassando la sua ambizione, che aveva gabellato per rivoluzione liberale, a livello della difesa degli interessi personali del suo capo. Non possiamo dimenticare che Ciampi ha parlato all’indomani dell’approvazione della Finanziaria, che ci ha consegnato l’immagine di governo imbelle e impotente. Un governo debole e debordante, mentre il Paese avrebbe bisogno di un governo forte e delimitato».


Un giudizio così duro sull’attuale governo tale da pregiudicare ogni possibilità di dialogo sulle riforme?

«Assolutamente no. Il centrosinistra oggi all’opposizione deve pensare al governo del Paese oltre il governo attuale, deve pensare al dopo Berlusconi. Abbiamo ancor più bisogno di un sistema istituzionale forte, con un governo e un’opposizione in grado di poter svolgere a pieno le loro funzioni. Non possiamo tornare ai tempi in cui una sinistra che si pensava esclusa per sempre da palazzo Chigi guardava al governo solo come a qualcosa da cui difendersi e vedeva la sua iniziativa volta all’indebolimento della funzione di governo. Per dirla con uno slogan: noi dobbiamo fare le riforme nonostante Berlusconi».


Amato a sorpresa ha detto che eleggere direttamente il capo dello Stato o il premier sarebbe soltanto «un surrogato». Condivide?

«Non posso pensare che Amato ritenga irrilevante la presenza o l’assenza di una qualche forma di legittimazione diretta da parte dei cittadini-elettori. Aggiungo che non possiamo pensare un sistema in cui tutti i livelli locali si fondano su un’investitura diretta, mentre solo quello centrale non ha ancora risolto questo problema. Senza citare lo stesso governo europeo, che è alla ricerca di un rafforzamento della sua legittimazione».


«Non si possono fare le riforme con una telecamera puntata alla tempia», ha detto di recente: a che cosa si riferiva?

«Il tema l’ho ritrovato anche nel discorso di Ciampi. Il Presidente ha richiamato come condizione per l’avvio delle riforme il suo messaggio sul tema dell’informazione inviato alle Camere l’estate scorsa. Un messaggio che ancora non ha avuto risposta. La questione è ormai esplosiva, ed è presente a tutti dopo le due ore e passa di messinscena propagandistica del premier, che ha detto tutto e il contrario di tutto al riparo da ogni possibile contestazione. Un dato ancora più negativo se si guarda alla sobrietà dei 22 minuti in tv del capo dello Stato».


Un’ultima domanda, professor Parisi: nel centrosinistra Verdi e Cossutta criticano Ciampi per i passaggi sulla guerra. E lei?

«Anche in questo caso sto con il Presidente. Anche Ciampi ha fatto riferimento all’articolo 11 della Costituzione ma nella sua interezza: ha dato un giudizio negativo sulla guerra preventiva priva di legittimazione internazionale, ma ha ricordato che al ripudio della guerra come strumento di offesa la Costituzione associa l’assunzione di responsabilità per assicurare “la pace e la giustizia fra le nazioni” attraverso il sostegno delle “organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”».