Matteo Renzi tuitta: «Avanti su tutto» mentre i suoi sostituiscono i parlamentari che, in commissione Affari istituzionali della Camera, si oppongo all’Italicum. Nel Pd il livello di scontro è elevatissimo come mai si era registrato nella storia di questo partito dal 2007, anno di nascita, a oggi. Giusto, allora, sentire uno che come Arturo Parisi, quel partito l’ha tenuto a battesimo, peraltro, come anche l’Asinello prodiano e l’Ulivo.
Domanda. Professore, la sostituzione di alcuni parlamentari dem, contrari all’Italicum, fa gridare alcuni allo squadrismo politico, e spinge l’insieme delle opposizioni verso l’Aventino. Lei che pensa?
Risposta. Stiamo intanto a quello che vediamo sia per quanto riguarda l’interno del Pd che l’insieme delle opposizioni all’Italicum.
D. Vale a dire?
R. Quello che si vede è un braccio di ferro che è finito in rissa. Non un braccio di ferro, tra due posizioni contrapposte e riconoscibili sul tema oggetto della contesa, ma tra la linea del governo e un no, tanto più rumoroso quanto più indistinto, dietro il quale sta una galassia di posizioni diverse e contrapposte.
D. Che cosa succederà, adesso?
R. Siamo finiti in un gioco a somma zero nel quale la vittoria di uno si traduce automaticamente nella sconfitta degli altri. È per questo che Renzi è condannato a vincere, mentre tutti assieme siamo invece costretti a perdere. Ma perderemmo ancora di più se a prevalere non fosse un altro «sì», ma il «no» delle linea aventiniana, nella quale le minoranze hanno deciso di sommarsi illudendosi di proporre le loro comuni assenze come una alternativa.
D. Che effetto le fa?
R. Se rileggo la prima riga del programma dell’Ulivo, di ventanni fa, mi viene da piangere. Parlammo di «un patto da scrivere assieme». Il motivo che l’anno scorso mi ha indotto a salutare con simpatia l’incontro, ripeto, l’incontro, del Nazareno.
D. Dopo un anno come la pensa?
R. Dopo un anno siamo invece finiti in una situazione nella quale le regole che dovrebbero governare l’Italia per i prossimi decenni, non solo non sono più condivise con le opposizioni esterne alla coalizione uscita vincente dalle ultime elezioni, ma neppure all’interno della coalizione e addirittura nello stesso Pd.
D. Che fare?
R. Se si intravedessero alternative sarebbe doveroso fermarsi un momento, per riprendere il cammino assieme, se non tutti, di certo con un seguito più ampio di quello presente. Invece…
D. Invece?
R. Invece, prima ancora che a interrogarci sulle vicende del Pd, siamo qua a chiederci come sia potuto accadere che FI possa rifiutare di dare alla Camera un voto marginale, dopo aver espresso pochi mesi fa al Senato un voto determinante, senza il quale non saremmo mai arrivati qua.
D. Lei che cosa si augura, professore?
R. La verità è che dopo la sentenza della Corte che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum non si può che andare avanti e assicurarci concretamente la possibilità di portare a compimento il processo riformatore avviato. E pure di corsa. E glielo dice uno che, pur riconoscendo gli aspetti positivi della linea seguita per quello che riguarda la governabilità, fin dall’inizio ha dichiarato e continua a dichiarare tutta la sua scontentezza per le modalità con le quali l’Italicum regola la rappresentatività del Parlamento.
D. Cosa non le piace della legge elettorale prossima ventura?
R. La quota inaccettabile di parlamentari nominati e la reintroduzione delle preferenze. E tuttavia bisogna correre.
D. Per quale motivo?
R. Perché delegittimando nei fatti il Parlamento, la sentenza della Corte, pur assicurando al Paese una legge alternativa all’incostituzionale Porcellum, ha individuate, nella approvazione di una nuova legge elettorale, il primo compito del Parlamento attuale. Immagini cosa succederebbe se si finisse per andare al voto con il cosiddetto Consultellum. O, peggio, si finisse per votare alla Camera con la nuova legge e al Senato con il Consultellum.
D. Cioè se si andasse al voto prima dello scadere delle legislatura.
R. Esatto. Tra la sentenza della Corte e la riforma costituzionale avviata,ormai troppe sono le navi che sono state bruciate alle spalle per pensare di tornare indietro.Senza pensare alla porta-aerei del referendum diretto al ripristino del Mattarellum, che la Consulta respinse tre anni fa anche perché incoraggiata dalle infondate preoccupazioni per la sopravvivenza del governo di Mario Monti. Me lo faccia ripetere nel ricordo del milione e mezzo di firme che raccogliemmo in un mese nell’estate del 2011 pensando a quale sarebbe stata la storia se nel 2013 si fosse andati al voto con il Mattarellum.
D. Emendare l’Italicum, come ha ripetuto Renzi alla direzione Pd, vuol dire tornare al Senato e bloccarne il percorso.
R. Ormai l’unica speranza è quella di integrare l’Italicum con una normativa affidata ad un provvedimento distinto che, senza mettere a rischio il cammino fatto, introduca, assieme ad altre integrazioni che cominciano a segnalarsi come necessarie, la possibilità di svolgere le primarie per la elezione dei parlamentari così come per altre cariche. Una proposta che io stesso avevo avanzato e depositato nella precedente legislatura assieme a quella sulla reintroduzione del Mattarellum.
D. Lo strappo che Renzi sta consumando nel Pd è l’anticamera di una scissione a sinistra?
R. È più facile che una scissione ci sia invece se dovesse essere accolta la richiesta di apparentamento tra il primo e il secondo turno, quella alla quale una parte delle minoranze sembra tenere di più.
D. Per quale motivo?
R. Grazie alla soglia più bassa conquistata dal Ncd crescerebbe infatti per troppi la tentazione di far registrare al primo turno la propria residua forza elettorale e far pesare tra il primo e il secondo turno la propria forza politica. La soluzione trovata costringe invece chi ha solo preoccupazioni elettorali, cioè chi si accontenta di esserci, ad accettare una posizione minore. E spinge chi pensa di disporre di una proposta generale di governo a restare ed entrare nel partito che guida il proprio polo e dare battaglia per la conquista della leadership del partito. Esattamente come ha fatto Renzi per il Pd.
D. Le divisioni interne al Pd possono avere ripercussioni a livello elettorale? In Liguria c’è un candidato civatiano contro la candidata ufficiale. In Toscana ci sono forti tensioni.
R. Di certo tutto questo accentua il logoramento e il malessere interno e potrebbe quindi influire sul risultato di partito. Altra cosa è invece per il risultato della coalizione di centrosinistra nel suo insieme e quindi per la tenuta o conquista della regione. Pur non conoscendo le distinte situazioni, posso solo dire che in genere vale il principio che la probabilità di vincere aiuta a vincere. Chi ha più probabilità di vincere riesce meglio a mettere assieme partiti interessati alla vittoria. I partiti che pensano di partecipare al dividendo della vittoria riescono a loro volta a reclutare con più facilità candidati interessati a competere. Ogni ragionamento inizia perciò dalla fine.
D. Ovvero?
R. Esistono coalizioni alternative con più probabilità di vittoria di quelle costruite attorno al Pd? Non credo che le condizioni di salute di quello che, fino a ieri, avremmo definito il fronte berlusconiano ci consentono di rispondere positivamente se non in pochissime regioni.
D. E se quella tornata andasse male, che conclusioni dovrebbe trarre Renzi? Massimo D’Alema, per un risulto elettorale regionale negativo, si dimise da premier.
R. Se è per quello, anche Walter Veltroni si dimise, nel 2009, da segretario a immediato ridosso della sconfitta subita da Renato Soru in Sardegna. Ma sbagliarono entrambi, così come sbaglierebbe chiunque in casi simili, avendo calcolato di intestarsi il merito della vittoria, pensasse di sfuggire in questo modo ai contraccolpi della sconfitta con l’idea di ritornare più avanti una volta passata la piena. La verità…
D. La verità?
R. La verità è che, non solo dal punto di vista formale, ogni elezione fa storia a sè, e soprattutto quelle di natura locale, dove, se si dovesse trovare una regola, è che, di norma, è svantaggiato il partito che porta la responsabilità nazionale. Comunque non sarà certo il risultato di una elezione locale a mettere in crisi Renzi. Se, nell’insieme, le regionali andranno bene,Renzi rivendicherà il suo contributo alla vittoria, se andranno male saprà individuare in ognuna le distinte responsabilità.
D. Resta però l’azione di governo. Quali scogli ha ancora Renzi sulla sua rotta dopo l’approvazione dell’Italicum?
R. Uno al giorno. E tuttavia fino a quando, sia all’interno come all’esterno del partito, non ci saranno alternative alla sua guida e alla sua linea, Renzi continuerà a raccontare la sua avanzata e ad annunciare la sua prossima vittoria.
D. Gli avversari interni ne prendano atto…
R. Se qualcuno si pensa come una alternativa plausibile, o ha in testa una proposta credibile, non ha che da alzare la mano. Questa è la democrazia.