10 Marzo 2006
La nostra “terza via”
Autore: Arturo Parisi
Fonte: Europa
Quando pensiamo al Partito democratico pensiamo innanzitutto al compimento di un sogno e allo svolgimento di un progetto che ci impegna ormai da più di quindici anni.
Un progetto che certo chiama in causa il tema del contenitore nuovo da costruire per dare stabilità alla transizione italiana e pieno compimento alla democrazia dell’alternanza, ma non dimeno la questione dei contenuti e dunque del contributo che il nuovo partito deve dare all’innovazione e alla spinta riformatrice di cui il paese ha bisogno.
Men che mai il Partito democratico del quale abbiamo bisogno può essere considerato la risposta ad un problema di carattere tattico e contingente, uno strumento finalizzato a garantire maggiori probabilità di vittoria al centrosinistra nell’ambito di un sistema elettorale bipolare più o meno maggioritario.
Fin da quando abbiamo avviato il passaggio dalla democrazia del proporzionalismo, della prima fase della repubblica, alla democrazia del maggioritario, propria della nuova fase da costruire, al centro della nostra ricerca sono stati sempre i contenuti, la necessità di un progetto per il cambiamento del paese, e di un soggetto che di questa necessità si mettesse al servizio.
Al Partito democratico, fin da quando lo abbiamo proposto nella versione del primo Ulivo, come una coalizione cioè che si pensasse come un soggetto politico pur non potendo ancora proporsi come un unico soggetto partitico, abbiamo sempre guardato come allo strumento necessario per costruire anche nel nostro paese una democrazia normale, come una democrazia capace cioè di governare i problemi e non solo di rappresentarli.
L’obiettivo al quale abbiamo sempre guardato è stato infatti quello di avviare un processo che consentisse di superare le divisioni e gli antagonismi ideologici che avevano da troppo tempo diviso e contrapposto le grandi tradizioni riformiste italiane, e prima ancora di registrare in nuove forme politiche il superamento già avvenuto.
Divisioni e antagonismi che erano stati all’origine non solo e non tanto del proporzionalismo, ma anche e soprattutto della concezione della democrazia come democrazia della rappresentanza. Vicenda questa che, specialmente nel quadro italiano e nel periodo in cui fu ricostruita dalle macerie della guerra la democrazia italiana, poteva essere comprensibile.
Si era infatti di fronte a contrapposizioni dilaceranti, anche perché legate a una divisione del mondo che l’Italia non poteva non subire, e alla storia sanguinosa di un novecento che, pur definito poi “il secolo breve”, sembrava allora non aver mai fine.
Divisioni e contrapposizioni però che, specie dopo la caduta del Muro, andavano perdendo significato e spessore storico, perché obbligate tutte a fare i conti con un processo che qualcuno, sulle orme errate di Fukuyama, interpretò allora come la fine della storia e che gli anni successivi si sarebbero incaricati invece di dimostrare essere, esattamente al contrario, la rimessa in moto della storia, in un cambio di fase che l’inizio del nuovo secolo e il dramma delle torri gemelle avrebbero solo pochi anni dopo, segnato in modo indelebile. Noi, quelli che operarono per il passaggio più rapido possibile dalla prima alla seconda fase della repubblica, e per fondare anche in Italia una forte democrazia governante, comprendemmo bene quale significato aveva la caduta del Muro, e in che direzione di marcia la storia si era rimessa in moto. Per questo, fin dall’inizio di questa avventura operammo senza incertezze non solo per ottenere un mutamento di regole e un cambiamento di sistema elettorale e istituzionale, ma anche un mutamento di sistema politico.
La nostra “terza via” (…) Per questo il Partito democratico al quale guardiamo si pone come il superamento e la sintesi delle culture riformiste del passato, ma anche in una prospettiva dichiaratamente orientata a progettare i processi riformatori e innovativi che il paese richiede e che, a nostro giudizio, la società ha bisogno di avere. Noi siamo convinti che le riforme non nascano dalle ideologie ma dalla capacità di capire e progettare il futuro che i nostri concittadini attendono.
La verifica elettorale non è per noi la conferma o la falsificazione di una ideologia e di una visione del mondo che si dimostra più forte, ma la verifica che la società, gli uomini e le donne vivi e veri che compongono il corpo elettorale, accettano e fanno propria una proposta di governo, una prospettiva di futuro, una visione di quello che occorre fare per costruire una società più giusta e più libera, nelle circostanze in cui ci troviamo ad operare e nel confronto concreto con i problemi che ci stanno davanti. In questo senso è possibile dire che la nostra visione del riformismo abbia qualcosa in comune con quella che, sulle orme di Giddens, appena qualche anno fa fu proposta e salutata come una nuova “terza via”.
Noi non abbiano mai guardato alla “terza via” come a un modo per superare la socialdemocrazia e riunire le diverse tradizioni del socialismo.
Abbiamo sempre avuto un’ambizione più alta: quella di dar vita a un riformismo senza aggettivi, un riformismo concretamente e pragmaticamente legato al bene e al progresso dell’umanità, nella gelosa difesa della libertà e dei diritti fondamentali di tutti. La nostra visione del riformismo è una visione pragmatica ma non è una visione senza valori, anzi.
Il nostro riformismo può porsi come un riformismo della progettualità e del confronto, proprio perché considera come acquisiti e indiscutibili i grandi valori fondamentali dell’uomo e del cittadino.
I nostri valori sono radicati sul riconoscimento della libertà degli uomini e delle donne in tutti i loro aspetti e in tutte le loro sfaccettature, in un contesto di giustizia e di equità basata sul principio di solidarietà fra esseri che vivono una stessa storia e sono partecipi di una medesima avventura umana.
Da Hannah Arendt a Woytila Figli di molti padri, ci sentiamo eredi dei nostri padri costituenti e discepoli dell’insegnamento dei grandi protagonisti della storia e del pensiero politico e culturale dei nostri giorni senza esclusioni. Da Gandhi a Mandela, da Hannah Arendt a Isaia Berlin, da Martin Luther King a Karol Woytila, da Popper a Darhendorf a Sen, tutti i continenti e tutte le fedi e le grandi tradizioni del mondo concorrono a darci esempi luminosi di quanto forte e coeso possa essere il pensiero umano quando mette l’uomo al centro della storia e guarda al futuro con fermo ottimismo e sicura volontà di far progredire l’umanità. Questa è la nostra visione. È una visione ambiziosa, rispetto alla quale ha certo ragione chi, come De Giovanni, sottolinea che i diversi riformismi italiani sono tutti, per motivi e ragioni complesse, lontani dalle grandi tradizioni liberali, così come chi, come Cacciari, sostiene che il nostro disegno ha una dimensione e una prospettiva che non può certo trovare nella limitatezza delle tradizioni nazionali i suoi vincoli e perciò guarda lontano per tenere fortemente ancorata l’Italia al futuro e al progresso del mondo.
Un grande sogno Noi comprendiamo bene chi ancora è impegnato a misurare quanto della grande tradizione socialdemocratica possa transitare in questo partito, e spera e sogna che il partito possa diventare un modo e una forma di una rinnovata vitalità della socialdemocrazia italiana ed europea.
Così come comprendiamo bene chi sogna che questo partito possa essere una forma moderna di tradizione laica, una sorta di traghetto per far passare i grandi valori della nostra tradizione laica nazionale in un futuro più ampio. Né fatichiamo a comprendere chi, forte della ricchezza del pensiero sociale cristiano, anche di recente richiamato, e attento ai nuovi valori di sussidiarietà e di solidarietà, sempre più considerati patrimonio dell’umanità, pensa che il nuovo partito democratico possa portare a compimento la conquista a questi valori del pensiero politico contemporaneo. Infine capiamo bene chi, attento al presente e al futuro del pianeta e degli esseri umani che lo abitano, pensa al partito democratico come a un partito così moderno da poter essere persino postmoderno, incentrato tutto sui temi della difesa della vita e del pianeta e della conciliazione fra tecnica e uomo.
Noi capiamo tutte queste posizioni. E tuttavia dobbiamo dire che il Partito democratico non può coincidere con nessuna di queste, così come nessuna di queste tradizioni e di queste prospettive può essere estranea ad esso. Il Partito democratico come partito rivolto a progettare in una visione di progresso, di innovazione e di difesa intransigente della libertà e dei diritti fondamentali degli uomini sarà tutto questo ma non potrà mai essere solo questo. Esso sarà e vivrà nella misura in cui saprà capire e accogliere le speranze e i sogni degli uomini e delle donne, stimolare la loro partecipazione, dare spazio e attenzione alle loro esigenze, gambe e braccia ai loro progetti. Un partito del presente per uomini e donne del presente, ma anche un partito del futuro per gli uomini e le donne del futuro. Il nostro Partito democratico è dunque un grande sogno, ma sappiamo che è necessario sognare grandi sogni per realizzare grandi imprese.