Cari amici,
in attesa della replica di Francesco Rutelli, consentitemi a conclusione del dibattito di esordire da Presidente della Assemblea Federale con una nota di soddisfazione.
Quasi 100 domande di intervento, 9 ore filate di dibattito in condizioni che dobbiamo conoscere proibitive, un confronto che continua partecipato fino a tarda notte, sono la prova che abbiamo voglia di parlare, che abbiamo voglia di parlarci.
Lo svolgimento del dibattito mi costringe tuttavia a chiedermi, in spirito di verità, se a questa cresciuta e direi crescente bisogno di parlarci corrisponda una equivalente capacità di ascoltarci e quindi di comprenderci, per costruire su questa comprensione, decisioni comuni e comportamenti condivisi da proporre ai nostri concittadini. Non vorrei infatti che mentre lamentiamo giustamente la tendenza dominante, che è anche una tentazione nella quale mi riconosco, la tendenza e la tentazione di ridurre il dibattito politico al tema dei contenitori noi riducessimo il nostro partito nient’altro che ad un contenitore. Che sia il primo o solo uno tra i tanti poco importa, ma pur sempre un contenitore tra contenitori. E non, invece, quel soggetto collettivo attraverso il quale esercitiamo la nostra cittadinanza. Quel soggetto che ci dovrebbe scaldare i cuori quando è accompagnato dall’aggettivo “nostro” (il nostro partito) e raffreddarli quando è accompagnato dall’aggettivo “loro”.
Un soggetto nel quale le parole corrispondano per tutti agli stessi significati, le parole dette verbalmente a quelle dette non verbalmente, le parole dette a quelle comunicate, le parole comunicate ai comportamenti.
Ed è sulla presenza di un soggetto di questo tipo, di un partito appunto, nel nostro dibattito, sulla sua riconoscibilità dietro gli interventi che si sono succeduti nel dibattito, che io mi interrogo.
Sento infatti molte decisioni che consideravo acquisite,sento molte parole che consideravo comuni rimesse in discussione.
1. Che dire di fronte ad organi di partito che, all’indomani di una grande vittoria come quella per la provincia di Milano, invece di riconoscersi in essa lasciano i nostri alleati a celebrarla soli con il rischio di ricacciarli in antiche tentazioni egemoniche, preferiscono concentrarsi sulla propria particolare sconfitta? E lo dico con comprensione perché all’indomani delle elezioni conosco da sempre la tentazione di far prevalere nel sentimento e quindi nella analisi le proprie sconfitte sulle le comuni vittorie, e apprezzo anche il rigore di Bonfanti che, per primo ci ha invitati a interrogarci sulla debacle della Margherita nelle elezioni provinciali del Nord invece di cambiare discorso.
2. Che dire della lettura contestata come strumentale di una battuta di Francesco Rutelli sul bipolarismo nel contesto di una recente intervista? E’ bastato un verbo (“temperare”) e di un aggettivo (“temperato”) per determinare quella che alla luce delle parole chiarissime ascoltate qua con le nostre orecchie dalla voce di Francesco, dobbiamo definire come una tempesta in un bicchiere d’acqua? Come se la nostra scelta del bipolarismo fosse occasionale e non invece della democrazia governante non fosse per noi una scelta costitutiva iscritta nei nostri documenti ufficiali fin dall’inizio, una scelta che precede di anni la discesa in campo di Berlusconi e prescinde quindi del tutto dalla sua sorte.
3. Che dire dell’allarme suscitato tra di noi nel pieno della campagna elettorale da una intervista di Enrico Letta solo per il fatto di aver detto che la condizione di una alleanza con Rifondazione non può essere che cercata a partire da una sicura convergenza su un programma di governo condiviso, e a condizione di una sicura condivisione?
4. Che dire delle reazioni determinate al nostro interno per dichiarazioni occasionali di persone a noi vicine ma non appartenenti al partito a favore della costruzione di un partito riformista , le dichiarazioni appunto che sono all’origine degli incubi di Marini? Quasi che lo stesso Marini, così come poi Franceschini pur rifiutando la prima formulazione della proposta di lista unica, non avesse detto che altra cosa sarebbe stata la proposta ancorché non per l’immediato di un partito unico? E come se noi non avessimo detto e ribadito in più occasioni la nostra ferma convinzione che senza una Margherita per l’Ulivo non ci può essere l’Ulivo, senza l’Ulivo non ci può essere una coalizione di Centrosinistra di governo, e senza Centro sinistra di Governo tutto è a repentaglio: la salvezza del paese e la stessa sorte della nostra democrazia governante?
Che dire del rifiuto di riconoscere la sconfitta del centrodestra, facendo propria la loro definizione di essere l’unico governo uscito indenne dalle elezioni, attribuendo la crisi del berlusconismo solo alle loro contraddizioni interne e non invece alla nostra azione?
Alla nostra vittoria nelle amministrative, che è all’origine immediata della crisi di governo, in particolare la vittoria di Milano.
Alla costruzione di coalizioni programmatiche, vincenti – a Milano e altrove – che è all’origine della sconfitta.
Al ruolo che la Lista Unitaria – e la linea unitaria che l’ha ispirata – ha avuto nella costruzione di queste coalizioni.
Perché chiedetevi – chiediamoci – come sarebbe stato possibile, in una congiuntura, costruire queste coalizioni vincenti se noi non avessimo promosso e proposto una linea unitaria all’insegna di quel “Uniti per unire” con cui esordimmo all’inizio della campagna e avessimo scatenato la competizione tra noi e gli altri partner delle coalizioni, della coalizione di centrosinistra?
Che dire della ripresa di un’impostazione che traduce in una risposta a Prodi – in un “possiamo o non possiamo dire di no a Prodi” – un tema che abbiamo già incontratoall’origine della Lista Unitaria, quasi che la scelta dell’Ulivo e della Federazione non sia una nostra scelta?
Una scelta sostenuta in questi anni – a prescindere dalla presenza di Prodi – da tutta la nostra azione guidata da Francesco Rutelli nella prima fase della costruzione della Coalizione, oltre che durante la campagna elettorale.
Guidata dall’obiettivo di costruire e difendere l’Ulivo, di costruire assieme l’Ulivo e il bipolarismo, e di difendere il bipolarismo.
Che dire della paura di riconoscere nell’esito della lista unitaria una costrizione ad andare avanti, e quasi il compiacimento di sottolinearne gli elementi di sconfitta?
Non mi riferisco evidentemente ai dati quantitativi. So, dobbiamo tornarci, evidentemente dobbiamo tornarci.
Ma al significato politico.
Perché questo era il tema.
Questo era l’obiettivo che abbiamo lasciato a verbale nel documento che abbiamo approvato a Bologna.
Fare della Lista Unitaria una iniziativa che ricostruisse e ridefinisse l’assetto del centrosinistra.
Questo dice il documento di Bologna.
Non un’occasione per catturare voti a destra.
Ed è rispetto a questo obiettivo che noi dobbiamo interrogarci.
Rispetto agli obiettivi che ci siamo posti. Ed erano tre.
Riportare, o almeno mantenere, al centro del dibattito l’Europa.
Difendere il bipolarismo in Italia dai rischi che avrebbe avuto una competizione divisiva.
Terzo, farlo avanzare o almeno non farlo arretrare in Europa.
E’ rispetto a questo che noi dobbiamo interrogarci.
Ed è rispetto a questo che io pongo il problema di come andare avanti.
Altro che “strappi”.
Altro che nuovi strappi.
Io credo che quello che noi dobbiamo fare è fermarci un momento.
Tornare alle parole, alle troppe parole che noi abbiamo detto.
“Tornare allo Statuto” – ha detto, nella recente Direzione, De Mita.
Io dico sì, tornare allo Statuto e a tutti, a tutti i deliberati che abbiamo approvato assieme, in questa breve storia ma intensa storia del partito.
E chiederci e interrogarci se le parole lì scritte sono ancora le nostra parole.
Altrimenti rischiamo di regalare le nostre parole, le parole che furono nostre, agli altri.
E restare prigionieri dei nostri comportamenti e delle parole che gli altri applicano ai nostri comportamenti.
E allora come meravigliarsi se una scelta laica – quella che ha guidato la scelta di questo luogo di incontro, guidata dalla preoccupazione, che abbiamo messo a verbale in questo stesso Organo, per la tenuta dei conti della Margherita e la necessità di spendere bene le risorse che vi ha indotto a scegliere questo luogo, “Un mondo migliore a Rocca di Papa – viene letta, è stata letta, all’insegna di categorie che non la riguardano?
Fermiamoci un momento.
Riprendiamo in mano le nostre parole e discutiamo di tutto.
Di tutto.
Ho sentito dire “il bipolarismo”. Perché no? Discutiamo del bipolarismo
La legge elettorale: ho visto applaudire un intervento di Silvia Costa. Perché no, perché non dobbiamo discutere la legge elettorale?
La cultura di Coalizione. Perché no? Una riflessione sulla Coalizione del maggioritario e la Coalizione ai tempi del proporzionale, tema caro a De Mita.
La natura del partito, come ha riproposto Dini, ricordando la presenza del suo partito all’interno di un partito che noi pensavamo nuovo e definitivamente superare le presenze organizzate preesistenti, coinvolgendo nella discussione tutto il partito.
Noi sappiamo che non ci sono decisioni definitive.
Però noi vogliamo sapere se le decisioni che abbiamo prese sono decisioni comuni e definitive.
Partito organizzato? Certo. Ma è possibile pensare un partito organizzato senza una linea riconoscibile?
Partito radicato? Certo. Ma ricordando che essere tra la gente, essere un partito popolare, tra il popolo, significa far conto che tutti mandiamo lo stesso messaggio, non illudersi che la comunicazione che muove dal centro vada da una parte e il territorio da un’altra.
Ed è qui il tema, il tema concreto che ci attende.
Perché è vero che ci sono situazioni in cui il voto si cerca a partire dalla domanda delle persone, dalla domanda delle rappresentanze individuali che muove dalle persone e dai candidati. E lascia sullo sfondo il progetto sul quale si interroga solo in ordine alla sua compatibilità.
Ma noi sappiamo che esistono altre aree del paese – quelle in cui è cresciuta la Margherita – in cui la domanda nasce dal progetto.
Ed è a questa domanda che dobbiamo prepararci a rispondere nelle prossime elezioni in cui ci ripresenteremo come Margherita.
“Perché votare Margherita?” Non “perché votare Parisi” e quindi votare Margherita perché è l’unico modo di votare Parisi. Ma perché votare Margherita ed eventualmente dare la preferenza a Parisi.
Ed è perciò che facendo riferimento al documento che ci apprestiamo a votare io mi permetto di dirvi con un tono che forse è forte ma è amichevole: attenzione! Non possiamo permetterci una nuova Bologna.
E quando dico Bologna faccio riferimento al voto unanime salvato da un’adesione – è qui Pierluigi Mantini che ha fatto l’elogio di chi si astenne – salvato da un’adesione che ha votato un documento all’unanimità, unanimità del cui spessore oggi ci rendiamo conto, dopo il risultato.
Io dichiaro di approvare quel documento – il documento che viene proposto – perché, pur preferendo in alcuni passaggi altre formulazioni e forse anche altre scelte, ritengo che esso – come la relazione di Rutelli che abbiamo votato all’unanimità in direzione – sia la base che consente al partito di andare avanti.
Ma nel rivotare questo documento io mi permetto di ricordare a me e a voi che la parola conta, le parole contano.
Il partito è una casa che è fatta innanzitutto di parole.
E dentro questa casa noi siamo chiamati ad abitare.
E questa casa stiamo costruendo in questi appassionati dibattiti che abbiamo avviato dentro questa vicenda che chiamiamo Assemblea Federale.
Chi sostiene invece, chi pensa, che in esso gli elementi con cui dissentire prevalgono su quelli con cui consentire, esprima il suo dissenso.
E’ anche così che il partito cresce.
Altrimenti, se decidiamo di votarlo all’unanimità, come abbiamo fatto in Direzione, facciamo di questa Assemblea un passaggio che apra un dibattito vero, che coinvolga tutta la base del partito.
In modo da essere sicuri che il punto di approdo sia il punto di partenza di una nuova fase.
Il punto di partenza di una fase che ci consenta non solo di declamare e reclamare l’esistenza di un partito che si chiama Margherita.
Ma di costruirlo e di poterne dare conto agli elettori.
Grazie.